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Marcelo Barros: disarmare i cuori per disarmare il paese

Voci dal Brasile
Marcelo Barros
Fonte: Centro di ricerca per la Pace di Viterbo - 06 ottobre 2005


Al di la' del dibattito e delle rivelazioni che ogni giorno i mezzi d'informazione presentano sulla corruzione politica ed economica che ancora e' vigorosa nel Brasile dei potenti, uno dei temi piu' discussi in questi giorni e' la campagna per il disarmo e la consultazione popolare - il referendum - sull'articolo dello Statuto sul disarmo che proibisce la produzione e commercializzazione delle armi da fuoco in tutto il territorio nazionale.
In ottobre il popolo brasiliano dovra' votare per decidere se in Brasile la produzione e la vendita delle armi da fuoco deve essere proibita. E' bene sottolineare che per la prima volta un paese da' ai suoi cittadini il diritto di votare su di un argomento cosi' decisivo per la vita e l'organizzazione della societa'. Per questo la stessa realizzazione del referendum costituisce gia' un'importante conquista per il popolo.
Man mano che si avvicina la data del referendum, il dibattito sull'argomento cresce. Vi e' chi, per scelta personale o perche' al servizio dell'industria armiera, difende la libera circolazione delle armi da fuoco. Ma molta gente e' convinta che senza armi il Brasile sara' un luogo migliore per i nostri figli e le nostre figlie.
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La grande stampa ha dato notizia che in un anno di vigenza dello Statuto sul disarmo l'indice delle morti per arma da fuoco in Brasile ha avuto una forte diminuzione. La recente Campagna di disarmo ha consentito fin qui di togliere dalla circolazione circa 500.000 armi. Peraltro questa cifra non
raggiunge neppure il 5% dell totale delle armi in circolazione. Clovis Nunes, coordinatore nazionale del "MovPaz" (Movimento per la pace) calcola che in Brasile continuino ad esserci 18 milioni di armi clandestine. Ogni anno circa 40.000 persone continuano a morire, vittime di colpi di arma da fuoco.
Le industrie armiere per opporsi al disarmo dichiarano di controproporre "che si disarmi il bandito, e non il cittadino". Ma le statistiche rivelano che l'immensa maggioranza dei crimini letali compiuti con armi da fuoco avvengono nell'ambito della famiglia e del vicinato. Naturalmente vi sono uccisioni legate a rapine e sequestri, ma - come dimostrano le statistiche - pochissime volte il fatto che un cittadino fosse armato ha avuto come esito una maggiore sicurezza per lui e la sua famiglia. Nella maggioranza dei casi, di fronte a un'arma il criminale, piu' esperto nell'uso di questo strumento, spara per primo.
In Brasile la maggior parte degli omicidi commessi con armi da fuoco non e' stata eseguita da quelli che la societa' chiama "criminali". Ogni persona puo' avere accesso ai documenti statistici diffusi dalla polizia che lo provano: in Brasile la maggioranza delle vittime delle armi da fuoco ha meno di trent'anni, e la maggior incidenza non l'hanno le aggressioni criminali, bensi' la violenza tra vicini, colleghi di lavori ed ex-innamorati. I dati statistici ci informano che e' proprio l'arma lasciata alle persone di famiglia quella che provoca piu' morti, quando non finisce, per un qualunque motivo, per passare nelle mani dei rapinatori o di qualche criminale legato al traffico della droga.
La campagna "disarma il criminale e non il cittadino" [la subdola campagna di disinformazione promossa dall'industria armiera affinche' le armi possano liberamente circolare, e l'industria degli strumenti di morte continuare ad arricchirsi sui cadaveri - ndt] mi ricorda quei vecchi film western in cui ogni uomo tiene nella fondina il suo revolver carico perche' la cavalleria potrebbe arrivare troppo tardi e lui non vuole "lasciare il proprio scalpo nelle mani di qualche selvaggio".
Nessuno di noi vuol vedere il Brasile ridotto a un nuovo far west in cui sopravvive solo chi spara per primo.
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In verita' ogni giorno siamo bombardati da notizie di crimini terribili. Molti parlano della violenza quotidiana come di una guerra civile non dichiarata. Questo non e' corretto. Questo tipo di violenza e' accidentale e non schiera a battaglia un popolo contro un altro, una classe sociale, o una etnia, in una guerra per eliminarne un'altra. In guerra la barbarie e' sistematica, pianificata per distruggere il nemico. Chi paragona la violenza nelle citta' brasiliane a una guerra dovrebbe ascoltare la testimonianza
delle persone che vivono a Baghdad, in Sudan, in Algeria... Affermare che viviamo in una situazione di guerra finisce per legittimare misure eccezionali, di restringimento delle liberta' democratiche e di maggior repressione poliziesca, misure che attentano ai diritti umani e in realta' non eliminano affatto la violenza.
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Gli stessi mezzi d'informazione che quotidianamente bombardano le nostre case con notizie di aggressioni e crimini, raramente danno notizia di avvenimenti molto piu' frequenti di costruzione di solidarieta' e pace, giorno per giorno, nelle famiglie e nelle comunita'.
Siamo un paese in cui il popolo ha subito la colonizzazione, da cui deriva l'eredita' di una delle piu' ingiuste e violente concentrazioni della terra, una ripartizione delle ricchezze piu' immorale di tutte le frodi e le corruzioni che si scopriranno ancora nel ceto politico.
In questa situazione i brasiliani coscienti vogliono mettere fine alla violenza strutturale e a quella di strada, in modo pacifico e nonviolento: cioe' senza armi, abolendo le armi. Lasciamo le armi allo Stato, e lo renderemo cosi' sempre piu' in grado di proteggere i cittadini di questo paese. Ogni altra soluzione significherebbe rovesciare il cammino della storia e regredire alla barbarie.
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Chi e' cristiano, poi, si deve ricordare di essere discepolo di quel Gesu' che disse: "Chi di spada ferisce, di spada perira'". Origene, cristiano del III secolo, ha scritto: "Quando Gesu', fatto prigioniero dai suoi nemici, comando' a Pietro di deporre la spada, ordino' a tutti i cristiani di bandire per sempre qualunque tipo di arma".

