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L'Unione Europea dovrebbe investire di più nella pace, non dare sussidi all'industria bellica

Fornire sussidi all'industria delle armi non è sicuramente la maniera migliore con cui il progetto europeo, fin dall'inizio fondato invece sulla pace, potrà recuperare sostegno presso cittadini ormai molto "euroscettici".
Al contrario l'Unione Europea dovrebbe investire in posti di lavoro i progetti di ricerca che possano aiutare a prevenire i conflitti.
Laetitia Sedou (Programme Officer in Bruxelles - European Network Against Arms Trade)
Fonte: Euractiv - ENAAT - 15 settembre 2016

Dopo alcuni anni di lavoro continuo e persistente, oltre che discreto, in particolare di gruppi di pressione delle industrie gli armamenti come ASD, e con il supporto di alcuni Stati membri e di alcuni Parlamentari europei, l'Unione oggi è solo a pochi passi di distanza da iniziare a fornire sussidi per la ricerca legata agli armamenti. Utilizzando denaro pubblico europeo.

NO ai fondi UE per la ricerca armata Un'Azione Preparatoria (Preparatory Action - PA) sulla ricerca nella Difesa scritta da un gruppo di consulenti denominato "Gruppo di Personalità", oltre la metà dei quali legato all'industria, è ora incluso nello schema di Bilancio per il 2017. In pratica l'industria degli armamenti sta consigliando l'Unione Europea di sostenere finanziariamente l'industria degli armamenti! E questo è solo l'inizio, perché obiettivo di lungo termine già in prospettiva è quello di definire un Programma di ricerca per la Difesa europea completamente inserito nel Budget standard per un valore di circa 3,5 miliardi di euro nel periodo dal 2021 al 2027.
Un progetto che, per sua natura, stimola immediatamente una serie di preoccupazioni per le organizzazioni della società civile o facenti parte di ENAAT.

Fino ad oggi l'Unione Europea non ha mai allocato fondi e risorse per la produzione di armamenti perché questo ruolo era considerato legato alla politica di difesa di ciascuno Stato Membro, ricadente sotto la sovranità nazionale, più che un attività economica di natura industriale. Secondo alcuni esperti uno dei possibili impatti dell'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea potrebbe essere un inaspettato progresso la politica comune di difesa. Tuttavia, anche se davvero qualcosa fosse iniziato, progressi concreti verso la costruzione di una cornice comune politica in questo tema richiederanno sicuramente mesi se non anni. La Strategia Globale per la politica estera di sicurezza dell'Unione, presentata in giugno, ha bisogno ancora di essere tradotta in sotto strategie e supportata pienamente dagli Stati membri, forse la parte più difficile. Ma tutto questo è ancora sulla carta. Mentre infatti la rilevanza e l'impatto di una politica di difesa comune è ancora in piena discussione, la realtà è che nello stesso tempo stanno nascendo proposte molto concrete nel campo della cooperazione militare utilizzando la falsa motivazione, sicuramente fuorviante, di creazione di posti di lavoro e crescita.

Si tratta quindi di uno spostamento di prospettiva rilevante e a livello fondamentale di tutta la costruzione europea: da un progetto civile orientato alla pace verso uno guidato da logiche militari. Una questione addirittura messa in dubbio, nella sua legittimità, da alcuni membri del Parlamento europeo sulla base proprio dei Trattati dell'Unione.

Un'altra questione problematica è il processo decisionale riguardante questa Azione Preparatoria, ben lontano dall'essere trasparente e democratico ma in realtà pesantemente influenzato dall'industria degli armamenti che fondamentalmente è stata l'unica portatrice di interessi ascoltata dalla Commissione, attraverso il già citato Gruppo di Personalità. Senza dimenticare che è comunque uno dei maggiori interlocutori a livello parlamentare: anche il Parlamento Europeo infatti ha commissionato uno studio a due cosiddetti "esperti indipendenti" che in realtà sono legati direttamente all'industria (uno di loro ha fatto parte anche del Gruppo di Personalità) senza nemmeno invitare al tavolo del dibattito voci alternative e critiche. In pratica ai Membri del Parlamento europeo e agli Stati membri si richiede di votare quello che è possibile definire come un assegno in bianco a favore dell'industria, poiché a questo stadio la Commissione Europea non sta fornendo alcun dettaglio a riguardo di come questi fondi verranno concretamente usati. Inoltre la Commissione non ha ancora fornito il quadro di riferimento dei progetti e delle azioni preparatorie che dovrebbe essere invece il metro di paragone per poter valutare davvero l'eventuale impatto positivo di questa proposta. Niente è arrivato sul tavolo del Parlamento al momento del voto.

Le uniche indicazioni finora pubblicate su come tali fondi dovrebbero essere usati vengono ancora una volta dal Gruppo di Personalità già consultato. Proposte altamente problematiche sotto diversi aspetti fondamentali: finanziamento di oltre il 125% dei costi possibili, diritti di proprietà intellettuale mantenuti dall'industria, definizione delle proprietà e delle modalità di governance di questi fondi rimasta praticamente nelle mani delle aziende e degli Stati Membri. In breve le proposte di questi consulenti servono solo a definire le migliori condizioni possibili per i beneficiari del programma. Ci si potrebbe preoccupare altamente della mancanza di qualsiasi pubblico interesse in questa azione preparatoria anche se la Commissione decidesse solo di seguire una minima parte di queste raccomandazioni!

Weapons and business In realtà il finanziamento di una ricerca orientata al militare con fondi pubblici europei è solo un modo di servire interessi di breve termine e supportare ulteriormente la profittabilità di un settore che non disdegna nemmeno di utilizzare percorsi di elusione fiscale, sebene abbia come clienti soprattutto Stati nazionali che ripagano con denaro pubblico. Non dovrebbero essere queste i destinatari di ulteriori finanziamenti.
Sarebbe invece molto più sensato usare queste risorse in aree che hanno la possibilità di generale almeno lo stesso impatto positivo in termini di crescita e posti di lavoro ma intanto siano in grado di rispondere realmente alle problematiche che sono cause alla base di molti conflitti, come ad esempio il cambiamento climatico. Lo dimostrano diversi documenti ed anche un recente report dellla Ong britannica CAAT che dimostra come sia possibile riconvertire il settore militare sviluppando nuovi posti di lavoro nel campo delle energie rinnovabili.

Chi sta promuovendo questa Azione Preparatoria e programmi futuri sulla ricerca per la difesa a livello europeo sottolinea inoltre che alcuni Stati membri hanno preso impegni a livello Nato di dedicare almeno il 2% del loro prodotto interno lordo alla spesa militare (con un 20% di tali fondi impiegato in investimenti). Ma dunque perché utilizzare il bilancio europeo, già abbastanza stringato, per questa ragione? Certamente questa strada permetterebbe agli Stati Membri di non assumersi le conseguenze di tale decisione di fronte ai propri elettori, ma il tutto andrebbe a detrimento di progetti dai quali potrebbero trarre benefici i cittadini, e non certo l'industria.

E' giunto il momento, invece, che l'Unione Europea dimostri di essere davvero un progetto di pace promuovendo seriamente strade alternative per la composizione dei conflitti. Altrimenti la recente dichiarazione del segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon resterà tristemente reale per molto, troppo tempo: "Il mondo è armato in maniera esagerata, mentre la pace è sotto-finanziata..."

Non siamo per nulla sicuri che ciò sia quello che i cittadini europei si aspettano dai leader dell'UE.

Note: Articolo originale in inglese al link http://www.euractiv.com/section/security/opinion/mon-eu-should-give-more-funds-to-peace-not-subsidise-the-arms-industry/
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