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L'analisi di Archivio Disarmo

Arms Trade Treaty: un successo parziale?

Ernestina Scalfati (Archivio Disarmo)

Introduzione

Dieci anni di campagna internazionale, sei anni di negoziati, due Conferenze diplomatiche, tre bozze di Trattato.

Control Arms approvazione Trattato Lo scorso 1 aprile è stato approvato (con 154 voti a favore, 3 contrari e 23 astenuti) il primo Trattato Internazionale sul Commercio delle Armi (Arms Trade Treaty - ATT), destinato a regolare i trasferimenti di armamenti nel mondo.

Un ruolo decisivo è stato giocato dalla società civile, attraverso campagne di pressione fortissima sui Governi per l’approvazione dell’ATT.[1]

Già dal 2003 la campagna lanciata a livello internazionale da Amnesty International, Oxfam e Iansa (Controlarms), è stata ripresa nel nostro Paese dall’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo e dalla Rete Italiana per il Disarmo, che ha coinvolto e incoraggiato l’opinione pubblica italiana, riuscendo a portare all’Onu nel 2006, insieme ai partner internazionali, una foto petizione di 1 milione di volti.[2]

Da allora, il lavoro della campagna non si è mai fermato, un impegno riconosciuto dallo stesso Segretario Generale dell’Onu.

Tra il 2008 e il 2012 tale commercio ha avuto un incremento di volume di circa il 17% rispetto al quinquennio 2003-07. I principali esportatori di armi nel mondo sono stati gli Stati Uniti, seguiti da Russia e Germania, mentre il primo Paese importatore rimane l’India (dunque, alcuni dei principali protagonisti dell’attuale partita giocata all’Onu).[3]

Anche l’Italia non è stata da meno, con un incremento del 5,28% delle esportazioni, verso Paesi che presentano forte instabilità politica.[4]

 

  1. 1.             Luci e ombre del Trattato

 

L’adozione del Trattato, che introduce una serie di obbligazioni internazionali per controllare e regolare il commercio di armi, è sicuramente un avvenimento storico.

Il testo sancisce divieti e obblighi cui le Parti dovranno attenersi.

Il percorso e i negoziati degli ultimi mesi evidenziano alcuni aspetti su cui soffermarsi.

La regola del consensus[5], ovvero dell’unanimità, che ha caratterizzato le due Conferenze diplomatiche, è stata determinante per il fallimento delle stesse.

Tale principio ha già reso difficili diverse trattative in seno alle Nazioni Unite. La difficoltà di raggiungere un accordo all’unanimità diventa ancora più forte in presenza di interessi economici e politici quali quelli che controllano gli armamenti. E’chiaro, quindi, quanto tutto ciò abbia influenzato le prime negoziazioni.

La prima Conferenza diplomatica si chiudeva con un nulla di fatto, a causa della richiesta effettuata da alcuni Paesi di poter avere “più tempo” per esaminare la bozza di Trattato.[6] Gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo decisivo in questo fallimento.

Nel Paese, le lobbies delle armi sono molto forti. La National Rifle Association, in particolare, è una delle organizzazioni più potenti a favore del possesso di armi. Ha spesso bloccato le approvazioni di altre leggi per il controllo delle armi negli Stati Uniti e non ha mai nascosto la forte contrarietà per il Trattato, ritenendo che avrebbe leso il diritto costituzionale dei cittadini americani al possesso di un’arma. Già dal luglio scorso ha minacciato il Presidente Obama di influenzare negativamente la ratifica dell’ATT all’interno del Senato americano.[7]

Lo scopo è chiaro: minacciare la ratifica del Trattato all’interno del Senato per tutelare ad ampio raggio i grossi interessi economici delle lobbies delle armi Usa.[8]

Dal 18 al 28 marzo 2013 si sono tenuti i secondi negoziati diplomatici a New York.

Un ulteriore tentativo fallito. Questa volta per il voto contrario di Iran, Nord Corea e Siria.

