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Voci contro l'acquisto degli aerei F35: quei miliardi si investano per lavoro, famiglie e sanità

Intervista a Francesco Vignarca, coordinatore di Rete Disarmo
BF
Fonte: Radio Vaticana - 08 gennaio 2012

Basta con le spese dello Stato italiano per gli F35. Ad unirsi al coro di voci che chiede di fermare l’acquisto di cacciabombardieri è stato mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia e presidente di Pax Christi Italia, il quale alla vigilia dell’Epifania ha chiesto in una nota di tagliare drasticamente i costi militari. Gli F35, aerei di attacco acquistati dagli Usa, costano quasi 150 milioni di euro ciascuno. In totale, un investimento di oltre 15 miliardi. Federico Piana ha intervistato Francesco Vignarca che su questo tema ha condotto un’inchiesta per la rivista "Altreconomia"

R. – Da tempo, ci stiamo opponendo all’acquisto da parte dell’Italia di questi oltre 130 cacciabombardieri con proiezione d’attacco e con, addirittura, la possibilità di portare testate nucleari. Noi, in particolare, abbiamo individuato il tema dell’F35 perché si tratta del programma militare più costoso della storia e, più in generale, ci sembrano fuori controllo tutte le spese militari. In una situazione economica così problematica, spendere troppo per le armi, per gli eserciti, per mantenere una finta sicurezza armata, e non avere risorse per le famiglie, per la sanità, per l’istruzione, ci sembra veramente un’aberrazione.

D. – In un momento di crisi nessuno si è chiesto se era possibile, e fattibile, togliere questi 15 miliardi dal budget dei militari: perché?

R. – Quando in questi mesi e in questi anni abbiamo portato avanti la nostra istanza per annullare questo tipo di acquisto, abbiamo sempre avuto come risposta quella delle "famose penali". In altre parole, ci dicevano: purtroppo, essendo un programma pluriennale, ormai siamo già partner, non possiamo tirarci indietro. Ma quello che abbiamo scoperto noi è che, al punto in cui si è, non esistono penali: siamo ancora nelle fasi di Taglia le ali alle armi sviluppo, di prima industrializzazione. Se l’Italia non sottoscrivesse il contratto previsto potrebbe tirarsi indietro, ovviamente perdendo i circa due miliardi e 700 mila euro investiti finora.

D. - Quante manovre si farebbero con 15 miliardi? Mezza o addirittura una...

R. – Questi costi sono spalmati in più di 10 anni, ma noi abbiamo calcolato che si tratta comunque di circa un miliardo e mezzo l’anno che è, ad esempio, la parte che riguarda le pensioni, settore in cui si è cercato o si cercherà di spendere di meno, mandando la gente in pensione più tardi, magari anche con lavori usuranti e logoranti. Uno solo di questi caccia equivale ai tagli del Servizio civile nazionale; uno solo di questi caccia equivale alle riduzioni che in questi anni ha avuto la cooperazione internazionale. Sono tutti ambiti dello Stato che, secondo noi, andrebbero preservati meglio, anche perché - lo dimostra proprio questa crisi - la sicurezza vera non è la necessità di avere dei caccia perché qualcuno ci bombarda sulla testa: la sicurezza è quella del lavoro, è quella dell’assistenza, quella legata all’ambito finanziario. L’Italia è stata sotto attacco finanziario e noi non avevamo risorse per poterlo fermare perché, in un certo senso, non avevamo possibilità di investire nelle imprese, nei cittadini, nelle idee.

D. – Ma servono questi F35 oppure no?

R. – Secondo l’Aeronautica militare, sì. Noi diciamo di no. Anche da un punto di vista strategico militare, noi abbiamo già quasi 100 Eurofighter che sono effettivamente caccia da difesa, sono intercettori. Gli F35 sono caccia d’assalto, progettati per la proiezione offensiva, così dicono le diciture militari. Quindi, non solo per un discorso di costi ma per un discorso strategico, di obiettivi, noi crediamo che non servano e che anzi siano dannosi. In questo senso, il messaggio di mons. Giudici, vescovo di Pavia e presidente di Pax Christi, in cui si chiede di lasciare la strada di Erode e di andare verso la strada del bambino, ci sembra pienamente calzante.

D. – Di Paola firma MOU Però, di fronte a questa frase dell’ammiraglio Di Paola, ministro della Difesa, che avete riportato anche voi di "Altreconomia", non si può non ragionare: “La crisi non fa venire meno funzioni fondamentali come la difesa”. E’ credibile come frase?

R. – Certamente. Il problema è un punto che noi sottolineiamo da tempo. Noi non capiamo perché difesa significhi militari. Non capiamo perché difesa voglia dire per forza armi. La difesa è una cosa più che legittima, ma non dobbiamo pensare che la si faccia solo sparando, tanto è vero che l’Italia è l’unico Paese al mondo - è una delle cose di cui potremmo vantarci e non lo facciamo mai - che nella legislazione si prevede stessa dignità tra la difesa armata e quella popolare non violenta, che è uno strumento che si potrebbe utilizzare. Non è solo dire non facciamo niente, ma è proprio uno strumento con cui si possono addestrare le persone e fare tutta una serie di percorsi. L’idea che ci sia della difesa solo la parte militare è qualcosa che non funziona. Lo vediamo anche nei conflitti. Dove si riesce veramente a raggiungere una pacificazione? Dove, di fronte a un intervento inizialmente di controllo, c’è stata subito una proiezione molto forte dell’ambito di riconciliazione e di ricostruzione. (bf)

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