Mercanti di morte
È passato oltre un quarto di secolo da quando è stata approvata la legge 185/90 che regolamenta il commercio di sistemi d’armi in Italia. Una legge che, ancora oggi, è la più restrittiva in Europa e che è stata frutto di una larga mobilitazione della società italiana. “Armi italiane uccidono in tutto il mondo”: era l’incipit dell’appello dal quale nacque allora il comitato “contro i mercanti di morte”. Ricordo ancora le iniziative in tutte le città italiane, le assemblee di fabbrica con gli operai che lavoravano in fabbriche di armi, gli incontri con i gruppi parlamentari di tutti i partiti e con le commissioni parlamentari di Camera e Senato. Ho ancora presente lo stupore dei membri della commissione Esteri della Camera di fronte all’intervento di don Tonino Bello, allora presidente di Pax Christi. «Non vi chiediamo nulla di strano: solo di non vendere armi a matti più matti del manicomio internazionale».
Ora don Tonino non c’è più, così come non c’è più Aldo De Matteo, allora vicepresidente delle Acli, che seguiva passo dopo passo la campagna. Certo, i tempi erano diversi. Quando la campagna iniziò, non era ancora caduto il muro di Berlino. Si era da poco conclusa la presidenza della Repubblica di Sandro Pertini (1978-1985) che in un celebre discorso, citato proprio dall’appello da cui era nata la campagna, aveva gridato: «Si svuotino gli arsenali e si riempiano i granai». In Italia vi era una legge elettorale proporzionale con l’uso delle preferenze, che permetteva un rapporto diretto tra cittadini ed eletti. Che dava quindi la possibilità ai cittadini di rivolgersi al proprio parlamentare di riferimento e di controllarlo nel voto. Tutta una serie di situazioni che permisero al comitato “contro i mercanti di morte” – composto da 4 realtà della società civile: Acli, Mani tese, Pax Christi e Missione oggi – di allargarsi in pochissimo tempo, coinvolgendo diverse centinaia di associazioni. Per noi si trattava solo di un primo passo. Tanto che diverse volte ci eravamo detti che, il giorno dopo l’approvazione della legge, avremmo provocatoriamente presentato un disegno di legge di iniziativa popolare con un unico articolo: «L’Italia, in conformità all’art. 11 della Costituzione, decide di non costruire e commercializzare alcuna arma che possa essere usata in qualsiasi guerra».
La legge 185, come si sa, prevedeva soprattutto il divieto di esportare armi in zone di conflitto e in Paesi dove non fossero rispettati i diritti umani. La storia di questi 25 anni ci racconta invece che, purtroppo, in tanti casi si sono trovate scorciatoie per poterla eludere. Fino ad oggi, quando l’Italia continua a vendere armi a Paesi come Arabia Saudita ed Egitto. Proprio per questo è necessario riprendere e intensificare la mobilitazione. Il governo, almeno il governo, rispetti la legge.