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La proposta di bilancio Usa 2007 del presidente George W. Bush

Pier Francesco Galgani
Fonte: Pagine di Difesa - 17 febbraio 2006


Il 6 febbraio il presidente George W. Bush ha presentato alla stampa e al Congresso la proposta di bilancio per l’anno fiscale 2007 che avrà inizio il prossimo 1 ottobre. Il documento consta di quattro volumi con copertina verde e beige con lo stemma presidenziale ben in evidenza e segue di pochi giorni il discorso sullo stato dell’Unione pronunciato da Bush il 31 gennaio e la “Quadriennial Defense Review” (Qdr), l’aggiornamento quadriennale del piano per la difesa, il primo adattato agli scenari del dopo 11 settembre, e nelle intenzioni della Casa Bianca dovrebbe costituire sia la sintesi dei due documenti sia la base per l’attuazione delle proposte in essi definite.
Ciò è vero solo in parte. Con il bilancio da 2.770 miliardi di dollari presentato al Congresso l’amministrazione intende incrementare sia le risorse dedicate alla Difesa e alla sicurezza interna sia quelle necessarie a rendere definitive le riduzioni fiscali adottate nel 2001 e 2003 attraverso sensibili tagli ai fondi per gran parte dei programmi sociali federali come Medicare o l’attività di ricerca medica del National Institutes of Health. L’obiettivo è accrescere la sicurezza dell’America contrastando possibili attacchi terroristici sia dall’interno sia dall’esterno e consolidare la crescita favorita a scapito della spesa sociale. In realtà le decisioni economiche delineate nel budget 2007 non sono così semplici e chiare come appaiono da una loro superficiale lettura.

Il nuovo bilancio prevede un aumento del 7% delle spese militari e un aumento del 6% delle spese per il ministero per la Sicurezza interna, istituito dopo lo shock degli attacchi alle Torri. Tuttavia, al di là dell’ampio aumento delle risorse per il Pentagono, il loro utilizzo appare in contraddizione con quanto previsto dal nuovo Piano quadriennale della difesa. Il documento, presentato in una conferenza stampa il 4 febbraio dal segretario Rumsfeld assieme al capo degli stati maggiori riuniti Peter Pace, rappresenta una sostanziale revisione delle strategie post-11 settembre. Secondo gli esperti, l’attacco terroristico alle Twin Towers ha rappresentato una pietra miliare nell’evoluzione dei piani difensivi americani e nella spesa militare di Washington e delle altre nazioni occidentali durante l’intera seconda metà del Ventesimo secolo.

Se la realtà della Guerra Fredda imponeva scenari fondati sulla capacità delle forze armate alleate di combattere due grandi conflitti convenzionali contemporaneamente ed essere pronti a rispondere con efficacia a un primo attacco nucleare sovietico, la fine del confronto est-ovest e l’emergere della guerra al terrorismo ha comportato un rilevante mutamento di prospettiva.

Secondo la Qdr, nell’era attuale i comandanti americani non dovranno basare le proprie valutazioni su un nemico rappresentato da un altro Stato nazionale, ma su un avversario sfuggente, subdolo che attacca e si nasconde tra la popolazione civile e con cui ingaggiare una lunga guerra fondata non più su posizioni statiche ma su confronti dinamici e irregolari in teatri di enormi dimensioni dove l’arma più efficace saranno forze speciali in grado di adattarsi a culture e società diverse, pronte a svolgere operazioni di contro-insurrezione come quelle svolte in Vietnam dai Berretti Verdi e immediatamente dispiegabili ovunque servano sull’intero globo.

A questo scopo il bilancio 2007 prevede un incremento del 30% delle risorse per tali forze e operazioni di guerra psicologica, ma la maggior parte dei 439 miliardi dei maggiori finanziamenti militari sono destinati a essere spesi in una serie di progetti e armi più adatte a un confronto vecchia maniera che al nuovo tipo di dottrina strategica.

