ControllArmi

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La relazione del Governo sulle autorizzazioni all'export parla di una crescita del 16% nel 2004. In quattro anni la vendita di armi a paesi stranieri è passata da 863 milioni a 1489

Armi, il made in Italy che tira

In aumento anche gli accordi bilaterali che consentono di aggirare la legge 185 che limita il commercio Internazionale. Banca dl Roma e San Paolo IMI ai primi posti per il Credito all'export. Zanotelli «Non si può con una mano fare la guerra al terrorismo e con l'altra vendere armi come fossero saponette»
Martino Mazzonis
Fonte: Liberazione - 21 aprile 2005

C'è un comparto dell'industria italiana che non conosce battute d'arresto né ha difficoltà a piazzare le proprie merci sui mercati internazionali. E' il comparto militare industriale e la relazione sulle autorizzazioni all'esportazione trasmessa dalla Presidenza del consiglio al parlamento nei giorni scorsi delinea un quadro chiaro: nel 2004 le esportazioni sono cresciute del 16%. Se poi mettiamo insieme gli ultimi quattro anni, da quando la legge 185/90-che regola e controlla l'esportazione di armi - è stata impallinata dalla firma del Trattato di Farborough da parte dell'allora sottosegretario Ds Marco Minniti e definitivamente affossata dal governo in carica, facciamo filotto. Dal 2001 a dicembre 2004, le autorizzazioni all'export sono cresciute del 72%, passando da 863 a 1489 milioni di euro. Del resto, sia il presidente del Consiglio Beriusconi che quello della repubblica Ciampì si sono prodigati per consentire alle armi italiane di viaggiare per il mondo. II primo si è fatto sponsor dell'elicotteristica perorando la causa con il presidente Bush che deve comprare il suo nuovo mezzo di trasporto a elica, mentre Ciampi ha spinto con grande forza per l'abolizione dell'embargo sulla vendita di armi imposto dall'Unione europea alla Cina.
Per farsi un'idea di come il meccanismo della legge sia stato aggirato e messo in crisi dalle modifiche governative, non basta sottolineare il dato quantitativo, occorre guardare a dove vanno le armi. Nell'ultimo anno le tecnologie di Finmeccanica - l'impresa pubblica che è il principale esportatore - sono finite soprattutto in paesi Ue e Nato. In testa alla classifica dei compratori ci sono la GranBretagna, la Norvegia, la Polonia, Portogallo, Stati Uniti e Grecia. Possiamo stare certi che questo risultato produrrà i commenti soddisfatti del ministro della Difesa Martino, altro grande sponsor del made in ltaly bellico. La verità è che gli ordini di armi sono cose che cambiano da un anno all'altro, se uno vende due navi o venti elicotteri al Pakistan un anno, è difficile che ne venda altrettanti l'anno successivo. Comunque sia, tra i clienti dell'Italia ci sonoanche la Malesia, il Pakistan, la Turchia, paesi dove i diritti umani non vengono rispettati e dove si combatte con armi italiane - è il caso del Baluchistan e del Waziristan, due regioni del Pakistan. Le campagne che si battono per il disarmo (Controllarmi e Banche armate), sottolineano tra le altre cose che quei paesi sono tra i più indebitati al mondo e, nonostante questo, hanno dei bilanci della Difesa che superano di molto la loro disponibilità di spesa. Vendendogli armi, insomma, si contribuisce alla crescita del debito estero. Eppure, la legge 185 parla espressamente di divieto di export verso i paesi indebitati o che violano i diritti umani.
In Asia c'è un forte calo dell'export verso la Cina popolare dove abbiamo venduto armi per 2 milioni euro contro 1127 dell'anno precedente. Come per la Cina, calano anche le commesse dal Medio oriente. In entrambi i casi non si tratta di un rinnovato impegno di governo e parlamento per un'applicazione rigorosa della legge, anzi. Il Governo italiano sta firmando Accordi di cooperazione nel campo della Difesa con Kuwait, Giordania, India, Indonesia, Libia, Cina e Israele - di quest'ultimo accordo Liberazione ha parlato più di una volta Questi accordi che prevedono «acquisizioni e produzioni congiunte» di sistemi d'arma renderanno molto più semplice la non applicazione di quel che resta della legge 185. Quando un progetto si sviluppa con un altro paese, infatti, le armi le può esportare il partner - che non ha una legge sul controllo dell'export di armi - oppure è possibile che per motivi di segretezza legati ad accordi con un paese straniero, alcune informazioni relative al commercio non vengano rese pubbliche.
Inutile dire che anche quest'anno le banche non hanno lesinato prestiti ai costruttori di armi, 1317 milioni di euro. Ai primi due posti, con il 60% del totale dei prestiti la Banca di Roma, il San Paolo-Imi, seguiti da Banca Popolare Antoniana veneta e la Banca Nazionale del Lavoro.
Dura la reazione delle campagne e dei movimenti alla pubblicazione dei dati. «Si cominciano a raccogliere i frutti di una politica che tende ad allargare le maglie della legge 185/90 sul controllo del commercio delle armi» spiega Massimo Paolicelli, presidente degli Obiettori nonviolenti, mentre Alex Zanolelli denuncia lo scarso rispetto della legge 185 e aggiunge: «Non si può con una mano fare la guerra ai terrorismo e con l'altra vendere armi come fossero saponette».

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