Nonostante diversi Paesi si fossero espressi a favore dell’adozione di un Trattato forte, i maggiori esportatori di armi (USA, Regno Unito, Cina, Francia e Russia) hanno sottoscritto la richiesta di un documento più semplice e attuabile.[9]

Nel corso dei lavori della Conferenza gli USA erano preoccupati di limitare il controllo sulle munizioni, l’India impegnata a tener fuori dalla portata dell’ATT gli accordi di cooperazione, Russia e Cina contrari al divieto finalizzato alla tutela dei diritti umani e molti altri Paesi contrari a rendere pubbliche le relazioni statali sulle esportazioni, mentre Siria, Iran e Corea del Nord hanno posto un veto, chiaramente influenzati dall’attuale conflitto siriano.[10]

Il 2 aprile 2013 la proposta di Trattato è stata comunque portata davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.[11] L’approvazione è avvenuta con una maggioranza di più dei due terzi richiesta.[12]

A livello internazionale, Control Arms ha definito l’approvazione “l'alba di una nuova era, perché questo voto invia un segnale chiaro ai trafficanti di armi e a chi viola i diritti umani: il loro tempo è scaduto”. Widney Brown, di Amnesty International, ha affermato che il lavoro da fare è ancora tanto e che “se si pensa al grande interesse economico e al potere politico in gioco per i grandi produttori ed esportatori di armi, si coglie come questo Trattato sia un omaggio per la società civile che da tempo sostiene l'idea che con meno armi si possano salvare vite umane e ridurne le sofferenze”.

 

 

 

  1. 2.             Un compromesso tra diversi interessi

 

Il Trattato riflette i diversi interessi in gioco e le ragioni geopolitiche che non possono sfuggire.[13]

Tali logiche si possono evincere chiaramente dalle dichiarazioni rese dai Paesi che hanno votato a favore, in modo contrario e che si sono astenuti in Assemblea Generale.

Iran, Siria e Nord Corea hanno ritenuto che il Trattato approvato sia ipocrita.

Ragazzo angolano Il delegato iraniano ha dichiarato di aver votato contro soprattutto perché il documento, mentre garantirebbe il diritto al commercio di alcuni Stati, avrebbe completamente ignorato il diritto inalienabile all'autodeterminazione dei popoli sotto occupazione straniera o coloniale per placare una famigerata potenza occupante.

Il Trattato fornirebbe un “assegno in bianco” agli esportatori, mentre i diritti degli Stati ad importare sarebbero rimessi al giudizio e alla valutazione discrezionale dei primi. Questo lo renderebbe suscettibile di politicizzazione, manipolazione e discriminazione.

Il rappresentante della Corea del Nord ha ritenuto squilibrato il fatto che i Paesi esportatori debbano giudicare la situazione dei diritti umani esistente negli Stati importatori.

Ha posto l’accento, poi, sul fatto che un gran numero di Stati membri abbia insistito per inserire una disposizione che vieti il trasferimento di armi a soggetti non statali e come molti Paesi latino-americani e africani avvertano i problemi di traffico illecito di armi leggere, ma che questi sono stati argomenti poco considerati durante i negoziati.

La Siria, ugualmente, non solo ha sottolineato che il testo non vieta la fornitura di armi a organizzazioni non statali, ma ha pure affermato che alcuni Paesi si sono impegnati nella fornitura di armi a tali gruppi, anche in Siria, e che ciò ha causato la morte di migliaia di civili.

Appare evidente come il conflitto siriano abbia condizionato enormemente l’atteggiamento di questi Stati.

Il rappresentante di Cuba ha lamentato che gli attori non statali siano stati esclusi dal testo, cosa che ha profondamente indebolito il documento e minato la sua efficacia. Tutto questo senza considerare lo squilibrio tra Stati esportatori e importatori, questi ultimi esclusi dalla parte più operativa del documento e dalla valutazione soggettiva ai fini dell’export.

La preoccupazione del Nicaragua è diretta sostanzialmente alla mancanza nel Trattato di norme atte ad impedire trasferimenti a soggetti non statali. Il delegato ricorda che, nel 1980, il Nicaragua è stato vittima della violenza armata di attori non statali, con decine di migliaia di vite perdute. Attualmente sta sperimentando la violenza causata dal traffico di droga e la criminalità organizzata.

Il Venezuela ha posto l’attenzione sul problema non affrontato degli stock di armi.

