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Il generale Fraticelli, capo di Stato Maggiore dell'Esercito: «Investimenti sbagliati. Così si rinvia l'acquisto di veicoli sicuri per i nostri soldati»

«Troppi soldi ner navi e aerei. Ma chi dobbiamo attaccare?»

Una fregata costa 300 milioni: io ci mantengo una brigata per 3 anni
A che servono altri 100 aerei, se poi tagliano i militari in missione di pace?
Marco Nese
Fonte: Corriere della Sera - 06 giugno 2005


«Ma a chi dobbiamo fare la guerra?». Il generale Giulio Fraticelli, capo di Stato Maggiore dell'Esercito, trova assurdo comprare un alto numero di navi e aerei.
"Si spende troppo per questi mezzi costosissimi. Al massimo serviranno per esibizioni e qualche crociera".

Perché si preoccupa di quello che fanno Aeronautica e Marina?
Perché noi dell'Esercito forniamo l'80 per cento degli uomini nelle missioni di pace. E adesso ci viene chiesto di ridurre le spese e tagliare il personale. Il bilancio della Difesa è striminzito. Disponiamo solo dell'i per cento del prodotto interno lordo. Siccome non basta, il primo rimedio che viene in mente è: comprimiamo il numero del personale, facciamo un modello più piccolo, e coi soldi risparmiati ci dotiamo di tanta tecnologia. Niente di più falso e di più sbagliato per l'Esercito.

Qual è, numericamente, il vostro assetto ideale?
Nel 1991 eravamo 260 mila. Il nuovo schema di Esercito professionale ci ha fatto scendere a 112 mila. Qui dobbiamo fermarci. Siamo 11 brigate, gli altri Paesi possono contare su reparti di riserva, noi nemmeno quelli. Ora sentiamo dire che vanno sacrificati altri uomini per dirottare ifondi verso sistemi
di arma costosissimi. Noi esprimiamo grande preoccupazione. Siamo assolutamente contrari. Vogliamo dirlo molto forte e invitare i responsabili politici a una riflessione. Dicano se per i compiti a noi affidati servono tutti questi mezzi tecnologici.

Le ricordo che il capo di Stato Maggiore della Difesa Di Paola parla di qualità più che di quantità.
«lo non voglio creare contrasti. Dico che il nostro capitale è l'uomo. Grazie all'uomo, al soldato, noi vediamo le missioni coronate da successo. I nostri militari lavorano bene, lo riconoscono gli altri eserciti, la gente sul posto happrezza, e gli italiani ne sono orgogliosi. Un recente sondaggio dice che il consenso per l'Esercito è salito al 73 per cento. Ma io, per consentire ad altri di comprare navi e aerei, non posso avviare la costruzione degli alloggi destinati ai volontari, e devo rinviare l'acquisto di nuovi veicoli da trasporto sicuri per le squadre di fucilieri. Tutti mezzi che l'Esercito compra in Italia, i soldi rimangono qui, mentre navi e aerei comportano spese all'estero».

Però non si può cancellare Marina e Aeronautica.
«Ci mancherebbe. Io dico solo che in tempi di vacche magre bisogna realisticamente decidere cosa ci possiamo permettere. Le autorità che vigilano sul bilancio dello Stato dovrebbero essere consapevoli di come vengono spesi i soldi ed esprimere il loro punto divista sulle priorità. Ci servono più di 100 aerei? Ci servono una portaerei e 10 fregate? Sono numeri che andavano bene per fronteggiare il Patto di Varsavia, non per lo scenario odierno. Non possiamo pensare di andare in giro per il mondo a fare la guerra a chissà quale Paese. Quello che ci viene chiesto dalla Nato e dalle Nazioni Unite è portare la pace. Avremo sempre più missioni da compiere. E servono uomini. Adesso ne mandiamo 200 in Sudan. Ci cominciamo ad affacciare in Africa, dove nei prossimi anni le operazioni di pace aumenteranno».

E quasi 2 mila uomini si preparano a partire per l'Afghanistan.
«Ci resteranno 9 mesi. All'Italia tocca il comando della missione Nato chiamata Isaf. Sempre più ci dovremo concentrare su questo tipo di operazioni che richiedono truppe motivate e ben equipaggiate. La tecnologia individuale serve. Ma tutto il resto, il modello che prevede maggiori capacità offensive a quale scenario dovrebbe adattarsi? A chi dobbiamo andare a fare la guerra? Quale minaccia dobbiamo fronteggiare? Qual è allora la giustificazione politica? E dove prendiamo le risorse economiche? Non si possono fare grossi mutamenti tecnologici con l'1 per cento del pil.

Qual è allora il suo suggerimento?
«Ci troveremo inevitabilmente a stabilire delle priorità. Una fregata costa 300 milioni di euro. Con quella cifra io mantengo una brigata per tre anni. Ci servono più gli uomini o la nave? Se scegliamo i mezzi e i sistemi d'arma costosissimi, ci dovremo chiedere quando li utilizzeremo. Terremo le navi negli arsenali e gli aerei negli hangar. Per l'orgoglio di avere una bella flotta aerea e navale di quanti uomini l'Esercito dovrà fare a meno?».

Qual è il bilancio dell'Esercito?
«Nel 2005 ci toccano circa 3900 milioni di euro. L'ideale sarebbe ripartirli così: 40 per cento di spese per il personale, 30 per le attività in corso e 30 per gli investimenti futuri. Ma col modello professionale le spese per il personale sono cresciute, siamo intorno al 58 per cento. Vengono penalizzati gli investimenti».

Lei vorrebbe maggiori risorse a scapito degli altri due rami delle forze armate?
«Il mio ragionamento è questo. Se puntiamo a costruire forze armate in grado di fare la guerra, di imporre la pace, allora servono tanti mezzi. Ma non ne abbiamo le capacità. Non possiamo fare gli americani. Ammesso pure che vogliamo compiere veramente un salto tecnologico e portarci a livello degli Stati Uniti, di quanto personale dobbiamo fare a meno? Noi siamo più sull'uomo, gli altri più sulla tecnologia. Bisogna trovare un punto d'incontro. Se occupiamo il bilancio della Difesa totalmente per l'acquisizione dei sistemi d'arma e ci vincoliamo per i prossimi anni, dove andremo a finire? Questi vincoli diventano debito, ma siccome non abbiamo un bilancio sicuro, assumere debiti a fronte di un'incertezza di pagamento, rischiamo domani di trovarci senza fondi, e non ci sarà più spazio per niente, nemmeno per quel minimo di aggiornamento tecnologico di cui veramente abbiamo bisogno».

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