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Il salone aerospaziale di Le Bourget

Andrea Tani
Fonte: Pagine di Difesa - 20 giugno 2005


Si è svolto nella settimana scorsa il 45° Salone Aerospaziale di Le Bourget, la più prestigiosa esibizione di tecnologia e prodotti per l'aeronautica e la difesa del mondo, che ha luogo presso uno degli aeroporti storici di Parigi ogni due anni più o meno dal 1909, da quando alcuni avventurosi notabili parigini decisero che il volo dei fratelli Wright di sei anni prima rappresentava l'inizio di una nuova era e non uno dei tanti funambolismi di un'epoca innamorata del progresso. L'edizione di quest'anno è stata la più massiccia e affollata della storia dell'evento, anche per il ritorno in forze degli americani, che avevano disertato il salone precedente per l'ostilità francese a Iraqi Freedom. 1905 espositori, a fronte dei 1728 del 2003, con 504 chalet attrezzati, a fronte dei 486 di due anni fa (per inciso, lo stand di Finmeccanica è stato giudicato il più bello del Salone, e non è stato il solo successo del gruppo italiano, come vedremo).
Non solo sono ricomparsi gli yankee, ma hanno costituito il polo di attrazione fondamentale di tutte le strategie e i giochi che si sono evidenziati durante la rassegna. E questo sopratutto per la formidabile competizione che oppone la Boeing e l'Airbus nel campo del trasporto aereo commerciale. Il gigante di Seattle sta cercando di riguadagnare la leadership planetaria perduta due anni or sono a vantaggio del suo rivale europeo attraverso il lancio di un velivolo rivoluzionario, il B-787 "Dreamliner", che dovrebbe entrare in linea nel 2008. Si tratta di un bimotore ad ampia autonomia molto leggero (costruito con una altissima e inedita percentuale di compositi) a bassissimi consumi ed emissioni e grande ergonomia. E' stato progettato per dominare il segmento a lungo raggio e media capacità che gli esperti sostengono essere quello con maggiore gradiente di sviluppo e redditività per il futuro. Anche perché il medesimo aeroplano collegherà tutti gli aeroporti e non soltanto gli hub principali, come invece è destinato a fare l'altra vedette del salone, il gigantesco A-380 dell'Airbus che ha peraltro impressionato i convenuti per le sue dimensioni ciclopiche ("Sembra una nave" è stato il commento generale) e le inaspettate qualità volatorie.

Il suo primo esemplare dovrebbe essere consegnato alla Singapore Airlines entro il prossimo anno. Il 380 appartiene tuttavia a un altro genere di vettori, quelli a elevata capienza, che non è detto mantenga nel trasporto aereo la stessa valenza economica e operativa del suo predecessore, il B-747 della Boeing. Il doppio ponte del 380, in particolare, preclude la sua utilizzazione da molti aeroporti e anche quelli maggiori si dovranno dotare di infrastrutture apposite per potere imbarcare ottocento passeggeri nei tempi consueti. Non si sa bene quanti aeroscali lo faranno. Per contro, il Dreamliner può arrivare agevolmente anche negli aeroporti di provincia e trasporta a oltre diecimila chilometri un ragguardevole paio di centinaia di passeggeri in condizioni di comfort assolutamente sconosciute oggi.

La vera risposta europea al 787 è il nuovissimo A-350 della stessa Airbus, un adattamento stile Dreamliner della famiglia 330, con le ali del 340. Questa flessibilità di configurazione rappresenta uno dei punti di forza progettuali della famiglia di velivoli Airbus, ma è raro che una contromisura, per quanto brillante, abbia lo stesso potenziale innovativo del motivo che l'ha determinata, se quest'ultimo è autentico. Come il gigante 380 è una reazione europea al Jumbo ideato quaranta anni fa con una lungimiranza che oggi appare prodigiosa, così il 350 è un Dreamliner all'européenne, un'imitazione dell'originale che ne coglie le caratteristiche essenziali (e note) ma non forse l'allure intrinseco. Il che non vuol dire che il binomio europeo (350 + 380) non sia in grado di sbaragliare quello americano (Dreamliner più Jumbo potenziato a 600 posti, il primo esemplare dei quali sta uscendo dalle catene di montaggio Boeing). La partita è del tutto aperta e nessuno è in grado di avanzare pronostici in un senso o nell'altro.

