Fini porta doni, il Pentagono compra 33 aerei dall'Italia
Washington. Gianfranco Fmi torna oggi a Roma con il carnet pieno. Può stappare champagne, se non fosse per la strisciante crisi di governo. Dovrebbe essere risolta con un rimpasto e un rapido passaggio alle Camere. Cioè senza quel segnale di discontinuità chiesto sia da Fini sia da Follini. Storie del cortile di casa dal quale è stato (in parte) lontano il ministro degli Esteri. Da questo breve viaggio ricava un buon successo di immagine, la convinzione che i rapporti con gli americani (non solo con l'amministrazione Bush) non sono mai stati più caldi, anche se la Rice ha confermato ieri che la pesante ombra calata con l'uccisione di Nicola Calipari non verrà fugata presto e che l'inchiesta si prolunga ben oltre la deadline originaria. Rice e Fini lo hanno negato, ma è evidente che ci sono dissensi, che la «versione concordata dei fatti» richiesta di Fini è ancora lontana.
Finì riporta a Roma anche qualcosa più concreto delle sensazioni. Il Pentagono ha deciso di comprare 33 aerei da trasporto Alenia C27J che servono soprattutto per le truppe speciali. Infatti, sono velivoli che possono decollare e atterrare in spazi brevi, non hanno bisogno di una pista di rullaggio come i grandi C130 della Lockheed. Non solo gli elicotteri per la marina e per la Casa Bianca, dunque. La commessa è parte di un pacchetto più complessivo che dovrebbe riguardare la fornitura di 150 aerei. Pierfrancesco Guarguagliai, presidente di Finmeccanica, l'altra sera, alla cena per Fini offerta dall'ambasciata italiana, gongolava in toscanaccio, pur senza farlo vedere, brusco e schivo com'è.
Insomma, sia pure con le sue dimensioni, l'Italia ha avuto accesso al mercato delle commesse militari Usa inutilmente inseguito da decenni. E un concreto pay-out della politica irachena? Non solo. E il frutto della tenace attenzione che l'ambasciatore Sergio Vento ha dato alla promozione del «sistema Italia»? Anche. Certo è che oggi l'interesse degli americani non è più solo al leisure, lo stile di vita italiano identificato con una sorta di bengodi dove la gente s la spassa, ma lavora poco e non combina
granché. Non diventeremo mai come i tedeschi, ma ai loro occhi adesso possiamo offrire qualcosa di ben più consistente. E non solo agli occhi dei teo-con. Lo dimostra l'attenzione che Fini ha ricevuto al Council on Foreign Relations (think tank filodemocratico), introdotto da Charles Kupchan che è stato nel National Security Council con Bill Clinton come responsabile del desk europeo. O l'intervista al Washington Post. Per cogliere questa atmosfera, la diplomazia italiana e quella Usa lavorano a una idea (da concretizzare in autunno): una sorta di seminario, organizzato in modo congiunto da Farnesina e Dipartimento di Stato, insieme a businessmen, uomini di cultura, opinion makers, per studiare i settori e le iniziative nelle quali lavorare insieme.
Un modo di promuovere il made in Italy più sofisticato che non sponsorizzare il parmigiano (con tutto il rispetto). Convinti di una cosa: sì la Cina, sì l'india, ma il più grande ericco mercato del mondo è qui e resterà qui per il prossimo secolo e anche oltre. Un mercato ancora relativamente chiuso, ostico, difficilmente penetrabile. Dove, però, tedeschi, giapponesi e francesi (sì anche loro) sono entrati prima e meglio, in rami industriali forti (auto, gomme, chimica, banche, finanza), mentre noi ci siamo li-
mitati al cibo, alla moda e a qualche mostra (sia pur eccellente come quella su Modigliani appena aperta a Washington dalla Phillips collection).
L'incontro cordialissimo con Condoleezza Rice, ieri, ha fatto il punto sui dossier aperti (dal Medio Oriente a Calipari, anche se quest'ultimo è nelle mani di Donald Rumsfeld e Rummy non è Condi). Sull'Iraq, si andrà verso un disimpegno a scaglioni, concordato non solo tra italiani e americani, ma con il nuovo governo iracheno. La formula è: più sicurezza garantita dalle forze locali, meno soldati stranieri. Non c'è un calendario, però anche l'amministrazione Usa punta a dare un segnale entro la fine dell'anno riportando a casa un buon numero di GI's: happy Christmas at home, insomma.
Un punto particolarmente critico emerso anche dal colloquio con il vicepresidente Dick Cheney, è Israele. Sharon nell'incontro con Bush ha lanciato l'allarme: rischiamo la guerra civile. Per convincere i coloni la fermezza non basta, occorrono compensazioni concrete. Gli insediamenti sono per lo più fattorie avanzate, dove si coltiva frutta con nuovi esperimenti agronomici. Può fare qualcosa l'Italia? Un'ipotesi che verrà esplorata nelle prossime settimane, è coinvolgere anche il ministero dell'Agricoltura. Gianni Alemanno alle prese con gli irriducibili coloni ebrei. Brillante, vedremo se sarà anche un'idea concreta.