Il delegato del Pakistan, nonostante il voto favorevole espresso dal suo Paese (in solidarietà con i popoli colpiti dalla violenza armata), ha criticato l’omissione di definizioni importanti, che potrebbero essere utilizzate dagli esportatori per eludere le disposizioni del testo. Rileva, altresì, la mancanza di un chiaro meccanismo di responsabilità per coloro che violino le disposizioni dell’ATT e ritiene che, per un Trattato ancorato a ideali umanitari, sia ironico notare un così chiaro squilibrio tra gli interessi degli importatori e quelli degli esportatori.

Il rappresentante della Bolivia ha sostenuto che il suo Paese si oppone a tutte le forme di violenza, ma non rinuncia al suo diritto di difesa.

La Russia: nonostante il documento contenga una serie di elementi positivi (i sistemi di controllo nazionali), ha evidenziato come non sia corretta l’esclusione del divieto di armi a entità non statali (evidente ennesimo riferimento al conflitto siriano) e che i criteri di valutazione dei rischi umanitari non siano stati sufficientemente spiegati. A questo proposito, si è concentrato sulla formulazione dell'articolo 6.3, in cui gli Stati devono rifiutare un trasferimento se hanno “conoscenza” che le armi potrebbero essere utilizzate per compiere genocidi o crimini in violazione delle quattro Convenzioni di Ginevra. Il termine “conoscenza” è un concetto troppo ampio. La formulazione della versione russa sarebbe stata: “possiede una conoscenza affidabile”.

La Cina ritiene che portare il documento finale di fronte all’Assemblea Generale, oltrepassando la regola del consensus, abbia inciso sull’universalità dell’ATT.

Appare evidente come i conflitti interni all’area mediterranea e le storiche contrapposizioni tra i Paesi latino-americani e gli Stati Uniti abbiano avuto la meglio su una visione lucida e obiettiva della controversia.

Molti altri Paesi, come ovvio, sono stati entusiasti promotori del Trattato, seppur ne riconoscano gli evidenti limiti e con uno sguardo ai futuri emendamenti.

L’Unione Europea, ha espresso “grande soddisfazione” per l'adozione di un Trattato in grado di adattarsi agli sviluppi futuri del commercio armato, tra cui quelli tecnologici.

Il delegato europeo ha dichiarato che, dopo aver svolto un ruolo fondamentale in tutte le negoziazioni, l’UE avrebbe continuato ad essere impegnata nelle prossime tappe del processo, per garantire la rapida entrata in vigore dell’ATT e la sua corretta implementazione.

L’Italia, si è associata alle dichiarazioni fatte dai rappresentanti dell'Unione Europea, sostenendo che il Trattato può contribuire alla lotta contro il traffico e la diversione di armi convenzionali sul mercato illecito. Può fare la differenza nella vita di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, in particolare quelle più vulnerabili. “Siamo pronti, con i partner affini, a compiere un buon inizio”, ha sostenuto.

 

  1. 3.             Le previsioni del Trattato

 

A quali armi si applica

L’art. 2 del Trattato riguarda il c.d. ambito di applicazione, in altre parole fa riferimento alle categorie di armamenti cui si applicheranno le sue disposizioni:

-       carri armati;

-       veicoli corazzati da combattimento;

-       sistemi di artiglieria di grosso calibro;

-       aerei da combattimento;

-       elicotteri d’attacco;

-       navi da guerra;

-       missili e lanciamissili;

-       armi leggere e di piccolo calibro.

Il Trattato, quindi, limita il proprio ambito di applicazione alle sette categorie di armi convenzionali del poco completo Registro Onu istituito nel 1991, con l’aggiunta delle armi leggere e di piccolo calibro ad uso militare.

All’art. 3 e all’art. 4 sono menzionate le munizioni, le parti e i componenti le armi. E’interessante notare che siamo al di fuori del campo di applicazione del Trattato.

Si legge che ogni Stato parte deve costituire un sistema di controllo nazionale per regolare l’esportazione:

-       di cartucce e munizioni delle armi convenzionali coperte dall’art. 2;

-       di parti e componenti, laddove l’esportazione potrebbe consentire l’assemblamento delle armi convenzionali coperte dall’art.2.

Potranno essere applicati a tale disciplina gli artt. 6 e 7 del Trattato.

