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Missili ed elicotteri, così l'Italia ha armato le milizie del rais

Nel 2008 la Libia ha affrontato spese belliche per 1,1 miliardi di dollari. Con Roma affari per 205 milioni, siamo il primo paese dell'Ue
Carlo Bonini
Fonte: La Repubblica - 27 febbraio 2011

Anche quando tutto sarà finito, una pagina del massacro libico non potrà comunque essere cancellata. Né dalle doppiezze della diplomazia occidentale, né dal suo cinismo, né da tardive prese d'atto, né da nuovi embarghi a eccidio ormai consumato. Quella pagina racconta che a Tripoli, Bengasi, Tobruk, il sangue degli insorti è stato e continuerà ad essere versato da armi di fabbricazione europea e russa accatastate con frenesia in questi ultimi sei anni negli arsenali del regime. Che in Tripolitania e Cirenaica, i bossoli di proiettile lasciati a migliaia sul terreno dalle armi automatiche di mercenari e milizie governative hanno inciso sul fondello matrici che ne indicano la fabbricazione italiana, inglese, belga, russa.

Lo documentano i numeri dell'ultimo rapporto dell'Unione Europea sulle autorizzazioni alle esportazioni di materiale bellico nel biennio 2008-2009 di cui - in quest'ultima settimana - è stata data ampia e puntale diffusione da ong e associazioni pacifiste. Ne resta traccia nel dettaglio della mercanzia di morte che Gheddafi è andato trattando nelle principali capitali europee a partire dal settembre 2004, forte della revoca dell'embargo totale imposto al regime nel lontano 1986. E' un computo statistico di cui provare vergogna e che ci vede, almeno tra i Paesi Ue, al centro della scena. "L'amicizia" con il colonnello ha fatto dell'Italia la prima esportatrice di armi dell'Unione verso la Libia. Tra il 2008 e il 2009, ribelli libici 205 milioni di euro. Più di un terzo dell'intero volume di esportazioni belliche europee verso il regime (595 milioni, il totale). Una volta il valore delle armi vendute dai francesi (143 milioni). Tre volte quello di Malta (80 milioni). Cinque volte quello della Germania (57 milioni) e della Gran Bretagna (53 milioni). Dieci volte l'export portoghese (21 milioni).

In quest'ultimo lustro, del resto, il colonnello non appare mai sazio. I vent'anni di digiuno che hanno fatto invecchiare i suoi arsenali, buoni ormai solo per le parate nel deserto, lo rendono bulimico. Nel 2004, dichiara pubblicamente di aver abbandonato il programma per la realizzazione di armi chimiche di distruzione di massa e di essere per questo in diritto di tradurre questa "rinuncia" in un libero accesso al catalogo delle armi convenzionali. Non c'è dunque azienda di armamenti e governo europeo che, di fronte alla contrazione dei mercati europei, non vedano nel raìs un'opportunità da stropicciarsi gli occhi. Nel 2008 - come documentano le statistiche di "Archivio disarmo" - la spesa libica per sistemi d'arma o comunque componenti belliche ha già raggiunto 1 miliardo e 100 milioni di dollari. Ed è destinata, nei due anni successivi, a impennarsi ulteriormente.

Quell'anno, Muhammar Gheddafi viene ricevuto a Mosca (primo esportatore di armi al mondo verso il regime), dove firma commesse per l'acquisto di carri armati, missili, aerei, pari a 1 miliardo e mezzo di dollari. Cifra per altro destinata a mantenersi stabile nel biennio successivo. Acquista per 150 milioni di dollari dall'americana "General Dynamics" sistemi di comunicazione e puntamento per la seconda brigata dei suoi reparti di élite, quella comandata dal figlio Khamis. Ma è a Parigi (forniture aeronautiche per 300 milioni di euro significativamente concordate subito dopo la "felice soluzione" del sequestro delle infermiere francesi) e Roma che trova nuovi tappeti rossi e cappelli in mano.

L'Italia, che ha ufficialmente salutato la fine dell'embargo sulle forniture belliche come uno "straordinario successo" diplomatico, di cui rivendica il merito in sede europea, comprende infatti che può ritagliarsene una fetta importante. La "Agusta Westlands", società del Gruppo Finmeccanica, vende al regime 10 elicotteri Aw109e Power (80 milioni di euro), che si sommano ai 20 già consegnati negli anni precedenti (tra questi, il monorotore AW119K e il bimotore medio AW139). La "Libyan Italian Advanced Technology Company" (LIATEC), joint venture tra la "Libyan Company for Aviation Industry", "Finmeccanica" e "Agusta Westlands", offre servizi di manutenzione e addestramento degli equipaggi dei velivoli AW119K, AW109 e AW139. "Alenia Aeronautica", società del gruppo Finmeccanica, raggiunge l'accordo per la fornitura di un aereo ATR-42MP Surveyor per il pattugliamento marittimo, per la sua manutenzione, per l'addestramento dei suoi piloti (31 milioni).

La "Itas", società di La Spezia, assicura la manutenzione di missili navali "Otomat". Mentre nel maggio del 2009, dando corso agli accordi del Trattato di Bengasi, la Guardia di Finanza consegna al Colonnello le prime tre motovedette per il pattugliamento delle acque territoriali (altrettante arrivano nel febbraio 2010). E' il preludio al grande accordo che, sempre in quel 2009, Finmeccanica chiude con la "Libyan Investment Authority" (LIA) e la "Lybia Africa Investment Portaolio" (LAP) "per attività di cooperazione strategica" in ambito militare e di sorveglianza. Su tutte, un sistema elettronico di "controllo dei confini" libici per 300 milioni di euro, la cui realizzazione è affidata alla "Selex Sistemi Integrati", società del gruppo di cui è amministratore delegato Marina Grossi, moglie del presidente Pierfrancesco Guarguaglini e già indagata per corruzione dalla Procura di Roma per gli appalti con Enav.

C'è di più. Nei numeri forniti dall'Ue, in carico agli armieri di casa nostra sarebbero anche gli 80 milioni attribuiti alle esportazioni di Malta. Se hanno ragione infatti gli analisti di "Rete Rete Italiana per il Disarmo Disarmo", quella fornitura partita da La Valletta per Tripoli, dissimulerebbe una triangolazione, "di cui non esiste traccia nella documentazione ufficiale di Palazzo Chigi", di "armi Beretta della categoria ML 1, ad anima liscia, di calibro inferiore a 20 mm e armi automatiche di calibro 12,7 mm".

Nei giorni scorsi, di fronte a un'opinione pubblica inorridita, il Belgio ha giustificato i migliaia di bossoli calibro 7,62 ritrovati sulle piste dell'aeroporto di La Abrag a El Beida prodotti dalla "Fn Herstal" come una "fornitura destinata alla scorta di aiuti militari in Darfur". Il 17 febbraio, la Francia ha annunciato il congelamento delle commesse al Regime, seguita dall'Inghilterra. La nostra diplomazia e i nostri ministri (Frattini e La Russa) hanno laconicamente annunciato che l'Italia "si adeguerà alle sanzioni decise dall'Unione".

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