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Archivio Disarmo, Emilio Emmolo denuncia: "Armi leggere italiane contro la Primavera araba"

7 febbraio 2012 - Paolo Salvatore Orrù
Fonte: Tiscali Notizie - 06 febbraio 2012

Nel biennio 2009-2010 le industrie italiane hanno esportato più di un miliardo di euro di armi leggere. Le partite più ragguardevoli sono state acquistate, direttamente o attraverso triangolazioni commerciali, anche da quei paesi che hanno combattuto o stanno combattendo contro i nostri soldati impegnati in azioni “peace keeping”. Questo drammatico dato emerge dalla relazione 2011dell’Istituto di ricerche internazionale, Archivio Disarmo. “Le esportazioni sono per la maggior parte dirette verso Usa e Ue, ma l’Asia passa da 28 milioni di euro nel biennio 2007-2008 ad oltre 142 milioni nel biennio successivo”, si legge nel rapporto.

I revolver, i fucili a pompa, con i relativi proiettili made in Italy, sono utilizzati dag Carabina Beretta CX4 li eserciti (“è difficile pensare ad un utilizzo non militare per le pistole e le carabine CX4 della Beretta e i fucili a anima liscia della Benelli”) di Usa, Francia, Regno Unito, Malesia, Russia, Germania, Spagna, Turchia, Grecia, Norvegia, Belgio, Canada, Australia, Venezuela, Marocco, Messico, Portogallo, Israele e Emirati. Ma emerge anche l’esportazione di questi tipi anche in Cina, Repubblica Democratica del Congo, Libano, Iran, Armenia, Azerbaijan, paesi sottoposti a embarghi internazionali. E in Russia, Thailandia, Filippine, Pakistan, India, Afghanistan, Colombia, Israele, Congo, Kenia e Filippine, stati in cui sono in atto conflitti e si riscontrano violazioni dei diritti umani.Eppure, secondo le leggi italiane, l’Italia non può trasferire materiali d’armamento “in Paesi in stato di conflitto armato, in Paesi che conducono una politica estera aggressiva e propensa all’uso della forza, in Paesi sottoposti a embargo deciso dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea, in Paesi dove si registrano gravi violazioni internazionali in materia di diritti umani o qualora vi sia rischio di triangolazioni”, spiegano nella loro relazione Emilio Emmolo e Melissa Tala

Ma si sa, in Italia vige il detto: fatta la legge trovato l’inganno. “L’ultimo rapporto di Amnesty International ha rivelato un’altra amara verità: le armi realizzate da marchi italiani - industrie spesso delocalizzate per sfuggire ai controlli di legge - sono state segnalate in tutte le regioni coinvolte nelle battaglie della “primavera araba” e sono state utilizzate dai regimi in pericolo per reprimere gli insorgenti in Egitto, Libia, Tunisia e Siria”, spiega Emmolo, esperto in diritto internazionale.In particolare, nel biennio 2009-2010 l’export di armi verso la Libia ha raggiunto la cifra di 8 milioni di euro (nel biennio 2007-2008 i libici ne spendevano poco meno di 10mila). I dati della relazione, tratti dall’Istat, non raccontano che qualche volta i nostri soldati impegnati sui fronti caldi del mondo hanno dovuto rispondere al piombo prodotto in Italia. L’episodio più inquietante è stato denunciato nel 2005, quando "i carabinieri durante un rastrellamento in Iraq hanno sequestrato in un covo talebano armi griffate Beretta”, dice Emmolo. A causa del blitz lo stabilimento rischiò i sigilli della magistratura. “La Pietro Beretta Spa fu però prosciolta perché il contratto di cessione delle armi era stato stipulato nel 2004 attraverso una sconosciuta società inglese, la Super Vision International ltd”, commenta. Con un escamotage molto italiano, quella volta fu Berlusconi a salvare la Spa di Brescia: “Nel decreto di finanziamento delle Olimpiadi invernali di Torino venne incastonata una norma sulla compravendita di armi (i soliti sotterfugi italiani)”, evidenzia il ricercatore. In casi come quello registrato in Iraq, prima dell’emanazione delle norme pro Olimpiadi invernali, “la Beretta avrebbe dovuto chiudere i battenti”, spiega ancora il giurista di Archivio Disarmo.

