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Armi al Colonnello, l'affare italiano

E mentre Gheddafi spara La Russa va alla fiera bellica
Cinzia Gubbini
Fonte: Il Manifesto - 24 marzo 2011

Mentre gli elicotteri di fabbricazione italiana sono probabilmente in azione in Libia (rappresentano gran parte della flotta elicotteristica del Colonnello) e mentre il nord Africa è in subbuglio e non si sa il «domino» dove arriverà, cosa fa il ministro della Difesa italiana, Ignazio La Russa? Va alla fiera delle armi di Abu Dhabi, la fiera più importante del Medioriente e del Nord Africa, dove si fanno affari e si «spingono» gli armamenti in quell'area. «L'industria italiana è diventata da tempo tra i leader mondiali della tecnologia nel settore Difesa», ha rivendicato ieri con orgoglio La Russa. Francesco Vignarca, della Rete italiana per il Disarmo, è basito: «Da anni denunciamo questo improprio ruolo del ministero della Difesa italiano. Ma che senso ha andare alle fiere degli armamenti? Quelle riguardano le industrie private, non è compito del governo "spingere" l'industria bellica italiana, semmai dovrebbe controllare che uso viene fatto delle armi. In questo momento, poi, la presenza di La Russa negli Emirati è ancora più fuori luogo». Come denuncia ancora la Rete , insieme a Pax Christi e alla Tavola della Pace «gli interessi italiani, e in particolare di Finmeccanica, hanno sicuramente bloccato in questi giorni l'azione del governo». Il sospetto diventa praticamente certezza osservando che, da quando è scoppiata la rivolta nel Maghreb, tanto Francia, Germania che Regno unito si sono espressi per la sospensione della fornitura di armi nella turbolenta area mediterranea. Ma l'Italia no. Non è un segreto che il Trattato di amicizia italo-libico sia nato sulla questione dell'«emergenza» immigrazione, ma abbia rappresentato un viatico per l'industria italiana in Libia. E che Finmeccanica abbia svolto un ruolo da leone. Qualche numero per capire la sostanza degli investimenti: nel 2009 le esportazioni belliche italiane in Libia hanno raggiunto la cifra record di 112 milioni di euro. Nel biennio 2008-2009 l'Italia ha autorizzato alle proprie ditte l'invio di armamenti in Libia per oltre 205 milioni di euro, cioè un terzo di tutte le autorizzazioni rilasciate dall'Ue. A confermare che alle politiche anti-immigrazione spesso e volentieri si «mescolano» affari guerrafondai c'è che tra i grandi esportatori di armi figura pure la piccola Malta - altra «frontiera calda» - per 80 milioni di euro. D'altronde uno degli ultimi accordi con il governo libico di una delle controllate di Finmeccanica, la Se La Russa e Guarguaglini lex - guidata da Marina Grossi, moglie di Guarguaglini, indagata per la vicenda degli «appalti facili» di Enav - riguarda la creazione di un non meglio «apparato di sicurezza» sul confine desertico della Libia per individuare gli immigrati che tentano di superare la frontiera (è stato chiamato il muro anti-immigrati) per un contratto del valore di 300 milioni di euro. Ma non solo. Nel 2008 abbiamo venduto otto elicotteri A109, nel 2009 due elicotteri AW139. Siamo stati protagonisti nell'ammodernamento della flotta degli aeromobili CH47 e comunque sin dal 2007 abbiamo venduto «bombe, siluri, razzi, missili e accessori» e «apparecchiature per la direzione del tiro», come scrive l'esperto di commercio di armi della Rete Disarmo Giorgio Beretta.
Ma le «mani in pasta» italiane in Libia vanno molto aldilà della semplice vendita di armi. La Libia è diventata secondo azionista di Finmeccanica con la Libyan Investment Authority, e secondo diverse voci avrebbe superato («spacchettando» le azioni tra Banca nazionale libica e Fondo sovrano) il 3%. Cioè il limite invalicabile per azionisti diversi dagli enti pubblici. Regola che vale anche per Eni e Enel. Stupefacente la risposta di Guarguaglini: «Non credo che lo abbiano superato». Ma l'amministratore delegato non dovrebbe esserne sicuro?

Note: Da www.ilmanifesto.it
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