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La difesa disarmata dalle banche

Gli istituti di credito rifiutano di collaborare con le industrie di armi
Gianni Dragoni
Fonte: Il Sole 24 ore - 05 marzo 2005

Quasi tutti gli istituti di credito hanno fermato i finanziamenti delle esportazioni di materiali d'armamento L'industria nazionale, dai gruppi pubblici come Finmeccanica e Fincantieri ai privati come Avio e Beretta, cositretta a rivolgersi a operatori stranieri

Le banche disarmano l'industria. Etiche, o non armate, le aziende di credito hanno tracciato una linea inva licabile per le imprese della difesa o nerospazio: stop ai finanziamenti delle
esportazioni di materiali d'armamento. Un principio enunciato per la prima volta quattro anni fa. Comincio nel 2001 Unicredito, quando era presidente Francesco Cesarini e la banca era apparsa in cima alla lista dei finanziamenti all'export dì armi nel 1999 con operazioni per 1.248 miliardi di vecchie lire (645 milioni in euro). Via via si sono adeguati quasi tutti i gruppi, sia pure con diversi gradi di selettività.
Gli effetti si fanno sentire sulle industrie nazionali. Chi opera su commesse di costruzione pluriennali, come sono quasi tutti gli appalti della difesa, non può farlo senza appoggiarsi su una anca che anticipi i iinanziamenti o sconti le fatture. «Le banche italiane fanno storie su tutte le operazioni militari, anche le più banali», riferisce un importante operatore.
Così, la siretta decisa dalle banche rende più difficili e costose molte operazioni di export, costringendo le imprese a rivolgersi a banche estere, le quali non adottano lo spirito dell'istituto "non armato" o «banca etica».
Hanno segnalato il problema diverse aziende del gruppo pubblico Finmeccanica (Aermacchi, Selenia Communications, Mbda, Ams) e la Fincantieri: tra le private Avio, Elettronica, Sicamb, Aerea, Beretta. Sinmiel Difesa, El.Astcr, Sci. Secondo fonti confidcnzi ali, della questione sarebbero stati investiti il ministero dell'Economia e il sottosegretario a Palazzo Chigi. Gianni Letta. L'associazione del settore, l'Aiad, sta esaminando il problema.
Ma non è solo una questione economica. Alcune imprese temono che l'atteggiamento delle banche «etiche» sia l'avvio di una corrente di pensiero socio-politico che potrebbe portare alla messa al bando dell'industria difesa, come avvenne nel 1987 per l'addio all'energia nucleare. Del resto, le banche sì sono scoperte «non armate», in seguito alla campagna lanciata da movimenti pacifisti come Pax Christi e dalle riviste Nigrizia, Missione Oggi e Mosaico di Pace. Alcuni siti pacifisti mettono in rilievo le banche «armate» e invitano enti locali e risparmiatori a boicottarle.
Pier Francesco .Guarguaglini, presidente e a.d di Finmeccanica ha fatto un'accenno al clima ostile sul Sole-24 Ore del 21 maggio 2004; «E un peccato che, in alcuni casi, le collaborazioni con il mondo accademico vengano precluse, poiché, certi atenei adottano il titolo di università cosiddetta etica. A fronte di presunti vantaggi d'immagine, viene meno la possibilità di collaborare con aziende che, come le nostre, operano anche nel settore della difesa (si tratta, detto per inciso; di una discutibile moda in voga anche tra gli istituti di credito)».
Di recente un'impresa che lavora negli Stati Uniti a programmi del Pentagono ha avuto difficoltà a farsi convertire in euro un bonifico in dollari del Tesoro americano sul suo conto corrente; ha dovuto, rivolgersi a un'altra banca. La realizzazione delle nuove fregate Fremm per la Marina potrebbe essere finanziata da un gruppo di banche guidate da Deutsche Bank (come riferito dal «Sole 24 Ore» il primo marzo). Tra gli istituti stranieri accessibili perchè indifferenti ai principio «banca non armata» sono indicati anche Société Generale; Abn Amro, Banco Bilbao Vizcaya. Quest'ultimo è grande azionista di Bnl, che invece «etica».
«E una discriminazione ideologica nei confronti di un settore industriale di interesse nazionale. commenta l'ignegner SiIvano Mantovani, imprenditore del settore. Nell'associazione delle banche, I'Abi, si sta valutando di studiare regole comuni per tutti gli istituti, nell'ambito di «settori controversi», tra cui alcol, fumo, pornografia e armamenti.
Le banche non gradiscono la pubblicità che viene data ogni anno con la Relazione della Presidenza del Consiglio al Parlamento secondo la legge 185 del 1990, ai finanziatori dell'export. I dati vengono raccolti dal ministero dell'Economia che, insieme agli Esteri, deve autorizzare Ogni operazione.
Dopo i niet di Unicredit è seguito quello di Banca Mps, Il 18 marzo 2004 l'a.d. di Banca Intesa, Corrado Passera; tra l'altro ex consigliere di Finmeccanica, ha stabilito il «divieto di porre in atto nuove operazioni dì finanziamento alla clientela per operazioni aventi a oggetto commercio e produzione di armi o sistemi di arma». Solo Passera ha la facoltà: non utilizzata, di autorizzare «eventuali operazioni giudicate coerenti con lo spirito di "banca non armata ». ,
Il Sanpaolo-Imi ha deciso nel settembre 2002 «dì limitare it finanziamento di forniture nillitari esclusivamente alle operazioni da e vero Paesi appartenenti all'Ue e/o alla Nato, ovvero contemplate da intese intergovernative», non in contrasto con la Costituzione e con la lotta al terrorismo, si legge nei
bilancio sociale 2003. Anche Bnl dal 2003 limita i nuovi finanziamenti a operazioni verso Ue e Paesi Nato.
Capitalia - ha spiegato l'a.d. Matteo Arpe, il 10 settembre 2004 - «non finanzia armamenti 'ffensivi ma solo chi costruisce sistemi di difesa». «In Italia ci sono aziende che hanno dei primati nel campo dei radar e dei sistemi di difesa. Sono un orgoglio nazionale. Non vedo perchè rifiutare, finanziamenti sull'altare di un concetto», ha detto menzionando anche Beretta, «azienda che è un 'Orgoglio' per il nostro Paese».
La difesa non è un terreno proibito per Mediobanca, azionista con l' 1 % dì Finmeccanica, dove nomina tre consiglieri. Piazzetta Cuccia è stata anche capofila del collocamento di azioni Finmeccanica nel 2000.
GIANNI DRAGONI

