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Armi leggere, guerre pesanti

Un'analisi della circolazione degli armamenti di piccolo taglio
Maurizio Simoncelli
Fonte: La Nonviolenza รจ in cammino - numero 1078 - 09 ottobre 2005


Nel mondo sono in circolazione circa 639 milioni di armi leggere e di piccolo calibro, una ogni dieci abitanti del pianeta. In Brasile e' in corso un referendum sulla vendita delle armi leggere ai privati, che sta sollevando un intenso dibattito all'interno del paese, data la grande disponibilita' di tali strumenti di morte in mano sia alla malavita, sia alle bande mercenarie e ai famigrati "squadroni della morte".
Eppure di tutto questo non si e' quasi per niente avuta notizia in Italia, che peraltro invece e' uno dei maggori produttori al mondo di armi leggere. Secondo gli ultimi dati ufficiali disponibili del Comtrade dell'Onu del 2001, l'Italia e' il secondo esportatore mondiale di questo tipo di armi. La nostra normativa in materia si riferisce al Testo Unico di Pubblica Sicurezza del 1931, aggiornato dalla legge 110 del 1975, per quanto riguarda le armi ad uso civile, e la legge 185/90 sulle armi ad uso militare. Mentre
la seconda legge e' articolata in modo da effettuare uno stretto controllo sull'export in relazione anche alla situazione dei paesi destinatari (guerre in corso, dittature, ecc.) e da garantire una conoscenza pubblica attraverso una relazione annuale al Parlamento, la prima non prevede vincoli altrettanto rigidi ed informazioni analoghe.
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L'Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, una ong che da 25 anni studia i problemi del controllo degli armamenti e della sicurezza, ha svolto diversi studi in merito (cfr. ad esempio Maurizio Simoncelli (a cura di), Armi leggere, guerre pesanti. Il ruolo dell'Italia nella produzione e nel commercio internazionale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Elisa Lagrasta, Le armi del Bel Paese. L'Italia e il commercio internazionale di armi leggere, Ediesse, Roma 2005).
Il quadro generale attuale non appare confortante. Nel corso del quadriennio 1999-2002 l'Italia ha esportato armi di piccolo calibro per un totale di 1.262.908.837 di euro. Il 40% di queste armi (501.872.292 di euro) ha raggiunto l'America Settentrionale. Il 36% delle esportazioni e' rimasto
all'interno dell'Unione Europea. Al terzo posto tra gli importatori si trova il gruppo dei Paesi Europei non appartenenti all'Unione (7% del totale). Segue l'area dell'Africa Settentrionale e del Medio Oriente (6% del totale).
Nei quattro anni considerati i dieci principali paesi importatori sono stati: gli Stati Uniti d'America (497.125.003 di euro), la Francia (93.027.579 di euro), il Regno Unito (84.128.053 di euro), la Spagna
(59.561.316 di euro), la Germania (56.325.769 di euro), la Turchia (40.964.212 di euro), la Grecia (38.776.932 di euro) gli Emirati Arabi Uniti (31.098.690 di euro), il Belgio (28.215.544 di euro) e la Malaysia (22.628.237 di euro). Si noti come sette dei principali paesi importatori siano europei. Seguono il Portogallo (con 22.251.230 di euro), il Giappone (con 20.396.906 di euro), la Norvegia (con 17.570.902 di euro), l'Australia (con 15.278.197 di euro) e il Libano (con 13.841.396 di euro).
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Se consideriamo la tipologia delle armi di piccolo calibro esportate complessivamente nel corso dei quattro anni notiamo che e' costituita principalmente da pistole, fucili e relativi accessori (821.529.154 di euro), corrispondente al 65% del totale, mentre le munizioni coprono un 32% del totale (399.280.070 di euro) e gli esplosivi il 4% (42.099.613 di euro). Il tipo di arma che ha garantito l'importo maggiore delle vendite con 318.268.089 di euro e' stato il gruppo dei fucili e delle carabine da caccia o da tiro sportivo ad una canna liscia. Se si analizza il trend economico globale sui 4 anni, si nota che e' il 2001
