Tagli alla Difesa? Quando i lupi...
Tutto come previsto. Alla prima uscita internazionale, la biennale fiera aerospaziale di Farnborough in Gran Bretagna, i neo eletti rappresentanti del nuovo Governo non si sono lasciati sfuggire l'occasione per dichiarare che "le risorse destinate alla Difesa vanno aumentate da subito con l'obiettivo di portale all'1% del Pil entro la fine della legislatura". E per lamentare la "riduzione dei finanziamenti al settore Difesa" che "in altri Paesi sono ritenuti un'occasione di sviluppo economico e occupazionale e non una zavorra per le finanze dello Stato". Lo hanno dichiarato, rispettivamente, il sottosegretario alla Difesa, Lorenzo Forcieri e il presidente della commissione Difesa del Senato Sergio De Gregorio.
Forcieri, che da anni è il rappresentante politico del comparto industriale-militare spezzino, riprende un discorso iniziato dai DS già nel novembre scorso nel quale i massimi vertici del partito stigmatizzavano i "drastici tagli" del governo Berlusconi alla Difesa come "il punto più basso di una sequenza decrescente che ha segnato il corso dell'intera legislatura". "Bisogna dare un primo segnale di inversione di tendenza sul bilancio della Difesa italiano giá nel 2006, in fase di assestamento di bilancio e poi nella Finanziaria 2007" - ha affermato Forcieri. Il sottosegretario alla Difesa ha poi evidenziato che attualmente il bilancio della Difesa italiano "è il più basso in Europa rispetto al Pil (lo 0,84%,) e anche l'unico che dedica ben il 75% del totale alle spese per il personale". "Bisogna tornare ad un più equilibrato 50% e questo va fatto innanzitutto cercando di recuperare risorse oggi utilizzate per altri capitoli di spesa. Oggi, pur in una condizione obiettiva di difficoltá per tutto il paese, credo che un obiettivo sia quello di aumentare le risorse a favore degli investimenti e dello sviluppo tecnologico. L'obiettivo finale - ha insistito - è quello di arrivare ad un livello pari all'1% del Pil entro la fine della legislatura".
Il discorso di Forcieri non si discosta dalle linee emerse dal già citato convegno dello scorso novembre dei DS e avvalla l'ambiguità tra "Bilancio della Difesa" (o Funzione Difesa) e spese militari. Il Bilancio della Difesa - di cui Forcieri lamenta le scarse risorse - non tiene conto non solo di altre voci di spese militari tra cui quelle per le cosiddette "missioni di pace" (finanziate con decreti ad hoc) e delle spese per sviluppo di armamenti (riportati nel Bilancio del Ministero delle Attività produttive), ma nemmeno della spesa di quella parte dell'Arma dei Carabinieri che di fatto svolge compiti militari. Considerando anche queste voci, le spese militari italiane si attestano - come riportano fonti Nato e Sipri - ad oltre all'1,5% del Pil, praticamente il doppio di quanto vuol far intendere Forcieri. E non va dimenticato che, come riporta l'ultimo annuario del Sipri, con oltre 25 miliardi di euro l'Italia mantiene il settimo posto nel mondo per spese militari e soprattuto che con una spesa pro-capite di 468 dollari, l'Italia supera di gran lunga la Germania (401 dollari) (si veda la tabella "The 15 major spenders countries in 2005").
Il presidente della commissione Difesa del Senato Sergio De Gregorio non si è limitato alle esternazioni, ma nei giorni scorsi ha votato insieme al centrodestra il parere contrario al Dpef in Commissione Difesa al Senato: non si è fatto scappare l'occasione per pagare il tributo ai senatori del centrodestra che lo hanno eletto presidente di Commissione.
Ma tornando alle dichiarazioni De Gregorio ha lamentato che "in un momento in cui la professionalità è il prodotto italiano nel settore della Difesa vincono nel mondo grazie alle commesse di Finmeccanica, in Italia non solo non c'è spazio per nuovi investimenti e per lo sviluppo di nuove tecnologie, ma non c'è nemmeno il rispetto dei contratti pluriennali già sottoscritti e che languono da tempo in qualche cassetto". E, sfoggiando un argomento ricorrente in questi casi, ha sostenuto che "migliaia di lavoratori del settore della Difesa si trovano in enormi difficoltà, con i finanziamenti di settore ridotti di anno in anno e tecnologie ormai obsolete che non possono certamente essere paragonate a quelle degli altri Paesi, in cui la spesa per la Difesa viene responsabilmente ritenuta un'occasione di sviluppo economico e occupazionale e non già una zavorra per le finanze dello Stato".
Secondo Forcieri, pertanto, "in un contesto così precario e mutevole, gli sforzi di Finmeccanica per portare a livello internazionale il brand italiano nel settore della Difesa appaiono ancor più meritevoli". Dimenticando, ovviamente, di ricordare che quasi la metà delle armi italiane, di cui Finmeccanica è la principale produttrice, finiscono a Paesi del Sud del mondo. Insomma i lupi cambiano il pelo ma non il vizio.
E' proprio di questi giorni, infatti, la notizia che l'Italia è stata la prima fornitrice di armi al Libano tra il 2000 e il 2004, e, dopo Russia e Cina, è il maggior esportatore di materiali bellici in Medio Oriente. Lo riporta un'inchiesta del mensile Microfinanza basata sui dati del commercio estero delle Nazioni Unite. Il traffico d'armi e munizioni verso Iran, Sudan, Libia, Siria e Libano ha reso ai Paesi occidentali ben 327 milioni di dollari in quattro anni. In testa la Russia con 86 milioni di dollari di materiali, in gran parte destinati a Teheran, ma anche alla Siria, al Libano e alla Libia. Al secondo posto la Cina con 73,8 milioni, divisi tra Iran e Sudan. Al terzo posto c'è l'Italia con 34,1 milioni di dollari. I clienti preferiti del nostro Paese sono soprattutto la Siria, rifornita per oltre 20 milioni di dollari, e il Libano, a cui sono andate armi per 13,8 milioni. Le esportazioni italiane a Damasco hanno riguardato parti e accessori di mirini telescopici per carri armati, prodotte da Galileo Avionica, la società controllata da Selex Sensors and Airborne Systems (Finmeccanica 75%, Bae Systems 25%). Nel caso del Libano, invece, le vendite sono state di armi leggere e munizioni.