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Disarmo e riconversione, vogliamo deciderci?

Francesco Martone
Fonte: Il Manifesto - 28 giugno 2007


L'intervista a Gianni Alioti (Fim-Cisl) sulla riconversione dell'industria
bellica apparsa su il manifesto del 20 giugno scorso mette in evidenza un
elemento estremamente critico in vista della discussione del prossimo Dpef,
ovvero il rapporto tra politiche industriali, produttive e spesa militare.
Nel 2006 i dati del Sipri confermano la forte ripresa dell'esportazione
militare italiana già segnalata dalla recente relazione della Presidenza
del consiglio sull'export di armi che riporta, per il 2006, commesse e
autorizzazioni per oltre 2,1 miliardi di euro. In questo quadro, il
rilancio delle iniziative sulla riconversione serve per sciogliere una
volta per tutte l'assioma, presente anche nell'azione politica ed
industriale del governo di centro-sinistra, secondo il quale l'industria
bellica rappresenta il principale volano per l'esportazione del made in
Italy e quindi per la creazione o la tutela di posti di lavoro.
Un'iniziativa forte si rende necessaria in tal senso anche per contrastare
fin d'ora la prevedibile impennata delle spese militari nella prossima
finanziaria, e per controbattere alle affermazioni contenute nella
relazione introduttiva all'ultimo rapporto al parlamento sulla legge
185/90, secondo il quali la riconversione non sarebbe conveniente né
praticabile dal punto di vista economico.
Accanto alla proposta che ci si augura venga sostenuta dalle forze della
sinistra di alternativa, andrà però affiancata una campagna di resistenza,
contro uno dei più delicati comparti di spesa militare futura, quella
relativa allo Joint Strike Fighter. Un progetto che, a detta di varie Corti
dei conti, rischia di essere un pozzo senza fondo in termini
economico-finanziari ed intorno al quale si sta coalizzando un fronte di
associazioni e movimenti.
Sul piano politico nazionale, riprendere la discussione su una legge sulla
riconversione servirà a rilanciare il dibattito pubblico sullo strumento
militare italiano, in chiave soprattutto europea e internazionale, viste le
mutate condizioni storiche, geopolitiche e geoeconomiche in cui uno
strumento militare, pensato essenzialmente per difendere il territorio
nazionale, si trova ad essere sempre più usato come «proiezione» di forza
verso l'esterno o come parte di missioni internazionali, quando non di
guerre non dichiarate come quella in Iraq.
Ciò fornirebbe lo spunto per un ripensamento dell'organizzazione militare
italiana, che consenta di enfatizzare le idee e i metodi della difesa
popolare nonviolenta, dell'obiezione fiscale alle spese militari,
dell'organizzazione di corpi di pace al posto dei reparti armati che
rappresentano l'Italia negli scenari di crisi. I conflitti in corso sono
anche il frutto delle sconsiderate politiche di esportazioni di armi del
recente passato e l'intensità e la pericolosità dei futuri conflitti
dipende anche dalle esportazioni belliche di oggi e di domani.
E' paradossale che, mentre da un lato si vuole combattere una guerra totale
contro il terrorismo, dall'altro si allargano le maglie del controllo della
vendita delle armi. Il disegno di legge che vede la mia prima firma e che
giace tuttora in Commissione attività produttive del Senato, prevede la
costituzione di un'Agenzia nazionale incaricata della riformulazione delle
politiche industriali al fine di una riconversione ad usi civili, ed
Agenzie regionali per lo studio e l'attuazione dei progetti di
riconversione dell'industria bellica e per la promozione dei progetti e dei
processi di disarmo.
Così facendo si realizzerà una maggiore democraticità nella proposta di
riconversione, una maggiore partecipazione degli interessati e quindi anche
una più dettagliata conoscenza del problema. Insomma la riconversione
dell'industria bellica, il disarmo nucleare e la riduzione delle spese
militari forniscono un'opportunità da non perdere per la sinistra
alternativa al fine di creare una sinergia costruttiva con movimenti e
realtà sindacali, al contempo rafforzando una politica estera, industriale
e commerciale di pace e prevenzione dei conflitti, senza che ciò vada a
discapito del diritto al lavoro.

Note:


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