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“Non investite in armi!”, appello da tutta Europa alle istituzioni UE

Consegnate ai rappresentanti di Parlamento Europeo e Commissione UE oltre 140.000 firme - raccolte da ENAAT e WeMoveEU - di cittadine e cittadini contrari all’utilizzo di fondi comunitari per sovvenzionare l’industria degli armamenti
Fonte: ENAAT - Rete Italiana per il Disarmo - 25 gennaio 2018

Nei giorni scorsi rappresentanti del Network della società civile europea contro le armi ENAAT e del sito WeMoveEU hanno simbolicamente consegnato a Commissione europea e Parlamento europeo oltre 142.000 firme di cittadini e cittadine che chiedono alle istituzioni Comunitarie di non investire in armamenti. A riceverle Oliver Rentschler, vice-Capo di Gabinetto di Federica Mogherini (Alto rappresentante UE per gli Affari Esteri e la sicurezza), e l’onorevole Jens Geier, vice-presidente della Commissione Bilancio EuP.

I rappresentanti di WeMove.EU and ENAAT consegnano le firme a Oliver Rentschler, Vice-Capo di Gabinetto dell’HR/VP Federica Mogherini (Brussels, 23/01/2018) e a Jens Geiger, Vice-Presidente dello EP Budget Committee. Le firme, raccolte negli ultimi mesi, erano in calce ad un appello indirizzato ai Membri del Parlamento Europeo e al Consiglio Europeo affinché fermino l’inclusione della ricerca militare dei finanziamenti del nuovo budget UE. Nessun fondo dell’Unione Europea dovrebbe essere destinato alle tecnologie militari e i soldi per la ricerca dovrebbero al contrario essere destinati a sviluppare progetti per la prevenzione e risoluzione nonviolenta dei conflitti, affrontando in particolare le cause di base dell’instabilità.

La Commissione Europea - sotto forte pressione dell’industria degli armamenti - sta invece pianificando di assegnare centinaia di milioni di euro di fondi pubblici per sviluppare tecnologie militari avanzate, la prima volta che ciò avviene nella storia dell’Unione. Sebbene sia presentata come uno sforzo volto ad aumentare le capacità di “difesa”, il vero obiettivo di questi sussidi è quello di preservare la competitività dell’industria continentale degli armamenti e la sua capacità di esportare al di fuori dei confini, in particolare verso Paesi che contribuiscono all’instabilità globale e prendono parte a conflitti sanguinosi (come ad esempio nel caso dell’Arabia Saudita). La Commissione ha spinto affinché l’industria militare diventi una priorità nelle possibili destinazioni dei finanziamenti. Nel 2016 un budget preventivo di 90 milioni su uno periodo di tre anni è stato dedicato alla ricerca militare, solo come primo. Il 7 giugno 2017 la Commissione ha invece lanciato il Fondo europeo della Difesa nell’ambito del quale si propone di destinare ulteriori 500 milioni del budget comunitario (biennio 2019-2020) per la ricerca e lo sviluppo ad attività condotte dall’industria bellica. Dal 2021 questo contributo salirà a 1,5 miliardi all’anno e potrà includere contributi degli Stati Membri fino ad un limite di 4 miliardi annuali.

Tutte queste misure significheranno drastici tagli su capitoli di spesa di altra natura, in particolare quella sociale, sia a livello europeo che nazionale. Le oltre 142.000 firme raccolte dalle nostre organizzazioni sono un accorato appello di cittadini europei che desiderano un Unione che lavori per la pace e non per fornire sostegno all’industria degli armamenti.

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