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Disarmati

No alle armi nucleari
Francesco Vignarca
Fonte: Unimondo - Vita Trentina - 17 gennaio 2011

Si è tornato a parlare di nucleare, nell'ambito dei corsi Isodarco, di cui in questi giorni si sta svolgendo la XXIV edizione invernale. Si tratta della Scuola Internazionale sul Disarmo e la Ricerca sui Conflitti, che rappresenta il braccio formativo delle Conferenze “Pugwash” su scienza e affari mondiali, organizzazione non governativa insignita nel 1995 del Premio Nobel per la Pace ed i cui fondatori furono Albert Einstein e Bertrand Russell. All'Isodarco partecipano un centinaio di persone provenienti da tutto il mondo, dagli Usa alla Russia, dalla Nigeria all'India, alla Corea, al Giappone, alla Cina.

La tematica nucleare è importante ed attuale non solo perché in Italia il governo pensa di costruire alcune centrali, dopo che questa tecnologia è stata abbandonata totalmente a seguito dei referendum del 1987, o perché a livello internazionale si parla di un ritorno a questa fonte di energia come di uno strumento utile a diminuire le emissioni dei gas serra. Non solo; ancora più importante è il fenomeno della proliferazione nucleare, che vede diversi paesi impegnati a dotarsi dei materiali e competenze necessari per realizzare centrali elettronucleari, ma forse solo come espediente per giungere all'armamento atomico.

È il caso dell'Iran, che preoccupa le diplomazie di mezzo mondo. Ricordiamo infine che la Corea del nord è negli ultimissimi anni anch'essa entrata nel club nucleare, facendo esplodere ordigni atomici nel 2006 e nel 2009. Fa una certa impressione che un paese poverissimo si sia potuto dotare di una tecnologia tra le più prestigiose.

Dopo che negli arsenali di Usa e Urss si era arrivati ad avere oltre trentamila testate atomiche, vari trattati di disarmo sono stati concordati negli scorsi decenni, così da ridurre di dieci volte sia il numero che la potenza complessiva di questi mortali ordigni. Ma troppi ancora ne rimangono. E la difficoltà con cui, sino a poco tempo fa, le superpotenze consideravano la possibilità di rinunciarvi, dava automaticamente un forte segnale agli altri stati, che le bombe erano utili, ambite, dotate di alto valore intrinseco, sia politico che militare.

A ben guardare, però, proprio gli stati più potentemente armati non le avevano usate in situazioni belliche in cui essi erano risultati sconfitti, con grave perdita di immagine; ci riferiamo ai sovietici in Afghanistan e agli Usa in Vietnam. Allora queste bombe servono o no?

Di certo sono armi disumane, che in un istante riescono ad uccidere milioni di persone, senza distinzione alcuna tra belligeranti e popolazione civile. Rappresentano inoltre un ulteriore passo verso una guerra priva di valori, di eroismo, in cui non serve essere un bravo soldato per schiacciare il tasto che assicura la distruzione del nemico e di tutto quello che gli sta attorno. Non si deve poi dimenticare come già in passato vi siano stati vari casi in cui si è andati vicinissimi ad uno scontro atomico totale per sbaglio, e questo è un rischio inaccettabile per chiunque voglia garantire all'umanità un futuro degno di essere vissuto.

Come dice la prof. inglese Rebecca Johnson, le armi atomiche dovrebbero diventare dei veri paria, rifiutati per motivi umanitari, proprio come nel XX secolo si sono bandite le armi tossiche e biologiche, quelle asfissianti e chimiche, le mine e le bombe a grappolo. Come successe allora, è importante che l'opinione pubblica giochi un ruolo forte nello spingere i politici a prendere decisioni coraggiose, capaci di farci uscire da un incubo durato anche troppo.

La possibilità di eliminare gli arsenali atomici ha ricevuto una forte spinta con la presidenza di Barak Obama, che da subito ha auspicato la loro abolizione. Se indubbiamente grandi ostacoli si frappongono alla realizzazione di questo progetto, non c'è dubbio che anche i percorsi più difficili richiedono un primo passo, e questo è stato compiuto.

Mirco Elena da Vita Trentina

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