I dati messi a disposizione dall’Istat e utilizzati per la ricerca sono incompleti: non è stato reso noto - infatti - né il tipo del modello né il nome della fabbrica che ha prodotto le armi leggere cedute nei mercati stranieri. I dati sono stati secretati. “Le uniche informazioni che abbiamo avuto a disposizione riguardano il modello, il calibro e il valore dell’arma, ma non ci sono indicazioni sul tipo e sulla fabbrica che le ha prodotte ed esportate”, spiega ancora Emmolo. Le aziende che esportano sono comunque note: “Oltre alla Beretta, vendono all’estero anche Franchi (in pole il fucile a pompa), Benelli e Breda, solo per citare chi ha una proiezione internazionale certa”, dice.E siccome qualche volta anche in Italia le leggi si rispettano, per poter lucrare con commerci altrimenti illeciti le aziende si affidano alle triangolazioni, come dimostra il contratto stipulato da Beretta con la Super Vision. In Italia su quest’argomento c’è un vuoto legislativo e, soprattutto, il nostro Paese non si è messo in regola con le direttive europee che ha detto di voler recepire nel 2003.

“Si vendono le armi a Cipro e a Malta, tanto per fare un esempio, poi lì si pensa al resto”, spiega il Generale Fabio Mini. Esistono casi documentati di trafficanti di armi e di spedizionieri specializzati in violazioni di embarghi che operando dall’Italia hanno fatto transitare armi dell’ex Patto di Varsavia, in Africa, in Ruanda, in Liberia, Sierra Leone, senza che la magistratura abbia potuto condannare i protagonisti. “In passato – rileva Emmolo - è stato doc Armi in Libia umentato il caso di Leonid Minin, un ucraino con passaporto israeliano e con presunti legami con la rete di Al Qaeda".Minin fu prima arrestato a Cinisello Balsamo per traffico d’armi verso la Liberia, poi processato a Monza, dove fu prosciolto dall’accusa (il giudice gli dovette restituire anche una serie di diamanti grezzi del valore di miliardi).

In tutto questo tran tran è coinvolto anche qualche ex generale italiano. Eppure la legge 185/90 ordina agli ex militari di non assumere ruoli di amministratore in fabbriche di armi. In sostanza, chi sino a ieri ha comprato armi per l’esercito non può il giorno dopo diventare il presidente del Consiglio di amministrazione di Finmeccanica o di aziende collegate. “Per ragioni inspiegabili queste norme sono state disattese, lo si può dimostrare con qualunque visura camerale”, spiega Luca Marco Comellini, il segretario del Partito dei Militari. Il generale Mini non è per nulla reticente, anzi accusa di “mancanza di etica” e “di malaffare” i militari che si prestano a questi incarichi. “C’è da dire – comunque – che il vincolo non è per tutti gli ufficiali, ma per chi ha avuto mansioni riguardo l’approvvigionamento di armi (capi di Stato Maggiore, segretari generali …)”.

L’ostacolo normativo è di tre anni, ma può essere aggirato, con uno espediente: “Il blocco è valido solo per chi è in servizio attivo oppure in ausiliaria, ma non per chi è nella riserva. Così quando l’interessato va in pensione anziché starsene tranquillo per cinque anni in ausiliaria si fa mettere in malattia con la dicitura: non idoneo al servizio militare attivo (e quindi all’ausiliaria)”, spiega l’ex comandante della missione in Kosovo KFOR dal 2002 al 2003. Così gli ex delle forze armate trovano la strada spianata per diventare, solo per fare qualche nome, “presidenti o vice presidenti di Marconi, Oto Melara, Augusta, Vitrociset, con contratti che spesso sono stati firmati dai direttori generali delle aziende in questione ancora prima che quelle persone siano andate in pensione. Per me è un illecito: la Corte dei Conti, forse anche il tribunale penale, dovrebbero indagare”, conclude Mini. C’è chi in Parlamento favorisce il traffico? “Stiamo studiando il caso sin dal 1993, posso dire fra i governi di centro destra e di centro sinistra non c’è mai stata alcuna differenza”, dice Emmolo.

Sempre secondo il giurista, le lobby esistono e funzionano bene, “basta dire che anche negli ultimi mesi del governo Berlusconi si possono contare almeno due modifiche alla legislazione sulle armi. Tutte in senso liberista e tutte senza nessuna alzata di scudi da parte del centro sinistra. “I dati sono preoccupanti, il gruppo radicale sta studiando l’opportunità di redigere un’interrogazione parlamentare per ricostruire la mappa del movimento armi”, dice il senatore radicale Maurizio Turco. Leggere o pesanti, il commercio delle armi fa fare un sacco di soldi a un sacco di gente.

Note: Articolo al link http://notizie.tiscali.it/articoli/interviste/12/02/armi-leggere-interviste.html
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