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Elezioni: ma lo vogliamo un dibattito sul modello di difesa?

Giorgio Beretta
Fonte: Unimondo - 07 febbraio 2006


Al di là della questione - non secondaria, ma non unica - del ritiro delle truppe dall'Iraq sembra che la questione del modello di difesa e delle spese militari sia volutamente preclusa dai dibattiti politici televisivi.

Credo, per cominciare, che sia tutto da verificare il luogo comune che vede il "centro-sinistra" come portabandiera del popolo della pace. Non sono proprio sicuro che "la sinistra" nel suo insieme intenda sostenere una politica di disarmo, di riconversione dell'industria militare e di pace. Dagli ultimi convegni in materia organizzati dai DS emerge l'esatto contrario. Il primo, tenutosi lo scorso novembre a Roma ha visto Marco Minniti e Piero Fassino ribadire davanti ai principali rappresentanti delle Forze Armate che, una volta al Governo, saranno introdotti finanziamenti aggiuntivi e un capitolo specifico nel bilancio della Difesa; il secondo, nelle scorse settimane sempre a Roma, ha visto di nuovo il leader dei Ds Piero Fassino affermare che "un fortissimo investimento per innalzare il livello tecnologico è un'opzione di governo fondamentale" specificando che "il cuore strategico" dell'innalzamento tecnologico "è rappresentato dai settori di spazio, difesa e sicurezza".

La forte impressione è che di queste cose i DS - ma non solo loro - preferiscano parlarne con un pubblico 'amico' come quello militare o della cosiddetta "industria della difesa": non c'è traccia, infatti, di questi convegni sul loro sito e mi chiedo se il tema non sia espressamente escluso da qualsiasi dibattito televisivo.

Anche le pressanti domande che l'appello "Addio alle armi" pone alle forze politiche rischiano di cadere nel vuoto se non ci sarà una veloce e forte mobilitazione del 'popolo della pace' su questi argomenti. Ripeto: non c'è solo la questione del ritiro delle truppe dall'Iraq. C'è il fatto che, nonostante i nostri giornalisti televisivi se lo scordino puntualmente, l'Italia è il settimo paese nel mondo per spese militari e spende pro-capite ben di più della Germania che non mi pare proprio un paese debole militarmente. (si veda la tabella dei 15 principali Paesi per spese militari del Sipri).

Se vogliamo essere pragmatici - come deve essere la politica - avanzo una proposta che vorrei vedere almeno valutata in vista dei prossimi programmi elettorali: portare da subito le spese pro-capite militari italiane (484 dollari) a livello di quelle tedesche (411 dollari). Si risparmierebbero più di 3 miliardi di euro all'anno da investire sempre nel settore della Difesa, ma nella riconversione di alcuni degli apparati militari in forme di "corpi civili di pace", nella riconversione a fini civili di quella parte di industria militare che è già in declino e in modalità di difesa popolare nonviolenta. Non toglierebbe niente alla "Difesa": la organizzerebbe in maniera più rispondente al dettato costituzionale (art. 11) e agli impegni che la comunità internazionale richiede all'Italia.

Come, infatti, ha fatto notare anche un analista non certo del mondo pacifista come il direttore di 'Analisi Difesa' Gianandrea Gaiani "dal punto di vista strategico non sembra esistere una dottrina che stabilisca in quali contesti, con quali prerogative e in base a quali interessi nazionali l'Italia sia disponibile ad inviare proprie forze nell'ambito di contingenti multinazionali. Da anni ci si limita a rispondere positivamente a tutte le richieste dell'Onu e degli Organismi internazionali come se la presenza di truppe oltremare potesse da sola rappresentare quella politica estera che negli ultimi 50 anni l'Italia non è mai riuscita a elaborare".

Da una proposta del genere ne avrebbero beneficio, innanzitutto, tutti quei militari che si sono arruolati negli anni scorsi più per trovare un lavoro che per una convinta scelta di abbracciare le armi per "difendere la patria". Spesso, poi, viene detto dagli stessi apparati militari che tra i compiti principali che questi militari svolgono all'estero ci sono mansioni di sostegno alle popolazioni locali, consegna di aiuti umanitari ect.: c'è tutto lo spazio, dunque, per demilitarizzare questa funzione e per mettere fine alla commistione "militare-cooperante" ripetutamente deplorata dalle organizzazioni non governative.

Criticando le dichiarazioni dell'ex generale Luigi Caligaris, Renzo Craighero (Nodo Lilliput di Bologna) afferma: "Caligaris fa però bene a sollevare un problema politico ed a richiedere alla politica una parola semplice e chiara sul ruolo del suo apparato militare. Analogamente dovremmo fare noi, tallonando realmente le forze politiche e impegnandoci di più nel delineare strategie concrete di superamento degli apparati militari e di costruzione di forme di difesa non armata".

Le elezioni sono uno di questi momenti. Ho l'impressione che le forze politiche - anche del centro-sinistra - non intendano parlare di questi temi al di là di qualche dichiarazione-slogan che poi non troverà riscontro nei programmi politici. Avanzo pertanto una provocazione. E' troppo chiedere al popolo della pace (dalla Tavola della Pace al Forum contro la guerra, dalla Rete Lilliput alla Rete Disarmo...) di mettere subito nell'agenda forme di pressione affinchè i diversi gruppi politici rispondano prima delle elezioni con chiarezza su questi temi? O preferiamo continuare a organizzare marce e manifestazioni ogni volta che c'è un'intervento militare non ci va bene?

Note:
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