La Spezia: 45 cittadini presentano esposto sulle forniture militari ai sauditi
Un folto gruppo di cittadini della Spezia, in rappresentanza di 45 firmatari, si è presentato stamattina in Procura per depositare l’esposto promosso dalla Rete Italiana per il Disarmo che chiede alle autorità competenti di verificare possibili violazioni della Legge n. 185 del 1990 in riferimento alle recenti numerose forniture di bombe aeree dall’Italia alla coalizione guidata dall’Arabia Saudita.
“Siamo giunti a questa decisione – ha spiegato Giorgio Beretta (coordinatore locale della Rete Disarmo) – a seguito delle continue spedizioni di tonnellate di bombe della RWM Italia dalla Sardegna all’Arabia Saudita: bombe che servono a rifornire la Royal Saudi Air Force che dallo scorso marzo sta bombardando lo Yemen senza alcun mandato da parte delle Nazioni Unite infiammando un conflitto che portato a oltre seimila morti di cui circa la metà tra la popolazione civile (tra cui 830 tra donne e bambini) e alla maggior crisi umanitaria in tutto il Medio Oriente. A fronte delle risposte, evasive e anche contraddittorie, degli esponenti del Governo – che in questi mesi non ha mai ritenuto di sospendere le forniture militari ai sauditi nonostante le nostre ripetute richieste – abbiamo ritenuto necessario anche qui alla Spezia, come in altre città, inoltrare alla Magistratura un esposto per chiedere alle autorità preposte di verificare possibili violazioni della legge 185 del 1990 che regolamenta l’esportazione di sistemi militari dall’Italia”.
Il folto gruppo di cittadini spezzini ha presentato l’iniziativa davanti alla Procura in una conferenza stampa: nelle scorse settimane un simile esposto, promosso dalla Rete Italiana per il Disarmo, è stato presentato nelle Procure di Roma, Brescia (dove ha sede l’azienda tedesca RWM Italia fornitrice delle bombe aeree) e Verona e in una conferenza stampa alla Camera.
Anche dalla Spezia, tra aprile e settembre 2015, sono stati inviati più di 21 milioni di euro di “armamenti e munizionamento” agli Emirati Arabi Uniti, paese che fa parte della coalizione sunnita attiva nel conflitto in Yemen. “Di fronte a queste continue forniture di armamenti a nazioni in guerra – ha commentato Giancarlo Saccani del Gruppo di azione nonviolenta della Spezia – riteniamo che sia improrogabile aprire un confronto anche nella nostra città sulla produzione e sulle esportazioni di sistemi militari: sono ormai diversi anni che la nostra industria della difesa si mantiene operativa grazie soprattutto agli ordinativi di diversi paesi che alimentano tensioni e conflitti nel mondo”.
La Legge italiana (n. 185 del 1990) vieta espressamente non solo l’esportazione, ma anche il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali di armamento “verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere”. (art. 1.c 6a) e “verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione” (art.1.c 6b). Nel documento presentato da Rete Disarmo vengono ricostruite le sei spedizioni avvenute nell'arco di pochi mesi e le reazioni di rappresentanti del governo e della società civile, elencando inoltre iniziative legali condotte in altri Paesi da associazioni che hanno rilevato nelle forniture di armamenti all’Arabia Saudite una violazione del Trattato Internazionale sugli Armamenti.
“Non ci risulta – ha aggiunto Giorgio Pagano, già Sindaco della Spezia e attuale Presidente dell'Associazione Funzionari senza Frontiere – che le Camere siano state consultate in merito a queste spedizioni di bombe all’Arabia Saudita, anzi sono state presentate diverse interrogazioni parlamentari alle quali il Governo non ha ancora dato risposta. E non dobbiamo dimenticare che gruppi vicini alla monarchia Saudita hanno sostenuto finanziariamente ISIS-Daesh. Inviare armamenti non è certo il modo migliore per favorire la cooperazione internazionale e la pace”.
