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L'ansia di abbandono dell'industria armiera italiana. Fortuna che c'è il governo

Fonte: Adista - 07 maggio 2005


Affari d'oro per l'industria armiera italiana che, lo scorso anno, ha stipulato contratti di esportazione per quasi 1,5 miliardi di euro, con un incremento di oltre il 16% rispetto al 2003, e addirittura del 72% rispetto al 2001. Lo dimostrano i dati della Relazione della Presidenza del Consiglio al Parlamento sull'export italiano di materiali da armamento relativa all'anno 2004 e resa pubblica alla metà di aprile.
Sette autorizzazioni, del valore complessivo di oltre 700 milioni di euro, coprono quasi la metà del totale. Tra i principali destinatari delle autorizzazioni all'esportazione, la Gran Bretagna si attesta al primo posto con il 15,52% di autorizzazioni, seguita da Norvegia (13,36%), Polonia (8,89%), Portogallo (8,55%), Stati Uniti (6,50%), Grecia (5,74%), Malaysia (5,02%), Repubblica Ceca (3,73%), Svezia (3,31%) e Turchia (3,24%). La Relazione sottolinea che "fra le autorizzazioni rilasciate, oltre a non esserci alcun Paese rientrante nelle categorie indicate nell'articolo 1 della legge (cioè Paesi in guerra, sotto embargo internazionale, responsabili di gravi violazioni dei diritti umani o altamente indebitati), il governo ha mantenuto una posizione di cautela verso Paesi in stato di tensione". Rassicurazioni contraddette però palesemente dal primo articolo della legge 185/90 che, benché 'riformata' in senso maggiormente permissivo, vieterebbe all'Italia di esportare armi verso Paesi in cui avvengono sistematiche violazioni dei diritti umani (Malaysia e Turchia), Stati in conflitto (Stati Uniti e Gran Bretagna), Paesi che spendono ingenti risorse per la difesa nonostante il forte indebidamento (Pakistan e Perù) e Nazioni sottoposte ad embargo da parte dell'Unione Europea, come la Cina.
Dalla Relazione del Ministero dell'Economia si apprende anche che c'è stato un notevole incremento delle transazioni bancarie: 1.317 milioni di euro, quasi il doppio dell'anno precedente, quando ammontavano a 722 milioni di euro. Due istituti di credito, da soli, si aggiudicano quasi il 60% delle autorizzazioni: la Banca di Roma (oltre 395 milioni di euro) e il Gruppo bancario San Paolo Imi (oltre 366 milioni di euro). A seguire la Banca Popolare Antoniana Veneta (121 milioni di euro, il 9% del totale), la Banca Nazionale del Lavoro (71 milioni, il 5% del totale) e la Banca Popolare di Milano, una new entry che si aggiudica 22 commesse per oltre 53 milioni di importi autorizzati (più del 4% del totale) e che è anche fra i sostenitori di Banca Etica, di cui da anni distribuisce i prodotti. Gli istituti di credito esteri gestiscono appena il 14 per cento delle transazioni effettuate dalle industrie armiere italiane, e fra queste la Calyon Corporate and Investment Bank, con 120 milioni di euro di autorizzazioni, incamera il 9% del totale.
Alla luce di ciò appare del tutto immotivato l'allarme lanciato dal Ministero sulle "notevoli difficoltà" incontrate dalle industrie a trovare banche italiane disposte ad effettuare transazioni, "tanto da costringerle ad operare con banche non residenti in Italia, con la conseguenza di rendere più gravoso e a volte impossibile il controllo finanziario delle operazioni normate dalla 185/90" (la legge che regola l'export di armi italiane). Tali difficoltà sarebbero provocate esclusivamente dalla Campagna di pressione alle banche armate (promossa dalla rivista di Pax Christi "Mosaico di pace", e dalle riviste dei missionari comboniani, "Nigrizia", e saveriani, "Missione Oggi") che in cinque anni di attività ha spinto diversi istituti di credito a tirarsi fuori dal commercio delle armi (Monte dei Paschi di Siena, Cassa di Risparmio di Firenze, Banca Popolare di Bergamo-Credito Varesino) o a ridurre notevolmente il loro coinvolgimento (il gruppo Unicredit e Banca Intesa). Nella Relazione infatti si legge che, tra le problematiche di "alta rilevanza" trattate a livello interministeriale, c'è "quella relativa all'atteggiamento assunto da buona parte degli istituti bancari nazionali" nell'ambito della loro politica di "responsabilità sociale d'impresa". "Tali istituti - prosegue la Relazione -, pur di non essere catalogati fra le cosiddette 'banche armate', hanno deciso di non effettuare più o, quantomeno, limitare significativamente le operazioni bancarie connesse con l'importazione o l'esportazione di materiali d'armamento". Per cui "il ministero dell'Economia e delle Finanze ha recentemente prospettato una possibile soluzione che sarà quanto prima esaminata a livello interministeriale".
Parole che allarmano Giorgio Beretta, animatore della Campagna di pressione alle banche armate: "Quale sia questa 'soluzione' non è dato di sapere, ma dal tono del discorso della Relazione e dalle recenti lamentele del comparto armiero c'è da scommettere che non sarà nella direzione della trasparenza". Per Beretta si tratta di allarmi privi di fondamento: il comparto industriale-militare - guidato da Pier Francesco Guarguaglini, presidente di Finmeccanica, e da Piero Gussalli Beretta, a capo dell'omonima industria di armi leggere di Gardone Val Trompia - lamenta "notevoli difficoltà operative" con gli istituti bancari nazionali, "ma le banche italiane assumono tuttora la quasi totalità delle operazioni, come dimostrano i dati della stessa Relazione".
Per chiedere conto al governo delle sue sibilline affermazioni hanno già presentato delle interrogazioni parlamentari i deputati dei Verdi e il senatore Francesco Martone, da poco iscrittosi come indipendente al gruppo di Rifondazione comunista. E oltre 40 parlamentari dell'opposizione (Margherita, Ds, Verdi e Rifondazione comunista) si sono impegnati a sostenere alcune proposte presentate da Controlarms, campagna internazionale per il disarmo a cui hanno aderito oltre 30 associazioni italiane (v. Adista n. 9/05): la difesa di quel che ancora resta della 185; una legge sugli intermediari di armi; una legislazione più rigida in materia di armi leggere, di cui l'Italia è il primo produttore europeo e il quarto mondiale. Incominciando con una mozione da approvare prima del prossimo G8 (a luglio in Scozia) e in vista della Conferenza Onu sui traffici illeciti di armi leggere (nel luglio 2006 a New York), quando Controlarms prevede di aver raccolto un milione di adesioni alla 'fotopetizione' (firma più fotografia del proprio volto) contro la proliferazione delle armi leggere.

Note:

Articolo originale al link:

http://www.adista.it/numeri/adista05/adi33/adi33-3.htm

Vedi anche la puntata n°24 del telegiornale di Adista

http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Downloads&d_op=viewdownload&cid=181
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