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Quel favore di B. alla lobby dei fucili

Daniele Martini
Fonte: Il Fatto Quotidiano - 08 gennaio 2012

Avete presente gli Stati Uniti dove pistole, fucili e perfino mitra si comprano con la stessa facilità con cui si acquista un’aspirina? Avete presente le stragi di quei matti armati fino ai denti che fanno irruzione nelle scuole o nei supermercati, sparando a tutto ciò che si muove e lasciando per terra nel sangue povera gente ignara di tutto? Ecco, l’Italia si è messa sulla stessa strada. In America la faccenda il sequestro di armi è il frutto avvelenato di una vecchia tradizione addirittura solennemente garantita da un articolo della Costituzione votato più di due secoli fa con lo scopo di consentire al popolo di difendersi contro i soprusi degli aristocratici, gli unici a quei tempi ad avere di fatto il diritto di maneggiare armi. In Italia, invece, la novità è il risultato di una scelta molto più pedestre, uno degli ultimi atti del governo Berlusconi, preso in articulo mortis sotto la pressione della lobby dei fucili. Una lobby molto discreta, ma molto attiva. Gli industriali delle armi sono riusciti a far cancellare il Catalogo nazionale delle armi comuni da sparo, il registro tenuto dal ministero dell’Interno in cui venivano appuntati e classificati tutti i nuovi tipi di armi prodotti o importati.

ALLA LUCE di questa novità, l’amara constatazione sulla violenza dilagante a Roma da parte del sindaco Gianni Alemanno dopo il fattaccio di Tor Pignattara, dove una bambina e il padre sono stati assassinati per rapina, suona allo stesso tempo sacrosanta, ma anche come il pianto del coccodrillo. Il sindaco ha perfettamente ragione a segnalare che “ci sono troppe armi in giro e troppa disinvoltura nell’usarle”, ma non può ignorare che, se ciò avviene non è colpa di congiunzioni astrali, ma è anche grazie ad un atto del governo passato, espressione di quella maggioranza di cui lui stesso è uno degli esponenti più in vista. Secondo gli esperti, la soppressione del Catalogo istituito nel 1975 è una svolta niente affatto rassicurante. Spiega Emilio Emmolo dell’Archivio disarmo, l’organizzazione che da decenni svolge indagini e ricerche sull’industria e il co Fucili sequestrati GdF mmercio delle armi in Italia: “L’iscrizione dell’arma nel Catalogo costituiva la garanzia della tracciabilità attraverso il numero progressivo d’iscrizione, la descrizione e il calibro, il produttore o l’importatore. Con la soppressione di questo registro si elimina un altro anello della catena per il controllo sulla diffusione di armi e la diminuzione dei controlli è molto pericolosa”. Anche l’ex magistrato e senatore Pd, Felice Casson, durante il dibattito parlamentare aveva messo in guardia nei confronti dei rischi e dei pericoli che si sarebbero corsi eliminando il Catalogo, sostenendo che così si sarebbe fatto un favore alla criminalità. In Italia circolano già molte armi.

SECONDO l’Eurispes sono 10 milioni quelle detenute legalmente, 34 mila i porto d’armi per difesa personale, 50 mila quelli delle guardie giurate, 178 mila i permessi per il tiro a volo. Il governo Berlusconi aveva decretato la soppressione del Catalogo con il maxiemendamento alla legge di stabilità 2012 poi approvato con il voto di fiducia. La giustificazione formale della decisione era che così sarebbe stata introdotta una semplificazione amministrativa. D’ora in avanti, però, sarà molto più complicato per chiunque riuscire a distinguere tra i vari tipi di arma messi in circolazione e sarà più arduo segnare il confine di demarcazione tra armi vendute per la caccia e lo sport e altri tipi di armi, addirittura da guerra. C’è il rischio, insomma, che anche da noi possano essere venduti al dettaglio ordigni micidiali come pistole mitragliatrici e simili. Berlusconi era stato molto comprensivo con gli industriali delle armi anche con l’approvazione di un articolo della legge Comunitaria contenente modifiche in senso permissivo al controllo delle esportazioni di armi. L’Italia è molto attiva in questo settore. L’ultimo rapporto dell’Archivio disarmo certifica che l’esportazione di armi leggere, munizioni ed esplosivi non conosce crisi. Fu di 439 milioni di euro nel biennio 1997- ’ 98, raddoppiò a metà del primo decennio del-Duemila, è salita a più di 1 miliardo nel biennio 2009- ’ 10, con un incremento del 10 per cento sul biennio precedente. Gli industriali italiani hanno continuato a vendere armi ai paesi della primavera araba anche nei momenti più caldi ed esportano perfino in Stati sotto embargo Onu, dove si combatte o dove i diritti umani sono calpestati, come Afghanistan, Thailandia, Filippine, Colombia, Kenia.

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