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Le “ARMI” per sconfiggere la crisi. Nel 2008 boom di profitti per l'industria bellica.

Luca Kocci
Fonte: Adista

La crisi economica non tocca le industrie armiere italiane, avendo queste, nel corso del 2008, aumentato notevolmente i loro profitti: esportazioni autorizzate per oltre 3 miliardi di euro – cioè il 29% in più rispetto al 2007, quando la cifra si era fermata a poco meno di 2 miliardi e 400 milioni –, consegne realmente effettuate per 1 miliardo e 800 milioni (nel 2007 ammontavano a quasi 1 miliardo e 300 milioni) e autorizzazioni relative a programmi intergovernativi per 2 miliardi e 700 milioni, mentre nel 2007 erano poco più di 1 miliardo e 800 milioni (v. Adista n 31/08). È quanto emerge dal Rapporto del presidente del Consiglio dei ministri sui lineamenti di politica del governo in materia di esportazione, importazione e transito dei materiali d’armamento presentato lo scorso 31 marzo e pubblicato sul sito internet di Palazzo Chigi. Un volume d’affari record di oltre 7 miliardi e 500 milioni di euro che consente agli estensori del Rapporto – primo fra tutti l’ufficio del Consigliere militare diretto dal generale Adriano Santini – di rivendicare con orgoglio che “l’industria italiana per la difesa ha, quindi, consolidato e incrementato la propria presenza sul mercato globale dei materiali per la sicurezza e difesa, confermandosi un competitivo integratore di sistemi, capace di affermarsi in mercati tecnologicamente all’avanguardia”.

La Turchia, il miglior cliente

In cima alla dei Paesi destinatari delle armi italiane c’è la Turchia, che acquista sistemi d’arma per 1.092 milioni di euro, in particolare “elicotteri da combattimento” adibiti a “ricognizione tattica e attacco bellico”, prodotti dalla AgustaWestland, come annunciato in passato dallo stesso ministro della Difesa turco Vecdi Gonul. “Forse il semplice fatto che la Turchia sia un partner Nato e che si trattava di elicotteri ha fatto ‘sorvolare’ su qualche denuncia ribadita dalle associazioni per la difesa dei diritti umani e per il disarmo”, come per esempio Amnesty International, che accusano la Turchia di “violazioni dei diritti umani” e di condurre una guerra a bassa intensità contro i curdi, commenta Giorgio Beretta, della Rete italiana per il disarmo, nella puntuale analisi del Rapporto pubblicata sul portale informativo Unimondo. Del resto, prosegue, “AgustaWestland, una controllata di Finmeccanica di cui il principale azionista è il governo italiano, ha inaugurato lo scorso anno ad Ankara i suoi nuovi Regional Business Headquarters ed è perciò chiaro che business is business”.

Al secondo posto c’è il Regno Unito, con acquisti per 254 milioni, seguito dall’India, che compra armi di grosso calibro, bombe, siluri, razzi, missili, navi da guerra ed elicotteri per quasi 173 milioni. “Un tentativo forse di iniziare a ‘pareggiare’ la maxicommessa dello scorso anno al Pakistan” (v. Adista n. 31/08), aggiunge Beretta: “Se New Delhi, infatti, ha acquistato nel 2008, tra l'altro, una nave logistica Etna prodotta da Fincantieri, nuovi e consistenti affari sono in programma, visto che AgustaWestland si è recentemente alleata con la Tata per andare ‘all'assalto dell’India’ e non intende certo fermarsi agli elicotteri AW119 da ‘sorveglianza e ricognizione’ ma, come spiega un esperto del settore, propone l’AW129 Mangusta all’Aeronautica indiana che vuole 22 elicotteri d’attacco”. Dopo l’India compare una serie di Paesi acquirenti aderenti alla Nato, o suoi alleati (Francia, 130 milioni; Usa e Australia, 126 milioni; Germania, 108 milioni; Spagna, 105 milioni) per trovare poi al nono posto la Libia, che compra bombe, siluri, razzi, missili e soprattutto elicotteri per 93 milioni; e al decimo l’Algeria, che acquista elicotteri AgustaWestland per 77 milioni. E ancora, sempre nell’ambito dei Paesi non appartenenti alla Nato o all’Unione Europea, Nigeria (59 milioni), Oman (57 milioni), Brasile (43 milioni), Emirati Arabi Uniti (39 milioni), Venezuela (36 milioni), Kuwait (30 milioni), Pakistan (30 milioni), Arabia Saudita (22 milioni ), Egitto (17 milioni), Malaysia (7 milioni), Indonesia (4 milioni), Cile (2 milioni) e Israele (2 milioni). “Insomma – conclude Beretta – un bell'elenco di Paesi del Sud del mondo, in conflitto e in zone di forte tensione, tra cui non pochi spesso denunciati per violazioni dei diritti umani dalle organizzazioni internazionali”.

La AgustaWestland (presieduta dall'ammiraglio Marcello De Donno, capo di Stato maggiore della Marina dal 2001 al 2004) è l’azienda armiera che realizza più profitti. A seguire altre aziende del gruppo Finmeccanica (che è fra l’altro uno dei principali sponsor della Comunità di Sant’Egidio di Andrea Riccardi, della Comunità di San Patrignano di Andrea Muccioli e di altre organizzazioni umanitarie sia cattoliche che laiche, v. Adista nn. 21/07, 83/08 e 4/09): Alenia Aeronautica, Oto Melara, anch’essa presieduta da un ex capo di Stato maggiore, stavolta dell’esercito, il generale Giulio Fraticelli (per altri ex generali attualmente ai vertici delle principali industrie armiere v. Adista n. 83/06).

Banche armate, scompare l’elenco

Scompare dal Rapporto – e si tratta di un grave ostacolo alla trasparenza – l’elenco delle “banche armate” (cioè quegli istituti di credito che svolgono un importante ruolo di intermediazione fra aziende armiere e Paesi acquirenti, dal quale incassano compensi che possono variare dal 3 fino al 10 per cento della commessa), da anni messe sotto osservazioni da una campagna di pressione promossa dalle riviste missionarie Nigrizia e Missione Oggi e da Mosaico di Pace (v. Adista nn. 35/00, 49 e 61/01, 31/04, 7/06, 11 e 13/07). Una vecchia idea del premier Silvio Berlusconi e del ministro dell’Econo-mia Giulio Tremonti – che già nel 2005 annunciarono di voler trovare una “soluzione” per impedire alle banche di essere sottoposte al controllo dei cittadini (v. Adista n. 33/05) –, in parte realizzata lo scorso anno, quando eliminarono il dettaglio delle singole operazioni finanziarie non dal Rapporto sintetico ma dalla Relazione più analitica (v. Adista n. 51/08), ed ora messa in atto del tutto con la sparizione dell’elenco. “C’è da augurarsi che la sparizione dell'elenco non riguardi anche l'intera Relazione che il Presidente del Consiglio, ai sensi della legge vigente, avrebbe dovuto far pervenire al Parlamento entro lo scorso 31 marzo”, dice Beretta. “L’assenza della tabella riassuntiva dal Rapporto introduttivo 2008, una tabella in passato sempre presente, non fa che confermare l’allarme preventivo per una trasparenza che non si può assolutamente perdere in un ambito delicato come questo”, si legge in un comunicato della Rete italiana per il disarmo. “Un segnale che, forse, la lobby dell’opacità e della conservazione degli interessi ha ‘armi’ più efficaci della pressione delle organizzazioni della società civile verso una conoscenza chiara e trasparente dei dati dell’export militare italiano”

Note: Articolo al link http://www.adistaonline.it/?op=articolo&id=44650
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