ControllArmi

ControllArmi

RSS logo

Armi, cresce l’export sfruttando le tensioni

Rapporto al Parlamento sulle esportazioni belliche italiane. L’aumento è del 16%. Più vantaggioso vendere ai "ricchi" Paesi arabi che ad Israele A Pechino forniamo solo prodotti "non letali"
Antonio Maria Mira
Fonte: Avvenire - 28 aprile 2005


Continua a crescere l'export bellico italiano, passando da 1.282.330.417 euro del 2003 a 1.489.777.678 del 2004, con un incremento del 16,18 per cento. Un sogno per gli altri settori industriali. Si torna così ai livelli di fine anni '90. E le armi made in Italy continuano ad arrivare in Paesi "a rischio". In guerra, sotto embargo, accusati di violazioni dei diritti umani, sospettati di sostenere il terrorismo internazionale, in aree di tensione. O a Paesi poveri. La legge 185 nel 1990 lo vieterebbe ma "gli affari sono affari" e così, come si può leggere nella Relazione sull'export bellico del 2004 inviata dal governo al Parlamento, lo scorso anno sono state autorizzate esportazioni di armi, o addirittura consegnate, verso Cina, Siria, Israele, Ghana, Kenia, Indonesia, India, Pakistan, Bangladesh. Non una novità visto che da anni questi ed altri Paesi " a rischio" sono nostri ottimi clienti. Che non si vada tanto per il sottile lo dimostrano alcune affermazioni contenute nella parte della relazione predisposta, per la prima volta, dalla Direzione generale dello sviluppo produttivo e la competitività del ministero delle Attività produttive. «La struttura mondiale che vede "plurimi focolai di crisi" in luogo della "unificata minaccia" sovietica, del confronto Est-Ovest, tiene elevato il livello di ordini ed acquisti dei Paesi nelle varie aree in potenziale tensione». Sembra proprio la filosofia del famoso film di Alberto Sordi "Finchè c'è guerra c'è speranza". E allora non è certo un caso che i nostri migliori partner siano i Paesi impegnati attualmente (o almeno fino all'anno scorso) in Iraq: al primo posto la Gran Bretagna, al terzo la Polonia, al quarto il Portogallo, al quinto gli Usa, all'ottavo la Repubblica Ceca. Ma non è solo una questione di guerre. Quello che conta, si legge più oltre, è chi paga meglio. A prescindere dalla posizione nello scacchiere internazionale. «Nel Medio Oriente - prosegue infatti il ministero nella sua relazione -, Israele resta il Paese con il quale sarebbero possibili interessanti cooperazioni ai massimi livelli della tecnologia se ciò non innescasse reazioni negative da parte dei potenziali - e ricchi - clienti costituiti dai Paesi arabi». Dalle parole ai fatti. Così lo scorso anno è stata autorizzata un'unica esportazione verso Israele per un totale di soli 29.373 euro, mentre sono fioccate a favore dei "ricchi" Paesi arabi: 4 con l'Algeria (20,7 milioni di euro), 9 col Kuwait (14,6 milioni di euro), 18 con gli Emirati arabi uniti (8,8 milioni di euro), 3 col Brunei (4,4 milioni di euro), 8 con l'Egitto (2,1 milioni di euro), 23 con l'Arabia Saudita (1,2 milioni di euro). E abbiamo fatto più affari anche con la Siria (1 sola commessa ma per 1,5 milioni di euro), il Paese attualmente ancora inserito dagli Usa tra gli "Stati canaglia", in quanto fortemente sospettato di sostenere il terrorismo internazionale. E anche di fornire armi ai guerriglieri iracheni. L'ultima notizia, riportata sui giornali di Baghdad di ieri, riferisce del sequestro di tre camion carichi di armi provenienti dalla Siria. Ma gli affari bellici dell'Italia con Damasco non sono una novità. Lo scorso anno sono state eseguite transazioni bancarie verso il paese mediorientale per un totale di 1,2 milioni di euro, relative a esportazioni definitive di armi. Un altro tema delicatissimo è quello dell'export verso la Cina, attualmente ancora sotto embargo Ue per questo tipo di prodotti, a causa delle violazioni dei diritti umani. Eppure le armi italiane continuano a partire destinazione Pechino. Nel 2004 sono state autorizzate 6 nuove esportazioni per più di 2 milioni di euro, consegnate armi per un valore di 1,45 milioni di euro, autorizzate transazioni economiche relative a vendite di materiale bellico per 121,43 milioni di euro. E l'embargo che fine ha fatto? La giustificazione la si trova ancora una volta nella parte della Relazione predisposta dal ministero delle Attività produttive. «Nell'area dell' Estermo oriente occorre prendere atto del crescente ruolo della Cina e della sua volontà di acquisire rapidamente tecnologie di punta... Il punctum dolens è la volontà cinese di acquisire tecnologie militari che mentre l'Unione Europea considera "non letali" e quindi esportabili, al contrario sono embargate dagli Stati Uniti d'America le cui unità navali sono impegnate, fra l'altro, a mantenere il controllo dello stretto di Formosa». Insomma, se non riusciamo a vendere di più in Cina è colpa degli Usa. Ma cosa sarebbero questa armi "non letali"? Le elenca la Relazione: comunicazioni satellitari, contromisure elettroniche, sistemi elettronici avanzati per il controllo del volo e per la gestione degli aerei senza pilota. Forse non uccideranno direttamente, ma certo aiutano molto.

Note:
.