Anche perché il duello sta estendendosi ad altri campi, quello militare ma soprattutto quello politico. Il primo è legato all'esito dei tentativi in atto dal braccio militare di Airbus (l'Eads) di scalzare il virtuale monopolio Boeing nel campo degli aerorifornitori - i cosiddetti "tanker" - sempre più essenziali negli scenari di conflitti esotici e spedizioni militari remote di oggi. Gli europei hanno portato la guerra nel quartier generale nemico, negli stessi Stati Uniti, avanzando proposte molto competitive per il rinnovo della flotta dei tanker dell'Usaf (oltre seicento macchine, in gran parte vecchi quadrimotori Boeing derivati dal venerabile B 707 o più recenti trimotori Mc Donnell Douglas). Tali proposte prevedono una versione rifornitore del A-330, da costruire in Usa completamente "All American" in quattro Stati del sud (repubblicani, a differenza della Boeing che è accusata di simpatie democratiche), con accordi di cooperazione con grandi società autoctone come Northrop Grumman e Lockheed Martin. Esattamente come hanno fatto Agusta Westland e Finmeccanica in occasione della gara per l'elicottero presidenziale statunitense vinta dal Us-101.

Eads ha anche sfruttato la crisi che è in atto fra la Boeing e il Pentagono per una prolungata storia di mazzette e interferenze indebite che ha portato alla decapitazione del gruppo di Seattle, nonché per il mezzo flop internazionale del suo tanker proposto all'Usaf, una versione del suo bimotore 767, venduta solo in Italia (ma Finmeccanica ha un ruolo importante nel business e quindi la cosa ha una sua logica) e in Giappone. Il 330 Eads ha mietuto invece molti allori, anche in terreni di caccia anglofoni come Regno Unito, Australia e Canada, oltre che nell'ovvia ma comunque influente Germania.

La storia sembrava avviarsi verso una vittoria europea, quando la lobby pro-Boeing è riuscita a buttare una grossa carta sul tavolo: il governo americano ha denunciato alla World Trade Organization (Wto) la pratica di prestiti agevolati e rimborsabili dei governi europei all'Eads per lo sviluppo dei suoi aerei, chiedendone l'interruzione. Una successiva mozione, approvata dal congresso di Washington subito dopo, obbliga il Pentagono a non acquistare manufatti da paesi che siano sottoposti a inchieste Wto per "unfair competition". Questa politica è tuttavia avversata dagli altri colossi dell'aerospazio statunitense, sia perché essi stessi fungono da cavalli di Troia degli achei dell'Eads e vogliono scalzare il dominio domestico della Boeing, sia - soprattutto - perché il mercato europeo è per loro il più ricco del mondo dopo quello americano e l'ultima cosa che si augurano è una guerra commerciale fra Europa e Stati Uniti nel settore. Ma certo i medesimi colossi non possono mettersi di traverso a una decisione del Congresso. Il risultato, per ora, è che le alleanze tra Eads e contractor Usa, indispensabili per operare negli States e che dovevano essere annunciate a Le Bourget, sono state per il momento congelate.

E' difficile precedere come questa storia andrà a finire, anche perché la valanga dei contenziosi legali e delle mosse politiche ha cominciato a rotolare ed è difficile che qualcuno possa fermarla. Il Wto dovrebbe metterci un paio di anni per dirimere la controversia, se mai ci riuscirà. Per inciso, si tratta di un lasso di tempo sufficiente per permettere lo sviluppo del summenzionato A-350, la risposta Airbus al Dreamliner, che ha bisogno urgente di quattrini dai governi europei per decollare. L'intreccio di interessi e temi è quanto mai complicato e difficile da interpretare. Si tratta a questo punto di un brutale braccio di ferro: chi avrà più forza e perseveranza prevarrà, a meno di colpi di scena imprevedibili. Non aiuta entrambi i contendenti (Boeing e Eads) il fatto di essere senza vertice da qualche mese, per differenti ragioni, né aiuta Eads la recente crisi europea sulla costituzione e il bilancio, che lasciano prevedere una battuta di arresto del processo di integrazione continentale e di tutti gli argomenti a esso collegati.