Il campo di applicazione è limitato ai principali sistemi d’arma più le armi leggere e di piccolo calibro. Non è stata introdotta nessuna novità rispetto al Registro Onu del 1991, già incompleto. Rimangono fuori le armi che non abbiano un esclusivo uso militare e le armi elettroniche (radar, satelliti, droni telecomandati ecc.). Quest’ultima omissione è molto grave. Oggi le “nuove guerre” si combattono in modo sempre più tecnologico e avanzato. Le munizioni e i componenti le armi non sono regolati alla stregua degli altri armamenti, ma in modo assai più debole.

Archivio Disarmo Mentre, infatti, le disposizioni e gli obblighi del Trattato si applicano direttamente alle categorie di armi di cui all’art. 2, relativamente alle munizioni e ai componenti (posizionati al di fuori del campo di applicazione dello stesso) ogni Stato dovrà creare e mantenere un sistema di controllo nazionale e potrà - solo come facoltà, ma non come obbligo - applicare i divieti dell’articolo 6 e gli altri fattori considerati dall’articolo 7.[14] Tali categorie, inoltre, non sono menzionate in articoli chiave del testo, quale quello relativo alla diversione (triangolazione).

Gli accordi di cooperazione e assistenza militare sono fuori dalla regolamentazione del Trattato, come i trasferimenti effettuati all’interno di accordi governativi. In tal modo è abbastanza semplice aggirare i divieti attraverso la stipula di una collaborazione di tal genere. Si tratta di una sorta di “scappatoia autorizzata” per i trasferimenti.

 

 

Gli obblighi e i divieti

L’art. 5 riguarda l’implementazione dell’ATT e prevede l’istituzione di un sistema di controllo nazionale, in particolare di un elenco statale da comunicare al Segretariato, il quale lo metterà a disposizione degli altri Stati parte. Anche in questo caso, è lasciata al libero arbitrio del Paese interessato la concreta implementazione dell’articolo.

Gli artt.6 e 7 costituiscono delle disposizioni importanti dell’ATT e si riferiscono ai divieti e alla valutazione delle esportazioni.

L’art. 6 prevede che ogni Stato parte non debba autorizzare il trasferimento di armi convenzionali, munizioni, parti e componenti qualora tali esportazioni siano in contrasto:

-       con gli obblighi di cui alle misure adottate dal Consiglio di Sicurezza in virtù del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, in particolare gli embarghi sulle armi;

-       con rilevanti obblighi internazionali derivanti da accordi dei quali lo Stato sia parte, in particolare quelli concernenti i trasferimenti o i traffici illeciti di armi convenzionali.

Lo Stato parte, altresì, non deve autorizzare un trasferimento quando le armi o i componenti potrebbero essere usati per:

-       genocidi, crimini contro l’umanità o per gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949[15];

-       attacchi diretti contro obiettivi civili o la proprietà civile[16];

-       altri crimini di guerra definiti da accordi internazionali di cui lo Stato sia parte.

L’art.7 prevede che, qualora l’esportazione non sia vietata ai sensi dell’art. 6, lo Stato parte prima di concedere l’autorizzare debba altresì valutare, in modo obiettivo e non discriminatorio - prendendo in considerazione ogni fattore rilevante - (quali le informazioni ricevute dal Paese importatore ai sensi dell’art. 8 dell’ATT[17]), la possibilità che tali armi, parti, componenti e munizioni abbiano di:

-       contribuire a minare la pace e la sicurezza;

se possano essere usate per:

-       commettere o facilitare serie violazioni del diritto internazionale umanitario;

-       commettere o facilitare serie violazioni del diritto internazionale dei diritti umani;

-       commettere o facilitare un atto che costituisce reato ai sensi delle Convenzioni o dei Protocolli internazionali in materia di terrorismo di cui lo Stato sia parte;

-       commettere o facilitare un atto che costituisce reato ai sensi delle Convenzioni o dei Protocolli internazionali in materia di criminalità organizzata transnazionale di cui lo Stato sia parte.

Lo Stato deve considerare se le armi, le munizioni, le parti e i componenti possano essere usate per commettere o facilitare seri atti di violenza di genere o contro donne e bambini.

