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Spese pazze in armamenti

Silvana Pisa
Fonte: L'Unità - 16 giugno 2005


L'intervista al Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Giulio Fraticelli "Troppi soldi per navi e aerei. Ma chi dobbiamo attaccare?" - pubblicata recentemente sul Corriere della Sera - ha provocato discussione non solo tra gli addetti ai lavori ma anche in chi è interessato alle strategie della Difesa del nostro paese.
Sul metodo: non dovrebbe essere "usuale" da parte di un pur autorevole ufficiale pronunciarsi pubblicamente su scelte politiche di così ampia portata che dovrebbero spettare ad altri soggetti istituzionali. Ma è da tempo che più d'uno tra gli alti gradi militari ci fanno sapere dalle pagine dei giornali quello che tacciono nelle audizioni parlamentari, in cui preferiscono ritagliarsi un ruolo apparentemente neutrale e tecnico. Già mesi fa - nel dicembre 2004 - provocò scalpore l'intervista del Capo di Stato Maggiore della Difesa Ammiraglio Di Paola in cui, riferendo di aver preparato un documento per il Governo sul "concetto strategico" - mai arrivato in Parlamento - affermò che per "fronteggiare possibili minacxe future" occorreva un potenziaimento delle forze speciali, la dismissione di 10.000 marescialli "di troppo" ma soprattutto l'acquisto di sistemi d'arma più potenti.
Affcrmazione assolutamente oposta - e qui sta parte del merito del dibattito - alle recenti dichiarazioni di Fraticelli: la vera risorsa della Difesa è il capitale umano. Cioè la qualità e la competenza degli uomini e delle donne delle Forze armate italiane apprezzate internazionalmente nelle missioni all'estero: sono loro, soprattutto "in tempi di vacche magre", la nostra priorità. Da queste affermazioni parte una critica oggettiva alla "linea - Rumsfeld" dell'Ammiraglio Di Paola, scadenzata da incalzanti interrogativi in gran parte condivisibili: "ci servono più di 100 aerei? Ci servono una porta aerei e 10 fregate multiruolo? Il modello che prevede maggiori capacità offensive a quale scenario dovrebbe adattarsi? A chi dobbiamo andare a fare la guerra? Quali minacce dobbiamo fronteggiare? Quale è la giustificazione politica?". Tutto questo interroga direttamente la politica e noi: se il compito che viene richiesto alle nostre forze armate dalla Costituzione e dall'ONU è quello di difendere il nostro paese e mantenere la pace, perché impegnare Italia nell'acquisto di armi costosissime in vista di terrificanti scenari da "guerre stellari" assolutamente da scongiurare?
Per esempio: già da tre anni il nostro paese è impegnato nel discusso e onerosissimo programma del caccia USA JSF - Joint Strike Fighter - che pur essendo ancora in fase di ricerca e sviluppo paghiamo già annualmente, e che nel 2015, con l'acquisto 139 esemplari, verrà a costare all' Italia una cifra che si aggira sui 15- 18 miliardi di euro. Troppi soldi per mezzi che - dice il generale Fraticelli, e ci auguriamo tutti - terremo negli hangar e negli arsenali: invece occorrono le risorse per gli alloggi militari (annoso problema reso più acuto col passaggio all'esercito volontario e con la cartolarizzazione di parte del patrimonio abitativo della Difesa), per le spese d'esercizio e per programmi addestrativi più efficaci (ci si domanda in questi giorni - rispetto all'ultimo drammatico incidente iracheno che ha portato alla morte dei quattro elicotteristi - quanto il loro addestramento al volo notturno con gli appositi visori sia stato sufficientemente prolungato).
L'osservazione che va fatta è che questo ulteriore acquisto di un aereo d'attacco, il JSF appunto, accentua ulteriormente l'assetto offensivo delle nostre forze, del tutto funzionale a una linea di politica estera subalterna alle nuove guerre "permanenti, preventive, unilaterali" dell'amministrazione Bush, ma del tutto divergente da una politica estera europea multilaterale volta al rispetto dei principi internazionali in un' ottica di prevenzione dei conflitti che per questo dovrebbe - secondo me - ripensare a strategie di disarmo. Ma - anche per chi non condividesse questa visione dell'Europa resta una domanda: quanto queste "spese pazze" per gli armamenti (JSF ma anche il Meads), non in collaborazione né coordinate coi partners europei, si possono inserire in quella "difesa europea benevola, non minacciosa, inclusiva" di cui ha parlato il gen. Mosca Moschini - già Capo di Stato Maggiore della nostra Difesa - in una intervista all'Avvenire di tre mesi fa?
In realtà il vero interrogativo quello che ribalta l'ordine del discorso - resta ancora un altro e riguarda l'aumento delle spese militari nel mondo in corrispondenza ad una diminuzione in questi anni, di impegni internazionali a favore dei paesi del sud del mondo. Ridurre le povertà, riequilibrando la distribuzione delle risorse, contribuisce a prevenire l'estensione di integralismi e conflitti "brodo di coltura in cui si trovano persone disposte a morire pur di uccidere": è soprattutto questo che riduce il raggio d'azione dei terrorismi e non i caccia bombardieri e le fregate oceaniche.
Questo significa impegnarsi a liberare l'accesso ai mercati internazionali dei paesi poveri, abolendo il protezionismo per i prodotti occidentali (come nei caso della famosa mucca europea sovvenzionata con 2 dollari al giorno: più del reddito medio procapitedi un abitante dell'Africa nera). Ma vuole dire anche investire in istruzione, lotta alla farne e alle malattie.
Invece l'Italia nel 2004 ha tagliato 3 capitoli di spesa del Ministero degli Esteri per la cooperazione internazionale e per le organizzazioni non governative, per i finanziamenti degli organismi internazionali e persino 100 milioni di dollari del fondo dell'Aids, dirottati sulla missione irachena. Secondo i dati del Developpement Assistence Committee dell' OSCE l'Italia è il paese che in percentuale dedica meno risorse ai programmi per lo sviluppo e la lotta contro la povertà: solo lo 0,15 del Pil, mentre siamo i settimi nella graduatoria mondiale per gli investimenti in armi. E davvero impensabile invertire la rotta?
Anche l'attuale e decantato condono da parte dei paesi del G8 del debito a 18 paesi poveri, pur importante per l'inversione di rotta che rappresenta, va ricondotto a quello che è: non si tratta di tutto il debito ma solo di quella parte che riguardale istituzioni internazionali (Fondo monetario, Banca monetaria, Fondo per lo sviluppo dell'Africa). Restano debiti consistenti verso i singoli paesi ricchi che con il pagamento degli interessi, strozzano economie già pesantemente conipromesse, rapinate e corrotte a beneficio delle multinazionali occidentali. Per questo, al di là della propaganda mediatiea, le reazioni al condono sono state tiepide: un cartellone sulla piazza antistante al vertice di Londra recitava: "Vi terremo d'occhio"!

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