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Italia: il Governo tace sull’export di armi mentre cambia la legge

Fonte: Unimondo - Adista - 07 aprile 2012

“Nonostante la legge 185/90 – quella che regola l’export di armi – lo preveda espressamente, il governo di Mario Monti non ha ancora reso noti i dati relativi alle esportazioni di armi italiane nel mondo nell’anno 2011. Avrebbe dovuto farlo entro il 31 marzo – così dispone la normativa – ma ad oggi (6 aprile, mentre scriviamo) non c’è traccia della Relazione completa, che in realtà da qualche anno a questa parte viene trasmessa al Parlamento con uno-due mesi di ritardo; e nemmeno del sintetico Rapporto che invece, anche durante i governi Berlusconi, veniva pubblicato nei tempi previsti” – riporta il sito dell'agenzia Adista in un articolo a firma di Luca Kocci.

“Il governo dei tecnici non è in grado, o non vuole, fornire una relazione tecnica nei tempi tecnici di legge" - commenta il giornalista di Adista. “Che i ministri competenti in materia di esportazioni di armamenti siano alle prese con altre questioni è cosa nota: il ministro della Difesa, ammiraglio Giampaolo Di Paola, è indaffarato a cercare di spiegare al Parlamento le ragioni dell’acquisto di 90 cacciabombardieri d’attacco F-35 per una spesa complessiva che non ha mai notificato, ma che si aggira tra i 13 e i 15 miliardi di euro”.

Il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata è invece impegnato nella spinosa questione del rilascio dei marò da parte delle autorità indiane. “Una faccenda che fin dalle prime battute ha investito anche i rapporti diplomatici tra Roma e New Delhi, ma che non ha però portato il gruppo Finmeccanica a dare un concreto segnale di vicinanza ai soldati italiani agli arresti” – afferma Giorgio Beretta, analista della Rete italiana per il disarmo e collaboratore di Unimondo. “Tutte le maggiori industrie del gruppo controllato dal ministero dell’Economia e delle Finanze hanno infatti fatto bella mostra dei loro prodotti militari al saloneDefexpo che si è tenuto a New Delhi dal 29 marzo al primo di aprile scorsi: AgustaWestland ha portato i suoi elicotteri militari per la Guardia Costiera; Alenia Aermacchi gli aerei da trasporto tattico e i caccia Eurofighter Typhoon; Selex Galileo i suoi sistemi di nuova generazione per la “guerra elettronica”; Oto Melara i cannoni navali e le relative munizioni, la Wass i suoi siluri pesanti e un nuovo prodotto presentato in una cerimonia ufficiale all’apertura del salone militare. Insomma non si sono fatti mancare niente a dimostrazione, ancora una volta, che il business delle armi italiane procede sempre indisturbato”.

Forse sono proprio le nuove commesse militari verso i paesi emergenti nelle zone di maggior tensione del pianeta ad imbarazzare il governo Monti e a ritardare la pubblicazione della relazione annuale: negli ultimi anni – come Unimondo ha ripetutamente documentato – infatti, proprio i regimi autoritari del Medio Oriente e della penisola araba sono risultati i maggiori acquirenti di armamenti “made in Italy”, senza contare le consistenti forniture ai precedenti regimi dei paesi del nord Africa che hanno visto le rivolte popolari della “primavera araba” dello scorso anno.

Approda in Senato la modifica alla legge sull’export di armi

O forse è la concomitante modifica alla legge 185 (un disegno di legge delega è stato trasmesso alla Presidenza del Senato lo scorso 21 marzo), ufficialmente per «semplificare le modalità e le condizioni dei trasferimenti di armi all’interno dell’Unione europea», in attuazione di una Direttiva europea, a consigliare prudenza: dopo il dibattito sui cacciabombardieri F-35 che, nonostante la lobby armiera, si è sviluppato nel Paese meglio non mettere altra carne al fuoco, almeno ora.

E proprio sulle modifiche alla 185/90, Rete italiana per il disarmo e Tavola della pace hanno ripetutamente espresso le loro critiche: “Si tratta di una delle normative più rigorose e di maggior trasparenza a livello europeo e che l’industria militare italiana ha sempre visto con fastidio per i controlli che richiede in una materia quanto mai delicata come quella dell’esportazione di sistemi militari” - commenta Francesco Vignarca, coordinatore della Rete disarmo. “Per questo chiediamo che, al di là delle modifiche strettamente necessarie per recepire la direttiva europea, i controlli e la trasparenza della legge rimangano inalterati”.

Rete disarmo e Tavola della pace hanno avanzato anche una serie di proposte al Parlamento italiano, per evitare di svuotare una normativa che fino ad ora ha consentito di regolare e di controllare l’export di armi italiane. «Mantenere inalterati i principi che regolano l’esportazione di armamenti», perché «tutte le operazioni devono essere regolamentate dallo Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»; «mantenere i controlli dello Stato sul regime di autorizzazioni; promuovere la conversione a fini civili delle industrie militari».

ARMI ITALIA E poi «migliorare i divieti all’esportazione di armamenti verso Paesi in stato di conflitto armato» che vanno applicati «a tutti gli Stati che pongono in atto interventi militari non avallati da una specifica risoluzione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite» e «nei confronti degli Stati che abbiano violato gli embarghi di vendita di armamenti stabiliti dalle Nazioni Unite, dall’Unione Europea e dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa». «Estendere i divieti ai Paesi che presentano alti livelli di spesa militare» e a quelli «che non rendono pubbliche le proprie esportazioni e importazioni di armamenti».

Inoltre, chiedono Rete disarmo e Tavola della pace, il regime di autorizzazioni e di controlli va esteso «anche alle armi “non a specifico uso militare”», ovvero le armi leggere e di piccolo calibro che, nei recenti conflitti, si sono dimostrate vere e proprie «armi di distruzione di massa» e che «sono le più facili da trafugare e triangolare». Infine «controllare gli intermediari di armamenti, non estendere le licenze globali e generali a Paesi al di fuori dell’Ue, migliorare la Relazione al Parlamento e la trasparenza».

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