ControllArmi

ControllArmi

RSS logo

Il Libro bianco sulla Difesa nazionale cinese del dicembre 2006

Franco Apicella
Fonte: Pagine di Difesa - 15 gennaio 2007


A distanza di due anni dalla precedente edizione è stato pubblicato alla fine dello scorso dicembre il Libro bianco sulla Difesa nazionale cinese nel 2006. La struttura del nuovo documento è stata parzialmente modificata con titoli diversi nei capitoli (10 in totale più 6 allegati) e nei paragrafi. Gli argomenti tecnico-militari sono esposti con uno sviluppo consequenziale più vicino alla logica e alla cultura occidentale. La revolution in military affaires (Rma) già annunciata nel documento del 2004 sembra dunque avere attecchito, quanto meno sul piano concettuale. Può essere indicativo anche un dettaglio formale: per la Rma e altri termini non si utilizzano più le iniziali maiuscole.
La premessa (primo capitolo) indica parziali correzioni di rotta nel quadro politico-strategico. Non si fa più menzione di operazioni o conflitti asimmetrici e la minaccia terroristica è citata – insieme a estremismo e separatismo – alla fine di una lista delle “crescenti complessità nel contesto della sicurezza della regione Asia- Pacifico”. In testa figura “l’accelerazione del rischieramento del dispositivo militare statunitense volto a potenziare la loro (degli Usa, ndr) capacità militare nella regione”. Subito dopo compaiono, nell’ordine: il rafforzamento dell’alleanza militare tra Giappone e Usa; la possibile revisione della costituzione giapponese in termini di capacità di Difesa; il nucleare militare nord coreano; l’Iraq; l’Afghanistan; il Medio Oriente; la questione nucleare iraniana.

Vengono esaminate le organizzazioni internazionali di diretto interesse come la Shangai cooperation organization (Sco) e la Association of Southeast Asian Nations (Asean), ma non la Asia-Pacific Economic Cooperation (Apec), una sorta di Wto regionale cui partecipano anche gli Usa e che era stata citata per prima nel Libro bianco del 2004. La questione di Taiwan è trattata con toni meno perentori alla fine della premessa e ripresa poi nel secondo capitolo senza però che le venga dedicato un paragrafo come nella precedente versione.

L’atteggiarsi in maniera relativamente moderata su Taiwan e l’ignorare un possibile ponte verso gli Usa sono due facce della stessa medaglia: la palese aspirazione alla leadership regionale da acquisire senza riguardi per la superpotenza planetaria. In prospettiva, forse qualcosa di più della leadership regionale, come indicano le scadenze per la modernizzazione delle forze armate fissate nel secondo capitolo: “solide fondamenta” entro il 2010, “progresso decisivo” entro il 2020 e “capacità di vincere guerre informatizzate” entro la metà del Ventunesimo secolo.

Il passaggio dalla meccanizzazione alla informatizzazione posto a base della Rma nel 2004 si è trasformato in sinergia tra le due componenti. Può sembrare una involuzione; in realtà si tratta di aderenza alla analisi geostrategica. In primo piano, tra le “complessità” (leggasi minacce) figurano gli Usa il cui strumento militare, per quanto informatizzato, dispone di un enorme potenziale meccanizzato che deve essere fronteggiato con capacità paritetiche. Forse è stata assimilata anche la lezione dei conflitti in Afghanistan e Iraq, che rivalutano l’importanza del hardware già snobbato da Rumsfeld. L’esercito, fulcro della meccanizzazione, ritrova il posto perso nella precedente edizione del documento, quando era stato escluso dalle priorità operative attribuite nell’ordine a marina, aeronautica e forze missilistiche (second artillery force).

Nel terzo capitolo si ribadisce che l’esercito, a differenza delle altre forze armate, non ha un proprio vertice, ma quattro comandi militari territoriali che rispondono direttamente alla Commissione militare centrale (Cmc), organo politico-militare responsabile della Difesa e controllato dal Partito comunista cinese (Cpc). Quella dell’esercito è di fatto una struttura radicata nel territorio attraverso comandi di vario livello (d’area, di provincia, di prefettura) paritetici agli organi della amministrazione statale.