Infine, dopo aver considerato se vi siano misure adeguate per superare tali rischi (es. misure di fiducia o programmi congiunti con il Paese importatore) e ritenendo che vi sia un pericolo rilevante, non deve autorizzare l’esportazione.

Le autorizzazioni, in ogni caso, devono essere sufficientemente dettagliate e rilasciate prima dell’esportazione. Qualora, poi, lo Stato venga a conoscenza, in seguito, di nuove e rilevanti informazioni in merito, è invitato a riesaminare l’autorizzazione dopo aver compiuto consultazioni, se del caso, col Paese importatore.

L’art.11 riguarda il rischio di diversione e prevede che ciascuno Stato coinvolto nel trasferimento di armi convenzionali, debba cercare di impedirne la diversione attraverso il sistema di controllo nazionale istituito ai sensi dell’art. 5, valutando i rischi, l’istituzione di possibili misure di mitigazione (esame delle parti coinvolte, richiesta di certificati, documentazione, autorizzazioni) e lo scambio di informazioni tra i Paesi (su attività illecite come corruzione, rotte del traffico internazionale, broker e fonti di approvvigionamento illecito, metodi di occultamento, punti di spedizione e destinazioni utilizzate).

Qualora lo Stato venga a conoscenza di una diversione, deve adottare misure appropriate, quali avvisi agli Stati, esame delle spedizioni, indagini.

Gli Stati si impegnano, inoltre, ad adottare misure di regolamentazione delle attività d’importazione, di transito, di trasbordo e brokeraggio, importanti anche per evitare le triangolazioni.[18]

Evidente, in tale articolo, la totale mancanza di riferimento a munizioni e componenti, che rimangono fuori, quindi, dalla regolamentazione della diversione.

 

La trasparenza

L’art. 12 prevede che ogni Stato debba mantenere registri nazionali delle autorizzazioni concesse e delle esportazioni di armi convenzionali effettuate, oltre che dei trasferimenti di armi verso il proprio territorio, anche di transito, determinandone la quantità, il valore, il modello. Tale registro deve contenere la descrizione delle armi trasferite o di cui si sia autorizzato il trasferimento, dettagli su esportazione e importazione, transiti, trasbordi e utente finale.

L’art. 13 prevede che ogni Stato, entro un anno dall’adozione del Trattato, deve presentare alla Segreteria un Rapporto iniziale relativo all’implementazione del testo.

Per le eventuali inadempienze riguardanti gli artt. 12 e 13, non c’è riferimento ad alcun sistema sanzionatorio.

Se gli Stati, infatti, devono compiere relazioni periodiche sulle esportazioni e importazioni autorizzate, non vi è nessun obbligo di renderle pubbliche.

Questa lacuna nella trasparenza permette agli Stati di escludere tutte le informazioni di natura commerciale o che coinvolgono dati sensibili per la sicurezza nazionale. Sotto questo cappello potrebbero essere omesse rilevanti informazioni ai fini della regolamentazione.

In sostanza, il Trattato sembrerebbe tutelare più la riservatezza commerciale delle imprese rispetto al diritto dell’opinione pubblica mondiale ad essere informata.

In sostanza le previsioni dell’ATT non vanno oltre quanto già contenuto nel Registro Onu delle armi sulle armi convenzionali.[19] 

 

Entrata in vigore e future modifiche

Infine, le modifiche del Trattato possono essere adottate a maggioranza di tre quarti degli Stati contraenti, invece che all’unanimità, e ciò potrebbe consentire un’ evoluzione del Trattato e la possibilità, fra qualche tempo, di emendarlo attraverso una procedura più spedita perché disancorata dal principio del consensus.

Il Trattato entrerà in vigore dopo la ratifica di 50 Stati.



[1] Per una ricostruzione del processo diplomatico e dei negoziati internazionali: E. Scalfari, Verso la Conferenza Onu 2012 per un Trattato Internazionale sul Commercio di Armi, maggio 2012, in http://www.archiviodisarmo.it/siti/sito_archiviodisarmo/upload/documenti/87807_Scalfari_-_Arms_Trade_Treaty.pdf.