l'anno in cui l'Italia ha esportato la quota maggiore di armi di piccolo calibro: 355.450.642 di euro, ossia il 29% sul totale del periodo considerato. L'anno con l'ammontare piu' basso e' il 1999, con 279.698.661 di euro (il 22% del totale globale) seguito dal 2000 con 305.762.491 di euro (il 24% del totale). Il 2002 con una percentuale del 25% e un importo di 321.997.043 di euro rappresenta un leggero ribasso nelle esportazioni rispetto all'anno precedente.
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In linea generale - anche se non mancano eccezioni - si puo' notare che sono soprattutto i paesi cosiddetti in via di sviluppo o comunque non appartenenti all'orbita nord-occidentale a manifestare l'andamento piu' irregolare nelle importazioni di armi di piccolo calibro italiane, mentre gli stati piu' ricchi mantengono quote di importazione piu' o meno uniformi. E' interessante rilevare in particolare l'export significativo in diverse aree di crisi. Infatti, i casi piu' evidenti sono stati la vendita di oltre
10 milioni di euro di armi alla Federazione Russa, nonostante la crisi in atto in Cecenia; l'entrata di 6 milioni di euro di armi in Israele, in conflitto armato nei territori occupati; i 3 milioni di euro di armi vendute all'Algeria, da anni in stato di conflitto contro gruppi ribelli; i 2,5 milioni di euro che hanno raggiunto la Colombia nonostante la guerriglia interna; i 2 milioni di euro di armi importate dalle Filippine, in conflitto armato con gruppi separatisti; e gli 1,8 milioni di euro che sono entrati in India, benche' il paese sia accusato di gravi violazioni dei diritti umani e si trovi in stato di conflitto in alcune aree del proprio territorio.
L'Etiopia, sottoposta a continui embarghi, ha potuto importare armi italiane per un totale di quasi 1 milione di euro, come la Bosnia-Erzegovina che ne ha importati oltre 800.000 euro, e la Cina: quasi mezzo milione. Tra i casi di esportazione di armi, munizioni ed esplosivi in contrasto con il rispetto
per i diritti umani si segnalano la Turchia, con un'importazione di oltre 40 milioni di euro, la Malaysia con piu' di 22 milioni di euro di armi, Cipro con 6,3 milioni e il Guatemala con 3,2 milioni di euro di armi italiane acquistate.
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Il regime di controllo meno rigido a cui sono sottoposte le armi comuni da sparo ha consentito l'esportazione di questi materiali verso paesi in stato di conflitto armato, con forti tensioni interne, sottoposti a embarghi dell'Onu o dell'Unione Europea, o accusati di gravi violazioni di diritti umani.
La frequenza di casi di esportazioni, anche ingenti, a paesi con situazioni interne in contrasto con i criteri menzionati, rende necessaria una maggiore trasparenza e un maggior controllo dei trasferimenti di armi da fuoco. Le armi di piccolo calibro, anche se considerate ad uso civile, sono comunque strumenti di offesa e lo Stato dovrebbe non soltanto assumersi la responsabilita' delle autorizzazioni che concede alle esportazioni - per le quali, si ricorda, e' richiesta solo la licenza del questore - ma anche stendere documenti pubblici che registrino i movimenti di tali materiali, cosi' come avviene per le armi a prevalente uso militare. Invece, per ottenere informazioni sulle esportazioni di armi comuni da sparo e' necessario accedere ai dati dell'Istat, dotati di poca chiarezza interna e privi di organicita'.
Una relazione annuale del Presidente del Consiglio dei Ministri al Parlamento sarebbe un buono strumento per una maggiore trasparenza: la necessita' di rendere noti i movimenti di tutte le armi metterebbe lo Stato nella condizione di procedere alle concessione delle autorizzazioni all'esportazione con piu' attenzione alla situazione interna dei paesi destinatari delle armi.

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