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Missili e bombe. Un'Italia a banca armata

Modificata la legge 185, è boom delle esportazioni di armi, cor il sostegno degli istituti bancari. Alcuni dei quali si sono però ritirati dopo le pressioni pacifiste. E il governo si preoccupa
28 aprile 2005 - Luciano Bertozzi e Angelo Mastrandrea
Fonte: Il Manifesto - 28 aprile 2005


Allentate dalla Casa delle libertà le maglie della legge 185 del '90 che regola il commercio di armi, i primi effetti sono un deciso aumento delle esportazioni e grandi affari per le cosiddette «banche armate». A rivelarlo è l'annuale rapporto al parlamento sull'export di armi, e le decine di organizzazioni pacifiste che hanno lanciato la campagna «Control arms» chiamano in causa i parlamentari perché evitino ulteriori attacchi alla legge 185, rafforzino la legislazione sulle armi leggere, di cui siamo il primo produttore europeo, e presentino un progetto di legge sull'intermediazione e il brokeraggio. Sullo sfondo, il G8 scozzese di luglio e soprattutto la conferenza Onu sui traffici illeciti di armi leggere che si svolgerà nel luglio 2006 a New York, per la quale la campagna (lanciata da Amnesty International, Oxfam e lansa) chiede la promulgazione di un trattato internazionale sul commercio degli armamenti. Per questo è stata lanciata una foto-petizione per raccogliere un milione di volti da presentare all'Onu.
Nel frattempo, le politiche italiane parlano chiaro. Diminuiti gli aiuti allo sviluppo alla infima quota dello 0,12 per cento del Pii, vanno invece a gonfie vele gli affari per l'industria bellica, con il generoso sostegno di alcuni istituti di credito, dalla Banca di Roma al San Paolo, anche se proprio su questo fronte diverse banche, spinte dalle pressioni pacifiste, stanno rivedendo le loro posizioni. I nuovi contratti 2004 hanno raggiunto il valore di quasi 1,5 miliardi di curo e sono aumentati del 16% rispetto al 2003 e addirittura del 72% rispetto al 2001. «Già alcuni divieti della 185 sono stati per anni poco rispettati, ora vediamo crescere a dismisura l'export bellico 'certificato'. Una situazione che
indigna, perché non si può con una mano fare la guerra al terrorismo e con l'altra vendere armi come fossero saponette», accusa Alex Zanotelli.
In barba alla legge 185, nel 2003 i principali clienti dell'industria delle armi sono stati paesi belligeranti come Gran Bretagna e Usa (rispettivamente con 231 e 97 milioni), o che violano i diritti umani, dall'Algeria al Pakistan, dalla Cina a Israele fino alla Turchia. Precise scelte politiche, se è vero che il governo ritiene che il settore bellico «debba essere sostenuto da un'intensa attività politica e governativa». E' stato lo stesso Berlusconi a definirsi «commesso viaggiatore» dell'industria militare, il contratto per gli elicotteri alla Casa Bianca è stato ottenuto grazie al nostro coinvolgimento in Iraq e il consigliere diplomatico del premier Giovanni Castellaneta, recenteniente nominato ambasciatore a Washington, è anche il vicepresidente di Finmeccanica, holding controllata dallo Stato e fra le maggiori industrie militari. Ed è sufficiente leggere la lista delle principali aziende esportatrici per vedere l'assoluta prevalenza di società di Finmeccanica, che hanno il ministero dell'Economia quale azionista di riferimento.
Segnali contrastanti arrivano invece sul fronte delle «banche armate». Se è vero che le transazioni bancarie hanno quasi raddoppiato il volume di autorizzazioni dell'anno precedente, arrivato a 1.317 milioni di euro, e che Banca di Roma, con 395 milioni di euro, e gruppo San Paolo Imi, con 366 milioni, ne detengono quasi il 6()%, è altrettanto vero che la campagna di pressione è riuscita a ottenere qualche successo, La «cattolica» Banca Intesa ha infatti dichiarato il proprio disimpegno dal settore, così come Mps, mentre Unicredit ha appena I'1,5% di autorizzazioni. Un successo testimoniato anche dalla relazione al parlamento, nella quale è scritto che diversi istituti, «pur di non essere catalogati fra le cosiddette "banche armate" hanno deciso di non effettuare più o quantomeno limitare significativamente le operazioni bancarie connesse con l'importazione o l'esportazione di materiali d'armamento», e «ciò ha comportato per l'industria notevoli difficoltà operative». C'è un unico neo: la Banca popolare di Milano, uno dei sostenitori storici di Banca etica, si è aggiudicata 22 commesse, per oltre 53 milioni di importi autorizzati.

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