[4] A. Motola, Le esportazioni di armi italiane nel 2011, Analisi sintetica dei dati e comparazione, aprile 2012, in http://www.archiviodisarmo.it/siti/sito_archiviodisarmo/upload/documenti/65602_Angelo_Motola_-_export_2011_(word97)_pdf.pdf.

[5] Il principio del Consensus, che regola i negoziati Onu, è la regola - da più parti ritenuta obsoleta - dell’unanimità in alternativa al processo di maggioranza.

[6] Gli Usa, inizialmente contrari nella Risoluzione del 2006 con cui si avviarono i lavori per la stesura dell’ATT, mutarono orientamento nel 2009, con la convocazione della I Conferenza Diplomatica. Nonostante ciò, sono rimasti sempre restii ad ampliare l’ambito di applicazione del Trattato e contrari a norme troppo limitative della potestà statale.

[7] Durante le negoziazioni del luglio 2012, il Presidente Obama ha ricevuto una leggera di contrarietà al Trattato da parte di 51 senatori americani, preoccupati, in particolare, di ciò che l’ATT avrebbe comportato: rafforzamento dei controlli nazionali, verifiche sui trasporti a livello interno, raccolta di dati sui trasferimenti, norme sulla diversione e sull’utilizzo delle armi leggere. Vedi E. Emmolo, ATT 2012: un fallimento annunciato, pp.151-166, in Simoncelli, M. (a/c): La pace possibile. Successi e fallimenti degli accordi internazionali sul disarmo e sul controllo degli armamenti, Roma, Ediesse, 2012, pp.175.

[8] E. Emmolo, Trattato sulle armi: la lettera ad Obama e una data non casuale, luglio 2012, in http://www.disarmo.org/rete/a/36699.html.

[10] Qualche giorno prima, diverse fonti giornalistiche citavano una nave siriana, proveniente dall’Iran, con un carico di 8.500 tonnellate di armi e missili da terra: A. Camboni, Arms Trade Treaty. Testo approvato, ora la ratifica, aprile 2013, in http://www.osservatorioiraq.it/arms-trade-treaty-testo-approvato-ora-la-ratifica.

[11] Barack Obama, con la sua seconda e ultima elezione da Presidente, ha trovato la forza di opporsi alle lobbies armate e promuovere maggiormente la regolamentazione dell’export internazionale e dell’uso delle armi a livello interno.

[12] Una cartina esplicativa dei voti in Assemblea Generale è disponibile in http://armstreaty.org/.

[14] M. Simoncelli, Alleanza Iran-National Rifle Association contro il Trattato sul commercio di armi, in http://www.terranews.it/news/2013/03/alleanza-iran-national-rifle-association-contro-il-trattato-sul-commercio-di-armi.

[15] L’articolo 3 delle Convenzioni di Ginevra: riguarda i conflitti armati a carattere non internazionale che si verificano nel territorio di uno degli Stati contraenti. Tale articolo vieta inderogabilmente la violenza contro la vita e le persone; la cattura di ostaggi; l’oltraggio alla dignità personale e in particolare i trattamenti umilianti e degradanti; l’emissione di sentenze di condanna e le esecuzioni effettuate senza regolare processo, in http://treaties.un.org/untc/Pages/doc/Publication/UNTS/Volume%2075/volume-75-I-971-English.pdf.

[16] Così come richiesto dalla Croce Rossa Internazionale, in http://www.icrc.org/eng/assets/files/publications/icrc-002-4069.pdf.

[17] Ai sensi dell’art.8 lo Stato importatore deve fornire - su richiesta - al Paese esportatore le informazioni utili e assisterlo ai fini della valutazione nazionale, chiederne lui stesso in merito all’esportazione, in http://www.un.org/disarmament/ATT/docs/Draft_ATT_text_27_Mar_2013-E.pdf, già cit.

[18] Per eludere le legislazioni dei Paesi più rigorosi, si utilizza l’espediente di far viaggiare il carico verso Stati più accondiscendenti che, a loro volta, lo trasferiscono nuovamente nel Paese di reale destinazione.

[19] M. Simoncelli, “Storico Accordo Onu per il controllo delle armi”, aprile 2013, in http://www.cittanuova.it/c/427137/Storico_accordo_dellOnu_per_il_controllo_delle_armi.html.

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