La lotta fra i due giganti su nuovi airliner e tanker - e più in generale sulla leadership del trasporto aereo commerciale mondiale - non è il solo scontro fra europei e americani evidenziato al Salone. Altri stanno a pari o addirittura avanti. Il più importante è costituito dal confronto per leadership nel campo dei velivoli da combattimento, fra i numerosi e agguerriti prodotti europei (Eurofighter, Rafale, Gripen) e i loro omologhi americani: le ultime versioni di F-16 e A/F-18 e soprattutto il futuristico Joint Strike Fighter, il quale quando (e se) entrerà in linea, verso il 2010, sbaraglierà ogni competitore e dominerà il mercato mondiale. Com'è noto, il più avanzato velivolo americano di oggi (F-22 Raptor) è "Us eyes only" e non sarà mai esportato, per l'estrema segretezza delle sue tecnologie. Di fatto, quello che poteva essere svelato all'esterno è stato trasferito sul Jsf.

Fra tutti i contesti internazionali dove si sviluppa la competizione fra le due sponde dell'Atlantico uno riveste particolare importanza, per le sue dimensioni e la sua recente e repentina irruzione sulla scena. Si tratta dell'Aeronautica indiana, che prevede di sostituire a breve la sua linea di vecchi Mig-21 (126 velivoli per 4 miliardi di euro). Si tratta del massimo oggetto del desiderio aeronautico della scena attuale, non solo per il valore della commessa, ma per la preminenza che farebbe assumere, a chi se la aggiudicherà, nei confronti di uno dei principali attori della scena geopolitica mondiale del prossimo futuro, che è anche uno dei maggiori acquirenti di aerei civili del momento: un quarto delle transazioni del Le Bourget ha riguardato acquisti di compagnie indiane di nuova costituzione, frutto della recente liberalizzazione da parte del governo di New Delhi su questo come su altri temi.

Non altrettanto sta succedendo con la Cina, sia per il settore civile - Pechino ha già fatto importanti compere nel passato e per ora non ha intenzione di liberalizzare il trasporto aereo - che per quello militare, dove l'embargo occidentale è ancora in vigore. E' presumibile che lo rimarrà non per poco, anche da parte dell'Unione Europea, che non ha bisogno di altre discrasie interne rispetto a quelle che già ha. L'Armata Popolare compra aerei russi e al massimo li equipaggia con avionica occidentale, soprattutto israeliana. Il vero riflesso degli armamenti cinesi su Le Bourget si verifica sui vicini della Repubblica Popolare, che sono preoccupati della sua crescita esponenziale e si stanno armando alla grande, dal Giappone, alla Corea, a Taiwan, alla Thailandia, alla Malaysia, all'Australia, alla citata India. Interessante, parlando di Asia, la cooperazione su un nuovo supersonico civile annunciata al Salone dai governi francese e giapponese. Se i due partner passeranno dai preliminari ai fatti veri, potrebbe essere scritto un nuovo capitolo della storia dell'aviazione civile. Ambedue possiedono tecnologia, ambizioni e risorse economiche assai cospicue e sono in grado di far progredire sensibilmente lo stato dell'arte, anche se gli esperti sono alquanto scettici sulla possibilità di un supersonico di linea. Il Mach 2 dovrebbe essere riservato solo agli executive di lusso.

Su altri temi altrettanto cruciali la competizione fra europei e americani è molto meno serrata, per la persistenza di una superiorità americana incontrovertibile. Uno di essi è costituito dalla importantissisma area dei velivoli non pilotati, che si avvia a grandi passi a sostituire quella tradizionale negli ordini di battaglia delle forze aeree. Un'altra è l'ancora più importante integrazione telematica di armi e sensori in un unico gigantesco "Sistema di Sistemi" networkcentric, dove lo stato dell'arte è dominato all' 80% da quello che fanno e progettano forze armate e industrie statunitensi. Sui velivoli non pilotati, i cosiddetti Uav e Ucav, gli europei stanno recuperando abbastanza rapidamente, con decine di progetti in cantiere e un vero aereo da combattimento in fieri, il francese "Neuron". Partecipato da altri europei, fra i quali Finmeccanica, esso è del tutto comparabile con i vari omologhi americani prossimi a entrare in servizio: gli X-45 e 47. Per la Ncw, la networkcentric warfare, invece, l'Europa è ancora molto indietro, per le stesse ragioni per le quali non hai mai recuperato il gap iniziale con gli Usa nelle tematiche strutturali di Internet.