Sono previsti fondi per 10,4 miliardi di dollari per acquistare caccia F-22 Raptor, F-18 Super Hornet e per lo sviluppo del nuovo caccia F-35 Joint Strike Fighter. A ciò si devono aggiungere 11,2 miliardi di dollari per l’acquisizione di nuove fregate classe Ddx e altri sottomarini classe Virginia, oltre ad un incremento di 10,4 miliardi per rafforzare la difesa missilistica. Per un raffronto basti pensare che l’intera spesa di 181 milioni di dollari previsti nel bilancio per un miglior addestramento culturale e linguistico delle nuove forze speciali costerà meno di un solo caccia F-35.

Secondo il Pentagono, ulteriori spese per questo tipo di armamento serviranno a garantire ai comandanti la possibilità di disporre di una strategia militare più flessibile. Se questo è vero, è anche vero che con un avversario non tradizionale come le forze terroristiche una minaccia molto più immediata e credibile per la sicurezza americana non è tanto un missile nucleare lanciato da una nazione ostile, ma una “bomba nucleare sporca” confezionata da una organizzazione terroristica.

A parte le ovvie considerazioni sull’eccezionale “appetito” di quello che è conosciuto come l’apparato militare industriale (secondo la definizione di Ike Eisenhower nel suo “farewell address” del gennaio 1961), le contraddizioni tra la dottrina della “lunga guerra” e le attuali richieste di spese militari previste dal bilancio 2007 sono da individuarsi nella scadenza elettorale del prossimo novembre. In un anno elettorale spendere soldi federali per armi ipertecnologiche come il caccia stealth F-22 appare un mezzo molto redditizio per foraggiare, con aumenti dei posti di lavoro, collegi incerti di deputati e senatori repubblicani in cerca della rielezione. Di tali spese beneficeranno grandi società come la Boeing, la General Dynamics e la Lockeed Martin che al momento delle elezioni non faranno certo mancare il loro sostegno finanziario a candidati vicini all’attuale presidente. Una boccata di ossigeno in un momento in cui la ridotta popolarità del presidente rischia di togliere il controllo di entrambe le camere al Gop per riassegnarlo ai democratici.

A queste considerazioni si deve aggiungere che nelle richieste di ulteriori fondi da parte dell’amministrazione non devono essere comprese le spese per il finanziamento delle guerre in Iraq e Afghanistan (quantificate in altri 50 miliardi) che costituiscono voce a sé. L’esteso incremento delle spese per la Difesa e per i conflitti attualmente in corso è andato di pari passo con la richiesta di sostanziali tagli alle spese sociali. Se il presidente ha chiesto maggiori finanziamenti per la ricerca contro la pandemia da influenza aviaria, allo stesso tempo ha deciso di tagliare risorse per circa 15 miliardi per 141 programmi tra cui quelli a favore del cibo degli anziani, delle donne incinta e dei bambini e per garantire un’abitazione a persone avanti negli anni con bassi redditi.

Ma soprattutto ha proposto tagli per 36 miliardi in cinque anni al programma Medicare che provvede a fornire un minimo di benefici medici a poveri e anziani. In vista del progressivo ritiro dal lavoro della nutrita schiera dei baby boomers ed evitare l’implosione del già misero (se comparato ai livelli europei) sistema di welfare americano, i tagli proposti servono a ridurre la crescita delle risorse destinate a scopi sociali dall’8,1% previsto al 7,7 per cento. Se in un anno elettorale l’aumento delle spese militari rappresenta un indubbio beneficio per i parlamentari che correranno per la rielezione, i proposti tagli alle spese sociali per contenere il deficit (dovuto anche all’aumento delle suddette risorse per il Pentagono) potrebbero rivelarsi un vero e proprio boomerang per quegli stessi candidati.

Il malumore tra gli esponenti repubblicani è tangibile e potrebbe essere un freno all’effettiva realizzazione della diminuzione delle spese sociali. Ad esempio la senatrice Olympia Snowe del Maine si è detta convinta che i proposti tagli al programma Medicare potrebbero ridurre drammaticamente l’accesso dei più deboli alle cure mediche nonché la sua possibile rielezione al proprio seggio senatoriale. In effetti, con il pensionamento dei figli del boom economico del secondo dopoguerra, i timori di un possibile collasso del sistema assistenziale statunitense e di un ulteriore aggravamento del deficit di bilancio non appaiono così remoti, tuttavia l’amministrazione non è sembrata altrettanto previdente e responsabile riguardo i tagli alle tasse.

