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Il Nobel Williams: «Catastrofi come questa sono evitabili. Basterebbe il 25% delle spese militari»

Luca Liverani
Fonte: Avvenire - 13 novembre 2013

Jody Williams all'Archivio Disarmo «Se il 25 per cento delle spese militari andasse in educazione e sviluppo, milioni di persone non sarebbero costrette a emigrare. I governi devono incidere su quella che è la radice di gran parte dei problemi attuali: i cambiamenti climatici prodotti dai combustibili fossili che provocano catastrofi sempre più frequenti. Oggi nelle Filippine, ieri a Fukushima. Perfino nel mio Vermont, al confine col Canada, che non aveva mai visto un uragano. Cambiamenti che accelerano la desertificazione: cioè una delle cause della guerra in Darfur, come dei viaggi disperati nel Mediterraneo».
La passione che ha spinto Jody Williams a vincere la campagna mondiale che ha messo al bando le mine anti-persona – e le è valso il Nobel per la pace nel 1997 – è la stessa che ora la vede impegnata contro la nuova frontiera della ricerca militare: i “killer robot”. Miliardi di dollari e milioni di cervelli che potrebbero essere impiegati per la vita e non per la morte. Williams, anche a nome dell’Iniziativa delle Donne Nobel, interviene oggi al convegno alla Camera organizzato da ControllArmi, la rete italiana per il disarmo, e i Parlamentari per la pace.
Sui cambiamenti climatici la comunità scientifica è già al lavoro da tempo. Cosa c’entra l’industria bellica?
Lo sa che al Pentagono lavorano più matematici che in tutto il resto degli Stati Uniti? La difesa del mio Paese stanzia miliardi per la ricerca sui robot assassini, nelle prestigiose università americane che pretendono di fare pura ricerca scientifica. Dobbiamo passare dal concetto di “sicurezza nazionale” a quello di “sicurezza umana”. Anche i militari americani hanno finalmente inserito nelle loro analisi sulla sicurezza sul cambiamento climatico. In Darfur è stato uno degli elementi che ha provocato la guerra, i nomadi sono stati spinti dalla desertificazione a invadere aree già abitate. Pensiamo agli uragani che stanno devastando gli Stati Uniti. E la gente che soffre di più sono i poveri, le donne e i bambini che sono l’80 per cento dei profughi nel mondo.
Stop Killer Robots Logo Dopo le mine e le bombe a grappolo, il nuovo obiettivo sono i robot. Com’è nata la campagna?
Due anni fa quello che sarebbe stato mio marito, Steven Goose di Human Rights Watch, stava scrivendo un articolo sulla Cia e l’uso dei droni. E abbiamo scoperto che la Difesa stava facendo ricerche per creare i robot assassini. Mi sono spaventata moltissimo e gli ho detto che dovevamo organizzare una nuova campagna. A ottobre 2012 la riunione con altre Ong a New York, il lancio a Londra ad aprile 2013. Una mobilitazione mondiale nata nella mia cucina. Non sono Madre Teresa, anzi, sono della generazione di Woodstock. Ma quando noi persone normali abbiamo deciso di lavorare assieme, abbiamo fatto la differenza. 
Qual è il vostro obiettivo?
Proibire i robot che individuano gli obiettivi e li uccidono, diversamente dai droni che sono comandati a distanza. Il governo Usa sperava di riuscire a produrli senza interferenze, ma in otto mesi siamo riusciti a promuovere un confronto pubblico. Ora su questo tema c’è un incontro a Ginevra. Le Nazioni Unite hanno prodotto un rapporto sui killer robot e le esecuzioni arbitrarie ed extragiudiziarie. Che poi è quello che già fanno gli Stati Uniti con i droni in Yemen, Somalia, Pakistan, Libia. Un rapporto dell’Onu chiede una moratoria sulla ricerca per i killer robot finché non ci sarà un dibattito pubblico.
Perché sono così pericolosi? 
Mi sconvolge l’idea che un essere umano crea armi che decidono di attaccare e uccidere senza che altri esseri umani siano coinvolti nella decisione. Robot per combattere sulla terra, in mare, in cielo. Se ne progettano di piccoli come zanzare per spiare, pungere per prelevare campioni di Dna, inoculare veleni. Non è fantascienza. 
Ma farebbero risparmiare le vite di tanti soldati.
Sì, per prevenire le proteste dell’opinione pubblica. Pensi se la guerra fosse fatta solo da macchine: parlano di «battaglie senza sangue». Americano, ovvio. Senza contare errori o hackeraggio.
Per cambiare bersagli ai robot?
Chi sarà responsabile? E se sbagliano mira? Processi i robot? E il nemico a chi si potrebbe arrendere? In Egitto a piazza Tahir i soldati ebbero l’ordine di sparare sulla folla. Ma hanno sparato in aria, contro un ordine ingiusto.

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