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«I raid non servono. Il ministro parla solo all’industria militare»

Intervista a Fabio Mini
U.D.G.
Fonte: l'Unità - 11 ottobre 2010

Le parole del ministro La Russa non rassicurano i nostri soldati né l'opinione pubblica italiana. Quelle parole non spaventano i talebani, ma servono a tranquillizzare le lobby militari-industriali». A sostenerlo è il generale Fabio Mini, ex Capo di stato maggiore delle forze Nato del sud Europa, già comandante della missione Nato-Kfor nel periodo 2002-2003. «Agli americani – rileva Mini – non mancano certo bombe e aerei ma non è che così hanno risolto i loro problemi». Generale Mini, qual è il messaggio lanciato dal Afghanistan soldati ministro della Difesa Ignazio La Russa? «Il messaggio che il Governo italiano ha inteso lanciare con le parole del ministro della Difesa non è rivolto al Paese ma alle lobby militari-industriali che stanno spingendo da anni per avere nuovi aerei. L'esigenza vera in Afghanistan non si risolve dando le bombe ai nostri aerei, perché lì di bombe e aerei ce ne sono anche troppi. Gli americani non hanno risolto i problemi, né rafforzato la sicurezza dei propri soldati, con le bombe e gli aerei di cui sono abbondantemente dotati. Quello evocato dal ministro La Russa è un falso scopo. Il vero scopo è quello di evitare che i programmi di acquisizione degli F-35 e di altri aerei da combattimento, che sono a rischio perché non abbiamo i soldi e perché la loro utilità è dubbia, vengano accantonati definitivamente. Insisto su questo punto: il messaggio che viene lanciato da La Russa non rassicura né i nostri soldati né gli italiani. Quel messaggio non spaventa i talebani e non aiuta certo a migliorare quella strategia politico-militare che dice di prevedere una maggiore autonomia afghana. Tra i mille problemi che il presidente Karzai ha c'è quello di spiegare ai suoi connazionali le centinaia di vittime civili provocate proprio da quei bombardamenti che si vorrebbero ora autorizzare da parte italiana. Non è incrementando i raid aerei che si conquista il consenso degli afghani, semmai è vero il contrario». C'è chi sostiene che dando il via libera ai bombardieri con l'armamento previsto, il governo italiano sveli la vera natura della missione in cui sono impegnati i nostri militari in Afghanistan... «Non è che “svela”, ma finalmente riconoscerebbe le intenzioni della guerra. Della guerra, sì, perché da tempo ormai la presenza alleata in Afghanistan è qualcosa di diverso da una classica missione di “peacekeeping”. Di guerra si tratta e le intenzioni, reali non quelle proclamate, non sono davvero quelle di aiutare gli afghani. L'unica cosa necessaria sarebbe il controllo del territorio, che in quelle poche parti dell'Afghanistan in cui è stato realizzato, non dipende dai bombardamenti ma dagli “scarponi” dei soldati che stanno permanentemente sul territorio degli afghani aiutandoli e facendo da deterrente ai delinquenti». Generale Mini, vorrei tornare sulla natura di questa missione... «La natura di questa guerra è fortemente deviata. Perché non siamo dentro ad una guerra tradizionale, e questa è una realtà di fatto che non scopriamo certamente oggi. Finché ci ostiniamo a rispondere con strumenti inadeguati a questo tipo di guerra, faremo sempre gli interessi di qualcuno che non vuole la fine della guerra ma continuarla. Se esiste una certezza in Afghanistan è che con questo tipo di intervento da quel martoriato Paese non si esce più e soprattutto non se ne esce indenni». L'ex ministro della Difesa, Arturo Parisi, ha rimarcato che quella di bombardare per l'Italia sarebbe una decisione storica.... «Non è che ci sia molta differenza tra mitragliare e bombardare. Adesso i nostri soldati possono mitragliare per scopi di autodifesa attiva. Bombardare significa andare in un posto che non ti sta offendendo ed eliminare dei presunti obiettivi. Di storico semmai ci sarebbe altro». Cosa, generale Mini? «Capire l'entità della presunzione degli obiettivi da eliminare ed anche il fatto che la decisione di bombardare non verrebbe da noi, ma da qualcun'altro. Perché a scegliere gli obiettivi non saremmo noi ma altri da cui comunque dipenderemo».

Note: Articolo al link http://cerca.unita.it/data/PDF0115/PDF0115/text18/fork/ref/10284oke.HTM?key=fabio+mini&first=1&orderby=1
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