Con il combinato effetto degli aumenti di risorse per la difesa e dei proposti tagli ai programmi sociali il deficit di bilancio per l’anno 2006 raggiungerà il livello record di 423 miliardi. Quando Bush divenne presidente il bilancio non presentava un disavanzo ma un surplus di 127 miliardi. Nel 2001 e nel 2003 la sua amministrazione fece approvare una riduzione delle tasse per le fasce più ricche in base alla teoria della supply side economics e della curva di Laffer adottata dall’amministrazione Reagan che abbassare le tasse ai ricchi avrebbe costituito un poderoso stimolo alla crescita, causando una ripresa della crescita del deficit di bilancio.

Tralasciando la realtà storica del fallimento di tale teoria, gli operatori economici dissero che il costo in termini di squilibrio di bilancio sarebbe stato riassorbito dall’eccezionale sviluppo dell’economia statunitense. A distanza di qualche anno questo non è accaduto. Malgrado ciò, l’attuale amministrazione nel bilancio presentato ha chiesto di rendere definitivi tali tagli con un aggravio di 178 miliardi in cinque anni. Di fronte a tali proposte il senatore Kennedy ha sostenuto che se il Congresso approverà tale bilancio contribuirà a peggiorare il tenore di vita delle donne vedove, degli orfani, dei disabili e delle famiglie più povere mentre aiuterà i ricchi a diventare ancora più ricchi.

Nel discorso sullo Stato dell’Unione Bush aveva parlato anche della necessità di rendere l’America maggiormente competitiva nei confronti delle economie emergenti come India e Cina e a questo proposito nel bilancio per il 2007 sono previsti una serie di risorse per migliorare le attività di ricerca e sviluppo e per favorire la formazione di un maggior numero di scienziati secondo una strategia simile a quella adottata dalle amministrazioni Eisenhower e Kennedy dopo lo shock causato dall’improvviso lancio della navicella spaziale sovietica Sputnik nell’ottobre del 1957.

Nello stesso discorso Bush aveva sostenuto, con un certo realismo, che gli Usa sono eccessivamente dipendenti dal petrolio. Dopo un’affermazione simile si poteva pensare che nella successiva proposta di bilancio egli avrebbe fatto proposte adeguate per ridimensionare tale situazione. In realtà, a parte alcuni fondi chiesti per la ricerca di fonti di energia alternative, Bush non solo non ha fatto niente per evitare gli sprechi energetici (come il proliferare dei giganteschi Suv), ma anzi ha chiesto una riduzione dell’1,8% dei fondi per il dipartimento dell’Energia tra cui tagli alle procedure per garantire una maggiore efficienza nel consumo di energia e alla ricerca per l’energia idroelettrica e geotermale.

L’ultima notazione da fare riguarda il settore degli aiuti all’estero. Qui l’Iraq ha fatto la parte del leone con ben 709 milioni in più rispetto all’anno precedente. Le stesse considerazioni valgono per l’Africa, nuovo terreno di confronto nella competizione con la Cina per l’accesso alle risorse energetiche e per l’intero Medio Oriente. Un discorso diverso va fatto per l’America Latina. Nel bilancio gli aiuti al subcontinente hanno subito sensibili tagli evidenziando un fondamentale mutamento di priorità nella strategia di politica estera statunitense.

In un momento in cui Hugo Chavez si sta adoperando per sostenere economicamente le nazioni sudamericane limitrofe in funzione del suo progetto antiamericano e per l’integrazione dell’America Latina, le scelte di Washington in termini di aiuti appaiono quantomeno singolari e forse sono l’indizio di una certa difficoltà ed impotenza dell’attuale amministrazione nell’affrontare il declino della propria influenza sul continente: si preferisce dirottare le proprie risorse economiche su altre zone maggiormente in bilico dando forse per scontata la perdita dell’America Latina.

Note:
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