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F35: il Caccia che divide governo e cattolici

Matteo Ganino
Fonte: Affaritaliani.it - 17 febbraio 2007


Non sono solo i Dico e la base di Vicenza a dividere governo e mondo cattolico. C’è anche una partita decisiva per la nostra spesa pubblica e la politica industriale: il progetto del nuovo caccia militare che dovrebbe sostituire i Tornado e altri aerei da guerra in dotazione a Marina e Aeronautica.

Il Sottosegretario alla difesa Lorenzo Forcieri ha sottoscritto il 7 febbraio un memorandum d’intesa con gli Usa per il programma di ricerca, sviluppo e produzione del bombardiere Joint Strike Fighter (JFS), noto anche come F35. Un progetto quarantennale da 250 miliardi di euro di cui il nostro paese sarà tra il terzo partner principale dopo Usa e Regno Unito. Anche Olanda, Canada Australia, Norvegia, e Danimarca aderiscono al programma. Capo-commessa è la società americana Lockheed Martin, 20 le aziende italiane coinvolte, capitanate da Finmeccanica.

I veivoli destinati ad Italia e Olanda verranno assemblati a Cameri (NO). Prima però bisogna garantire l’acquisto di un certo numero di F35. Italia dovrebbe comprarne 131, ma Prodi è intenzionato a scendere a 100.

Il progetto prevede una prima fase, già in corso, di creazione di prototipi, una seconda, imminente, di sviluppo e industrializzazione e una successiva di produzione vera e propria. Le critiche del mondo pacifista si concentrano sugli aspetti economici dell’accordo. Il governo dichiara che l’impegno finanziario per il nostro paese è attualmente di 160 milioni di dollari a cui si aggiungerà un investimento di circa un miliardo e 800 milioni di dollari spalmato in 40 anni. Il ritorno occupazionale immediato è di 2-3mila posti, fino a 10mila quello a lungo termine.

L’indotto coinvolgerà molte piccole e medie a aziende, mentre il costo d’acquisto degli aerei è di circa 11 miliardi di dollari. Secondo la Rete Italiana per il Disarmo, un network di una trentina di associazioni che riunisce realtà del mondo cattolico, laici e sindacati dei metalmeccanici come Fim- Cisl e Fiom, la spesa complessiva per il nostro paese è invece di 20 miliardi di euro (26 miliardi di dollari) con un ritorno costi- benefici minimo (vedi box).

Sugli F35 si sono pronunciati anche il vescovo di Alessandria, Fernando Charrier e l’arcivescovo di Pescara e presidente di Pax Christi Tommaso Valentinetti. Si chiedono in un comunicato congiunto (vedi box) “Quale cammino di pace sarà mai possibile, se si continua a investire nella produzione di armi e nella ricerca applicata a svilupparne di nuove?". Le riflessioni partono dal magistero della Chiesa, ma si riferiscono direttamente “all'avvio dell'assemblaggio finale di velivoli da combattimento da effettuarsi nel sito aeronautico di Cameri (Novara).”

Le contestazioni della Rete Disarmo muovono dai rilievi delle Corti dei conti Usa (vedi box) e olandese su alcuni punti critici del progetto: mancanza di trasparenza nelle procedure adottate, incertezza sui costi finali e dubbi sulle performance dell’aereo. Secondo il Gao (Government accountabilty office, l’organismo di revisione contabile degli Stati Uniti) si tratta di un investimento a scatola chiusa, effettuato senza attendere i test di volo. Il primo è stato effettuato il 15 dicembre 2006.

Rete Disarmo chiede che la Corte dei conti italiana si pronunci sull’argomento. “I dati in nostro possesso spesso non sono completi: non è facile reperire informazioni su progetti militari che coinvolgono multinazionali.- afferma Francesco Vignarca (Rete Disarmo) - Chiediamo un’indagine contabile, se i nostri calcoli sono sbagliati, qualcuno lo certifichi. Del resto anche quando si impianta una caldaia, c’è qualcuno che ne garantisce il buon funzionamento prima di farla partire.” Regola che, a maggior ragione, “dovrebbe valere per l’F-35, un progetto faraonico dal punto di vista finanziario”, sottolinea Vignarca.

Rete Disarmo sta per lanciare una petizione contro il caccia da inviare a Prodi e al ministro Parisi ed è pronta ad inondare di email i rappresentanti delle istituzioni. “Il vero problema del governo è giustificare l’investimento di denaro pubblico- dichiara Gianni Alioti (Fim Cisl) - L’industria bellica è un comparto tutto statale alimentato da commesse pubbliche: lo Stato prima spende nella fase di ricerca e poi deve comprarsi gli aerei. Nel contempo lo Stato si ritira da altri settori strategici, rinunciando ad incentivare lo sviluppo industriale nelle produzioni in cui l’Italia esercita una leadership. E lascia solo le briciole alla ricerca scientifica”.
E’ sbagliato seguire la strada degli Usa “destinano gli investimenti statali all’industria militare a discapito di settori come la manifattura”. Ma niente antiamericanismo, assicura Rete Disarmo. Le critiche riguardano le scelte strategiche del nostro paese che ripete sempre gli errori del passato. L’Italia preferisce rimanere ancorata al carro della subfornitura militare invece di partnership alla pari in progetti di cooperazione europea con importanti ricadute tecnologiche nel campo dell’aeronautica civile, settore che in questi anni si è sviluppata moltissimo.

Tra i treni che abbiamo perso, un nome su tutti: Airbus, il consorzio di imprese francesi, tedesche e in seguito anche spagnole e britanniche nato nel 1969. “Anche se ora la società non se la passa molto bene- rileva Gianni Alioti, è stato il più importante progetto di aeronautica civile europea degli ultimi 25 anni”.

Note:
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