Gli intermediari incassano 43 milioni sulle vendite all'estero

ROMA. Sono aumentati a 42,68 milioni di curo i «compensi d'intermediarione» pagati nel 2003 da imprese italiane per le esportazioni definitive di armi. i pagamenti sonò stati autorizzati dal ministero dell'Economia attraverso transaiioni bancarie. Sono relativi a esportaziuni del initive per un valore di 722,2 milioni, autonzjalo nel medesimo periodo. i dati sono contenuti ue1l'uItirn Relazione al Parlamento sul controllo dell'export, dzlFiniport e transito di armamenti, presentata dalla Presidenza del Consiglio ii 29 marzo 2004.

La quota dei compensi per intermediari è pari al 5,9% del valore delle esportazioni ed è superiore alla percentuale dei 2002, quando furono pagati per intermediafi compensi per 36,55 milioni, pari al 4,97% dei 735,6 milioni di esportazioni definitive.
I pagamenti del 2003, classificati come «importi accessori»., sono avvtmti in misura maggiore attraverso la Banca di Roma (ora gruppo Capitaha) per 13,4 milioni. Il medesimo istituto ha finanziato nel 2003 la quota maggiore di export, con 224,4 milioni pari al 31% dei 722 milioni
autorizzati dal Governo. I compensi per mediazione transitati attraverso Bancaroma sono connessi in prevalenza a operazioni con Malaysia, Kuwait, Cina. Gli altri compensi sono stati pagati attraverso Cassa di risparmio della Spezia (8,12 milioni), che ha finanziato esportazioni per 34,13 milioni; quindi Socièté Generale 17 milioni di compensi su 70 milioni-di valore di export, Sanpaolo lira con 4,45 milioni su 91,75 milioni. Attraverso Abn Amro sono transitati 2,74 milioni per mediazioni in Venezuela.

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