Note:

Dal sito www.referendosim.com.br riprendiamo questo testo. Marcelo Barros, monaco benedettino, teologo della liberazione, e' priore del Monastero dell'Annunciazione del Signore nella citta' di Goias; impegnato per i diritti umani di tutti gli esseri umani, tra molte altre opere ha scritto con Francesco Comina il libro Il sapore della liberta', La meridiana, Molfetta (Bari) 2005; di lui ha scritto Leonardo Boff: "Marcelo Barros e' un monaco, innamorato della Bibbia e dedito all'ecumenismo tra le Chiese e tra
le religioni, del quale sono amico e compagno di ricerca teologica e pastorale da piu' di trent'anni. Sicuramente, assieme a Carlos Mesters e Fei Betto, Marcelo Barros e' uno dei teologi piu' letti e amati dalle comunita' ecclesiali di base. Da bambino voleva essere veterinario di animali selvaggi. Invece e' diventato monaco benedettino e fondatore di un monastero ecumenico, una comunita' di monaci inserita in mezzo ai poveri e dove passano persone delle piu' diverse tradizioni spirituali. Marcelo ha sempre raccontato volentieri fatti vissuti personalmente, brandelli di vita vissuta con intensita' e profondita' di cuore. Scrive nello stesso stile con cui parla. In questo libro ha trovato un ottimo spazio per il suo tipo di comunicazione affettuosa e franca. La sua esperienza di biblista al Cebi (Centro di studi biblici) assieme a Carlos Mesters e poi nella Pastorale della terra e nell'impegno all'interno della comunita' di Candomble', lo hanno aiutato a sviluppare una teologia macro-ecumenica della terra,
dell'a'cqua. Ora, assieme ai suoi compagni e compagne di Asett (Associazione ecumenica dei teologi del Terzo Mondo), diffonde una teologia della liberazione a partire dal nuovo paradigma del pluralismo culturale e religioso"
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