"Centomila mitra dall'Italia all'Iraq"
Un traffico di centomila armi automatiche russe dall’Italia all’Iraq per alimentare la guerriglia. E’ questa la scoperta a cui è arrivato il procuratore antimafia di Perugia, Dario Rizzo, secondo documenti dell’indagine ottenuti da due reporter dell’Associated Press. Il traffico è stato scoperto durante una perquisizione delle forze di polizia all’aeroporto di Fiumicino quando l’affare da 40 milioni di dollari era quasi concluso. L’Associated Press ha ricostruito nei dettagli la trattativa che avrebbe dovuto portare le armi alla guerriglia, arrivando a scoprire che alcuni alti funzionari del governo di Baghdad ne erano a conoscenza ma non informarono Washington, in violazione degli accordi bilaterali.
Il procuratore Rizzo è alla guida dal 2005 dell’Operazione Parabellum che ha portato a smantellare un traffico di armi verso la Libia che sembra coinvolgere anche l’Iraq. La pista di Baghdad è emersa proprio dalle indagini su compagnie off-shore create a Malta e Cipro da cittadini italiani implicati nel traffico verso la Libia. Sono molti gli elementi che tingono di giallo la vicenda. Da alcune email recuperate dagli investigatori emerge che il contatto iracheno disse ai trafficanti italiani che gli Stati Uniti avevano approvato l’acquisto.
Il tenente colonnello Daniel Williams, del comando della coalizione responsabile dell’addestramento degli iracheni, ha negato la circostanza, ma il dubbio basta per riproporre negli Stati Uniti le polemiche sulla carenza di controlli sulle forniture di armi all’Iraq.
Vi sono poi gli interrogativi riguardanti il coinvolgimento di alti funzionari iracheni, definito «strano» da Razzi, in quanto non è chiaro perché il governo di Baghdad abbia avuto bisogno di acquistare armi al mercato nero quanto le può normalmente comprare per vie legali. I dettagli dell’imminente invio di armi sono emersi lo scorso novembre quando un’email inviata dalla società irachena Al-Handal di Dubai a Massimo Bettinotti, 39enne titolare della società Mir con sede a Malta, chiedeva di acquistare 100 mila kalashnikov e 10 mila mitragliatrici «per il ministero degli Interni iracheno» spiegando che «questa fornitura è approvata dall’America e dall’Iraq».
Le trattative continuarono per email coinvolgendo anche un’altra azienda irachena, al-Thuraya, facendo trapelare «discussioni a volta nervose» - riporta l’Ap - come in occasione di una richiesta di Bettinotti di avere un incontro «faccia a faccia». Gli italiani inviarono per email diverse offerte di fucili, includendo anche le foto e la fonte delle armi, ma anche questo fu causa di tensioni perché Bettinotti offriva kalashnikov cinesi mentre gli iracheni volevano a tutti i costi quelli russi.
«Abbiamo fretta nel concludere questo accordo» scriveva il 13 novembre l’iracheno Walid Nuri al-Handal agli italiani - riporta l’Ap affermando di aver visto il testo - facendo capire che il trasferimento clandestino non avrebbe comportato problemi perché «possiamo far arrivare il prodotto in un altro Paese e poi trasferirlo in Iraq». Lo scorso dicembre gli italiani fecero, attraverso un mediatore bulgaro, l’ultima offerta: 50 mila kalashnikov Akm, 50 mila fucili Akms e 5000 pistole Pkm. La richiesta fu di 39,7 milioni di dollari, gli iracheni la accettarono e gli italiani, forti di un profitto valutato dagli investigatori in 6,6 milioni di dollari, iniziarono a studiare i dettagli del trasporto.
Fu allora che il procuratore fece scattare il blitz che portò in febbraio all’arresto di 17 persone, inclusi Bettinotti e altri quattro trafficanti, mentre il quinto, Vittorio Dordi, si troverebbe in Congo. Per l’Ap il traffico verso l’Iraq era un’operazione parallela a quella verso la Libia, dove due funzionari del ministero della Difesa vennero corrotti per accelerare l’invio di fucili cinesi.
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