Un altro argomento importante - e quasi vitale per la buona salute futura dell'industria aerospaziale italiana - è quello per l'aggiudicazione della prossima gara di elicotteri da Combat Sar (Search and Rescue) dell'aeronautica americana, alla quale partecipa lo stesso team "Augusta + travestimento americano" che si è aggiudicata la celebre gara presidenziale qualche mese fa. Le prospettive sono buone, anche se negli Usa è in atto un riflusso protezionistico antieuropeo per i prodotti per la Difesa che non promette niente di buono. C'è da dire che con europei da tenere a distanza gli americani intendono soprattutto i franco-tedeschi (vedasi il recente niet di Condoleeza Rice alla Germania in Consiglio di Sicurezza). Gli inglesi sono parenti e gli italiani amici, nonché compagni d'armi in Iraq di entrambi. E comunque i "paisà" sono inoffensivi e malleabili, e "tengono famiglia". "So far so good", almeno per la nostra industria della Difesa. Qualunque approccio è consentito - "Con Franza o Spagna purchè se magna", "Pecunia non olet", "Stars and stripes forever" - al cospetto di una posta in palio così importante. Se dovesse spuntare un successo, avrà certamente molti padri e nessuno si scandalizzerà. Tantomeno l'Eurocopter, carolingio rivale dell'Agusta che sulla travolgente campagna nordamericana del gruppo italiano "rosica" e basta, come dicono a Roma.

Un altro successo possibile - e a detta dei ben informati ancora più verosimile - dell'industria nazionale potrebbe riguardare la conquista del segmento di velivoli tattici da trasporto per lo Us Army da parte del C-27J di Alenia Aeronautica. I competitori sono pochi, sparuti e politicamente scorrettissimi per l'attuale amministrazione americana: il principale di essi è un piccolo bimotore Casa (cioè Eads) - e questo già basterebbe a far ruotare il pollice verso il basso - che ha anche la sventura di essere disegnato da spagnoli. Siamo nel "todos zapateros" più urticante per l'attuale amministrazione di Washington.

E' il caso di menzionare, infine, un ultimo caso di affermazione italiana, anche se a mezza con i cugini transalpini. Ne sono protagonisti i bimotori a turboelica Atr-42 e 72, che stanno mietendo una rimarchevole e inaspettata messe di successi in versione civile e militare. Per la prima, la fortuna ci ha messo del suo, con l'aumento esponenziale del costo del petrolio e il boom delle società aeree a basso costo in tutto il mondo, che valorizzano particolarmente l'economicità del mezzo (20-30 dollari risparmiati a passeggero per volo medio). Per la seconda i meriti sono più della società, che ha sviluppato una versione da pattugliamento marittimo del velivolo (Mpa) su commesse iniziali che non superavano le dita di una mano (italiana, ovvero Guardia di Finanza e Guardia Costiera). La macchina ha risposto bene e le sue doti di sobrietà si sono di nuovo messe in luce, a fronte di bilanci della Difesa universalmente decrescenti, accoppiati alla crescita delle tematiche paramilitari "minori" legate ai mari costieri e territoriali. Ha fatto il resto la rarefazione delle flotte subacquee di alte prestazioni (sovietiche) che imponevano squadroni di agguerriti e costosissimi Mpa per contrastarle.

E' quindi possibile che l'Atr in versione Mpa "light"mieta altri successi, in aggiunta agli ordini dell'Aeronautica turca (dieci velivoli) annunciati a Le Bourget. Si parla anche di un rinnovato interesse delle forze armate italiane al tema, come risulta da un'intervista del capo di stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giampaolo Di Paola, a Defence News del 30 maggio. La traduzione dell'interesse in ipotesi concrete consentirebbe di mantenere in patria i denari destinati al previsto acquisto dell'Mpa della Us Navy (Mma, Multi Mission Aircraft) in corso di sviluppo oltreoceano, con una partecipazione italiana tutta da verificare. Questa soluzione sarebbe oltremodo auspicabile, soprattutto se la vicenda Mma si profilasse come quella Jsf, ossia senza partecipazioni italiane tecnologicamente significative. In un contesto Atr sarebbe possibile, in aggiunta, usufruire di fondi per lo sviluppo tecnologico non appartenenti al ministero della Difesa, come è avvenuto per le fregate italo francesi Fremm, le quali sono state salvate dal ministero delle Attività produttive nel quadro del recente decreto legge per la competitività, proprio perché coinvolgevano pesantemente attività industriali nazionali.

Note:
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