Le armi nel libero mercato
L'annuncio è apparso sui principali quotidiani europei e americani. Il governo nepalese chiede forniture per armi, sia militari che civili, "necessarie per le esigenze di sicurezza verso il popolo nepalese e nella guerra contro i maoisti". Nella lista c'è di tutto dai fucili alle munizioni, a carri armati, esplosivi, elicotteri, aerei, attrezzature per la comunicazione e di sicurezza, strumenti ottici. Nessun limite alla quantità. L'idea è nata nei circoli militari nepalesi in risposta ad un tacito embargo di armi deciso a livello internazionale dopo che il primo febbraio scorso il re Gyanendra aveva licenziato tutto il governo concentrando in sè ogni potere. Con la cessazione, il 29 aprile scorso, dello stato di emergenza e le promesse ai leader di India, Gran Bretagna e Stati Uniti che la “democrazia” sarebbe stata presto ripristinata, il re si aspettava il ritorno degli aiuti e la fine dell'embargo di armi.
Ma la nuova ondata di proteste di piazza per chiedere democrazia e i continui arresti da parte dell'esercito, su ordine del re, nei confronti di politici e giornalisti oppositori della monarchia, hanno convinto diversi governi, in primis quello indiano, a non riprendere la fornitura di armi al regime di Katmandu. Così l'esercito si è trovato con l'acqua alla gola e due sole alternative: reperire le armi attraverso il mercato nero o... il libero mercato. Da qui l'annuncio sui giornali.
Annuncio che deve esser stato tradotto anche in cinese visto che venerdì scorso Pechino ha venduto all'esercito del piccolo regno himalayano cinque carri armati. Poca cosa è vero, ma un segno dei tempi. Oggi chi la fa da padrone nel libero mercato è la Cina e non c'è da stupirsi se anche nel settore militare, tradizionalmente appannaggio delle potenze occidentali e della Russia, Pechino stia avanzando velocemente. Non è ancora in grado di competere con le sofisticate tecnologie dell'Occidente, ma l'esportazione di armi cinesi ha già soppiantato per volume d'affari quella italiana tanto da piazzarsi all'ottavo posto nel mondo.
Per non restare troppo indietro, l'Italia si appresta a ratificare un accordo bilaterale con la Cina per "produzioni congiunte" di tipo militare. L'"Accordo nel campo della tecnologia e degli equipaggiamenti militari", che avrebbe dovuto arrivare alla Camera già lo scorso settembre, prevede tra l'altro non meglio specificate "acquisizioni e produzioni congiunte" di tipo militare tra Roma e Pechino.
Nel dicembre scorso, proprio mentre il presidente Ciampi era a Pechino e dichiarava che "l'Italia guarda favorevolmente e lavora attivamente affichè sia presto posta fine all'embargo di armi dell'Ue verso la Cina", le agenzie riportavano la notizia della firma di un accordo per la vendita di materiale bellico da parte di Pechino al governo antidemocratico del presidente Mugabe dello Zimbabwe, verso il quale vige un embargo internazionale. Un affare da 240 milioni di dollari che Mugabe ripagherà con "terreni, risorse minerarie e avorio". E' il libero mercato ma, all'occorenza, anche il baratto funziona a meraviglia.