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79milioni di armi italiane per i mercenari di Gheddafi

L'Italia, tra i primi esportatori di armi al mondo, ha storicamente un ruolo internazionale importante, ma la novità politica è il legame con regimi dittatoriali come quello di Gheddafi.
Sara Sartori
Fonte: Agenzia Multimediale Italiana - 25 febbraio 2011

INTERVISTA a Carlo Tombola, coordinatore scientifico di Opal (Osservatorio permanente sulle armi leggere)

«Nel 2009 l’Italia ha triangolato attraverso Malta al regime del Colonnello Gheddafi oltre 79 milioni di euro di armi leggere ad uso militare che alcune fonti dicono della ditta Beretta. È anche con queste armi che l’esercito di Gheddafi sta sparando sulla popolazione». La denuncia della Rete Italiana per il Disarmo afferma che si tratta di armi che - come ha confermato un funzionario del Ministero degli Esteri di Malta sono «di provenienza italiana, e non hanno mai toccato il suolo maltese». Carlo Tombola, Coordinatore di Opal, Osservatorio Permanente Armi Leggere (audio) racconta come «storicamente avvengono questi commerci ma è invece nuovo il contatto con i dittatori del nord Africa che stanno cadendo uno a uno».
Libia rivolta
La due facce della medaglia. Il made in Italy ha due grandi capisaldi, il Parmigiano Reggiano che tutti ci invidiano e che nessuno al mondo è in grado di imitare, e le armi. Il Belpaese infatti non è solo tra i primi quattro esportatori di armi leggere al mondo ma anche tra i primi dieci di armi pesanti. Un fatturato che, secondo Carlo Tombola, coordinatore Osservatorio permanente armi leggere non è nemmeno decifrabile vista la poca trasparenza del commercio delle armi che questo ennesimo caso dimostra. Ma la Libia è solo la punta di un iceberg che ha basi molto solide nel nostro paese. E in questo caso ci sono solo due soluzioni: o la ditta italiana ha esportato le armi senza l’autorizzazione del Governo italiano (che però avrebbero dovuto essere bloccate dalle dogane maltesi) oppure, come è più probabile, «vi è stata un’autorizzazione da parte di qualche ufficio del Governo italiano che però non è stata mai notificata né nelle Relazioni al Parlamento né all’Unione Europea» conclude il comunicato della Rete disarmo.

Una storia gloriosa. «L'Italia esportava fucili da caccia in Albania durante la guerra del Kossovo, o in Eritrea a uno dei regimi più duri del Corno d'Africa» racconta Tombola. L'affare delle armi dunque, sotircamente, che i governi fossero di destra o di sinistra, è uno dei principali nel nostro Paese che partecipa alle campagne militari Nato, accoglie basi militari sul proprio territorio e mantiene una delle industrie belliche più fiorenti al mondo. Nonostante nella Costituzione si parli chiaramente di «ripudio della guerra» la realtà è che «siamo tutti finanziatori indiretti di questo mercato, Finmeccanica e Fincantieri sono a partecipazione statale e gestiscono la vendita di armi anche pesanti» spiega Tombola.

La priorità: trasparenza. «Questi sono fattori storici, non siamo abituati a valutare il ruolo internazionale dell'Italia e nemmeno le maggiori fabbriche esportatrici di armi dichiarano il loro ruolo - denuncia il coordinatore di Opal -. La Beretta, maggiore produttore di armi leggere del paese, segna dal 2 al 4% di fatturato nel campo bellico quando invece sappiamo perfettamente, anche da fonti sindacali, che le linee produttive delle armi da guerra sono cresciute». L'escamotage sta nella poca trasparenza del sistema, e infatti, una delle principali richieste delle associazioni che si battono per una regolamentazione nazionale e internazionale più ferrea puntano proprio a questo. «Noi chiediamo trasparenza, non di arrestare i mercati. Poi grazie alla trasparenza molti casi come questo della Libia verrebbero allo scoperto».

Banche armate e legge 185. Una delle campagne che in questi anni hanno permesso ai cittadini di prendere le distanze dagli investimenti nel campo degli armamenti è quella sulle 'Banche armate'. «Con questa campagna siamo riusciti a dare un discreto fastidio» spiega Tombola. Il rapporto 2010 sugli investimenti delle banche nel commercio di armi mette al primo posto il Banco di Brescia (oltre 1mili ardo200milioni di euro) seguita da BNP Paris Bas (oltre 800milioni di euro), Intesa San Paolo (circa 200 milioni di euro) e Unicredit (circa 1milione e mezzo di euro).Mentre le banche, grazie ai nostri risparmi, finanziano commerci multimilionari nel campo degli armamenti, il governo Berlusconi lo scorso settembre ha minato la legge 185 del 1990 cioè la legislazione che da venti anni pone l’Italia all’avanguardia sul controllo del commercio di armamenti. «L'iniziativa legislativa - spiega la Rete disarmo - recepisce una direttiva comunitaria e secondo i proponenti «intende armonizzare le legislazioni di tutti i paesi UE e soprattutto favorire un'integrazione del mercato comunitario di questa industria».

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