Il controllo politico dell’esercito viene realizzato attraverso la “dual leadership”, risultato dell’affiancamento dei comandi militari e delle strutture politico-amministrative. Anche per marina e aeronautica viene indicata nel quarto capitolo una riarticolazione in senso territoriale delle strutture di comando con l’obiettivo dichiarato di una maggiore integrazione interforze. Ma l’effetto collaterale di un più stretto controllo politico non sarà certo sgradito alla Cmc, ancora meno al Partito.

Il completamento annunciato della riduzione di 200mila effettivi nelle forze armate non cambia il numero complessivo che, come già nel 2004, si attesta a 2,3 milioni. Si pone invece l’accento su una diversa ripartizione con l’aumento del 3,8 per cento nella proporzione di effettivi di marina, aeronautica e forze missilistiche e una diminuzione del 1,5 per cento per l’esercito. Nel ridimensionamento dell’esercito è compresa la ristrutturazione già attuata in alcuni corpi d’armata, ordinati ora in brigate e battaglioni anziché in divisioni e reggimenti. In questo caso il lavoro di cosmesi è coerente con quello di forbici.

Oltre agli aspetti di diretto interesse militare (addestramento e formazione, logistica, armamenti ed equipaggiamenti), in questo quarto capitolo si trattano anche temi politici. In un paragrafo intitolato Political Work compare questa frase: “The PLA conducts psychological training and studies on psychological operations, and has in place a mechanism involving both political and medical institutions to provide psychological education, catharsis and health service”. Sembra un inquietante ritorno alla rivoluzione culturale, con autocritica e rieducazione ora definite catharsis.

Un capitolo del tutto nuovo, il quinto, è dedicato alla People's Armed Police Force (Papf). Nella precedente edizione compariva solo l’acronimo in diverse occasioni ma sempre affiancato a quello delle forze armate, Pla (People's Liberation Army). Ora la Papf assume rango paritetico a quello delle forze armate ed è inserita a pieno titolo nel Libro bianco della Difesa. Questo potrebbe essere un segno di trasparenza ma anche di militarizzazione più spinta - quindi maggiore controllo - di questo corpo di polizia. Uno stretto controllo politico degli apparati più sensibili dello Stato compensa le aperture nel campo dell’economia e del commercio, ormai inevitabili.

L’ansia del controllo trapela anche dal capitolo sesto, dedicato alla mobilitazione, che coinvolge Pla, Papf e la milizia territoriale oltre naturalmente al sistema economico. Per la milizia si introduce un criterio innovativo simile per certi aspetti a quello della riserva selezionata adottato in Italia. Non servono più masse di operai generici militarizzati, ma tecnici specializzati in settori vitali a supporto della Difesa. Esiste poi la riserva vera e propria destinata a completare e incrementare gli organici delle forze armate; si registra anche qui un calo nelle risorse destinate all’esercito.

Un altro capitolo del tutto nuovo è il settimo, dedicato al sistema difensivo di confine e costiero. Viene evidenziata la recente assunzione di responsabilità da parte delle forze armate dei confini con la Corea del Nord e con Myanmar (Birmania) nel settore dello Yunnan. Resta poco da dire – ma tanto da leggere – per gli ultimi tre capitoli: scienza, tecnologia e industria per la difesa nazionale; bilancio della Difesa; cooperazione nella sicurezza internazionale.

Appare interessante l’annotazione relativa all’incremento dei brevetti e alla maggiore tutela della proprietà intellettuale; forse c’è la speranza che la comunità internazionale ne prenda buona nota. Il capitolo dedicato al bilancio della Difesa costituisce ulteriore occasione per dare segno di trasparenza. Sono messi in risalto paragoni con altri Paesi che spendono cifre molto superiori, ma resta la sostanza di un incremento di spesa dichiarato del 15,31 per cento nel 2004 e del 12,50 per cento nel 2005.

Questo nuovo Libro bianco, ancora più del precedente, risente delle contraddizioni in cui vive oggi la Cina. C’è una frase nella premessa e in seguito ripetuta che appare sintomatica dell’atteggiamento dei dirigenti di Pechino: “China is committed to building a moderately prosperous society”. La prosperità deve essere contenuta per non suscitare pulsioni smodate verso la libertà. Lo Stato e il Partito vogliono ancora essere i veri padroni della Cina per governarne ordinatamente l’ascesa a potenza planetaria.

Note:
.