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Export di armi: l'Unione contro la politica del governo

Andrea Scognamillo
Fonte: l'Unità - 26 settembre 2005


L’Unione si prepara a esprimere voto contrario in Parlamento sulla Relazione 2005 sulle esportazioni di armi. È la prima volta in 15 anni che la relazione sull’export di armamenti è oggetto di un dibattito parlamentare che ha affrontato le dinamiche di un mercato controverso che è allo stesso tempo un comparto economico di rilevanza primaria e espressione qualificante della politica estera italiana. La relazione viene presentata in applicazione della legge 185 del 1990, da sempre invisa alla lobby delle armi per i controlli che impone alle attività di esportazione e mediazione, e da tempo anche al centro di fortissime pressioni per una sua revisione in senso più permissivo.
Dal confronto è emersa una netta contrapposizione tra i due poli. La nota della maggioranza che accompagna la relazione preannuncia nuovi interventi sull’impianto della 185 tendenti ad alleggerirne ulteriormente i controlli. L’attenzione del Governo si accentra in particolare sulla campagna di pressione sulle “banche armate” iniziata nel 1999 su iniziativa delle riviste missionarie Nigrizia, Mosaico di Pace e Missione Oggi. Nella nota che accompagna la relazione si legge «come siano allo studio soluzioni per superare il problema degli istituti bancari al centro di pressioni da parte dell’opinione pubblica per avere svolto un ruolo di intermediazione finanziaria in merito a commesse di armamenti». Eloquente la posizione del relatore Giuseppe Cossiga, di Forza Italia, nel suo intervento in commissione riunite. Il deputato azzurro ha sottolineato come sia «eccessiva l'enfasi con la quale la relazione dà conto dell'ammontare complessivo delle operazioni finanziate dagli istituti di credito. Infatti, in mancanza di ulteriori informazioni sull'oggetto delle operazioni finanziate, si forniscono dati che risultano non solo fuorvianti, ma suscettibili di alimentare campagne di informazione del tutto prive di fondamento, come nel caso della campagna banche armate».

Nonostante quindi la relazione 2005 abbia registrato un nuovo consistente incremento dell’export italiano di armi, più 16,8% rispetto all’anno precedente, nonostante il volume di affari abbia toccato una cifra record di pochissimo inferiore al miliardo e mezzo di euro, nonostante il moltiplicarsi delle aree di crisi e di insicurezza mondiali, ad attirare contromisure e oggetto di specifici provvedimenti è una civilissima campagna di sensibilizzazione dei cittadini sull’impatto del commercio di armi. Il documento, ancora non definitivo, che esprime la contrarietà dell’ Unione, parte dalla considerazione che deve essere la politica estera a determinare il quadro e i limiti del commercio delle armi tra stati e tra privati, per il suo impatto sulla sicurezza e la stabilità internazionali e per non alimentare i conflitti nel mondo e non aiutare militarmente i paesi responsabili di violazioni dei diritti umani.

Si legge nella bozza del documento: «la tendenza vede crescere anche per il nostro paese gli scambi in materia di armamenti in questo quadro emerge la assoluta mancanza di un profilo chiaro di politica estera sulla base del quale si esplichi l’attività di produzione e commercio di armamenti tenendo ben presente che essa non può tendere a sostenere o alimentare paesi in conflitto, quelli responsabili di violazioni dei diritti umani e quelli che non aderiscono ai trattati internazionali per la messa al bando di particolari sistemi d’arma e per la non proliferazione degli armamenti nucleari». Secondo la mozione dell’Unione: «i dati contenuti nella relazione evidenziano che la dovuta attenzione verso tali principi non vi è stata e che verso paesi che nel giudizio internazionale sono al di fuori di questi parametri l’Italia ha comunque esportato materiali d’armamento». Nella prossima settimana, a conclusione del dibattito e ostruzionismo permettendo il documento verrà presentato in Commissioni riunite

Note:
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