Le risposte dell’Esecutivo Renzi finora sono state evasive (come quelle del Ministro Gentiloni in Parlamento e del sottosegretario Della Vedova a una interrogazione urgente) e anche contraddittorie (come le parole della ministro Pinotti secondo cui “l’Italia non vende bombe ai sauditi” e che “è tutto regolare per quanto riguarda le autorizzazioni”).
Dal settembre scorso la Rete italiana per il disarmo, network che raggruppa oltre venti organizzazioni della società civile, ha documentato queste spedizioni e, con vari comunicati stampa promossi anche con Amnesty International Italia, ha chiesto al Governo italiano di sospendere l’invio di bombe e sistemi militari all’Arabia Saudita. Un carico di migliaia di bombe è partito tre settimane fa dall’aeroporto di Cagliari con destinazione la base dell’aeronautica militare saudita di Taif, non lontano dalla Mecca. A partire dall’ottobre scorso tre spedizioni sono avvenute via aereo cargo, altre due sono state effettuate imbarcando le bombe ai porti di Olbia e Cagliari). Le bombe sono prodotte dalla RWM Italia, azienda tedesca del gruppo Rheinmetall con sede legale a Ghedi (Brescia) e stabilimento a Domunovas (Carbonia-Iglesias) in Sardegna.
“Considerate le ingenti forniture di bombe aeree della RWM Italia avvenute in questi mesi – spiega una nota dell’Osservatorio OPAL di Brescia che per Rete Disarmo ha svolto uno studio (qui in pdf) su questa materia – riteniamo che si tratti di nuove autorizzazioni all’esportazione rilasciate dall’attuale Governo Renzi. Se è vero, infatti che le licenze rilasciate negli anni scorsi non erano state riscontrate nelle spedizioni fatte fino all’anno scorso, va però notato che in questi mesi abbiamo monitorato almeno 5 spedizioni via aerea e via mare. In ogni caso anche trattandosi di autorizzazioni rilasciate negli anni scorsi è espresso compito dell’esecutivo, e nello specifico dall’Unità per le Autorizzazioni di Materiali d’Armamento (UAMA) incardinata presso la Farnesina, verificare che sussistano le condizioni di legge per l’invio dei materiali militari” .
Dopo dieci mesi di ostilità la situazione in Yemen è tragica: le agenzie dell’Onu riportano più di seimila morti di cui circa la metà tra la popolazione civile (di cui 700 bambini), oltre 20mila feriti, milioni di sfollati, più metà della popolazione ridotta alla fame e definiscono la situazione come una “catastrofe umanitaria” senza precedenti. Non solo. Le agenzie dell’Onu hanno ripetutamente stigmatizzato gli “attacchi sproporzionati di zone densamente popolate” da parte delle forze aeree della coalizione saudita e lo stesso Segretario generale dell’Onu, Ban Ki moon, ha esplicitamente condannato i bombardamenti aerei sauditi su diversi ospedali e strutture sanitarie mentre l’Alto rappresentante per i diritti umani, Zeid Ra'ad Al Hussein, ha inviato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu un rapporto che documenta “fondate accuse di violazioni del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani” di tutte le parti attive nel conflitto. Nei giorni scorsi Ban Ki-moon ha ripetuto il suo appello a tutte le parti al “cessate il fuoco”. E per tutta risposta dall’Italia è partito un nuovo carico con migliaia di bombe.
“Riteniamo inammissibile – ha concluso Mariella Ratti – che dall’Italia continuino le spedizioni di bombe aeree per l’aviazione saudita che da dieci mesi sta bombardando lo Yemen senza alcun mandato internazionale causando migliaia di vittime anche tra i civili e tra i bambini e in aperta violazione del diritto internazionale umanitario. Diverse organizzazioni umanitarie hanno ripetutamente chiesto alle Nazioni Unite di verificare i crimini di guerra commessi da tutte le parti, tra cui l’utilizzo di bombe a grappolo da parte dell’aeronautica militare saudita. Il diritto umanitario si difende condannando le sue violazioni anche attraverso vie legali; occorre impedire che la storia umana che ha visto raggiungere, dopo indicibili sofferenze, elevati equilibri di accordi e di convenzioni in difesa della dignità umana, possa precipitare nella negazione di questi diritti”.