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L'analisi della Rete Disarmo sull'export italiano di armi

Il mercato italiano delle armi ancora a gonfie vele

I dati della relazione al parlamento per l’anno 2005
Luciano Bertozzi e Giorgio Beretta
Fonte: Rete Italiana per il Disarmo - 15 giugno 2006


La relazione sulle operazioni per il controllo degli armamenti, prevista dalla legge 185/90 presentata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri al Parlamento evidenzia che nel 2005 le autorizzazioni all’esportazione di materiali d’armamento rilasciate dall’Italia sono state pari a 1.361 milioni di euro: un leggero calo(- 9,5% rispetto al 2004) a fronte dell'anno precedente quando avevano raggiunto la cifra record dell'ultimo sessennio (1.490 milioni di euro). Le esportazioni verso i paesi NATO, che godono di procedure semplificate sono state il 44% del totale. Aumentano invece le esportazioni definitive (consegne) che ammontano a 831 milioni di euro, con una crescita del 72% rispetto al 2004 e indirizzate per il mentre le riesportazioni sono state pari a 79 milioni.

AZIENDE ESPORTATRICI

La Relazione individua le prime società esportatrici. Ecco le prime dieci per il valore delle autorizzazioni: al primo posto Agusta con 179 milioni di euro, seguono Galileo Avionica con 166, Oto Melara con 147, IVECO con 130, WASS con 117, Alenia Aeronautica con 101, Selex Communications con 80, Oerlikon Contraves con 78 MBDA con 76 ed Avio con 70. Si evidenzia una prevalenza del settore pubblico, con le aziende della Finmeccanica che hanno come azionista di riferimento il Ministero dell’Economia. Un chiaro conflitto di interessi fra lo Stato che da un lato dovrebbe con cura mettere in pratica le restrizioni previste dalla legge sulle esportazioni e dall’altro è interessato a non creare problemi alle aziende di cui è azionista di maggioranza e di cui oltretutto percepisce gli eventuali utili

AUTORIZZAZIONI – I Paesi destinatari

Se è vero che tra i principali 10 destinatari spicca al primo posto la Spagna (159 milioni di euro per la vendita soprattutto di veicoli blindati di ricognizione anticarro dotati di cannone da 105 mm della Iveco/OtoMelara al secondo il Regno Unito (131 milioni di euro, soprattutto per aeromobili da rampa Mirach 100), al terzo posto c’è però la Turchia (116 milioni di euro per contratti Alenia Aeronautica per assistenza tecnica e produzione in loco di aerei antisommergibile e di elicotteri Agusta), quindi India (104 milioni di euro soprattutto per sistemi di contromisure antisiluro della Whitehead Alenia Sistemi Subacquei - Wass), Singapore (88 milioni di euro soprattutto per missili antiaerei Aster della Mbda), Egitto (78 milioni di euro per sistemi contraerei superficie/aria Skyguard della Oerlikon-Contraves), Belgio (67 milioni di euro per 400 camion), Oman (56 milioni di euro per elicotteri militari della Agusta), Emirati Arabi Uniti (55 milioni di euro tra cui torrette da 12,7 mm versione navale della OtoMelara) e Pakistan (44 milioni di euro per sistemi di direzione di tiro per veicoli blindati). In definitiva tra i primi 10 acquirenti, sette sono dell'area mediorientale e asiatica.

Fra i Paesi con commesse minori ci sono anche Usa (42 milioni di euro), Nigeria (37 milioni relativi alla messa in efficienza di aerei da trasporto G 222), Thailandia (18 milioni), Indonesia (14 milioni), Algeria (10 milioni), Taiwan (5 milioni), Eritrea ed Israele (1,3 milioni). Inoltre nel settore della fornitura di servizi militari del Ministero della Difesa (assistenza tecnica, formazione, ecc) compaiono Colombia con 1,6 milioni, Arabia Saudita e per la prima volta la Libia con 4,5 milioni di euro.

Paesi dell’Unione Europea

I Paesi membri dell’UE, che godono di procedure semplificate assorbono il 39,5% dell’export bellico italiano. Già menzionata al primo posto la Grecia, si segnala l’operazione per l’esportazione di Radar Galileo Avionica alla Francia, l’importante commessa per uno dei paesi entrati nell’UE l’1 maggio 2004, la Polonia a cui viene concessa l’autorizzazione di 43 torrette per carri armati Oto Melara, per oltre 47 milioni. Segue la Danimarca che acquista da Agusta elicotteri EH 101 per 30 milioni di euro.

Paesi dell’Asia

Continuano ad aumentare le esportazioni verso l’Asia che costituiscono, nel 2005, 339 milioni di euro circa un quarto del valore totale delle autorizzazioni concesse. Oltre a quelle già riportate, sono da segnalare quelle verso Corea del Sud (26 milioni di euro), Giappone (17 milioni), Malaysia e Brunei (5 milioni), Bangladesh (2 milioni) mentre la Cina è interessata a due commesse per un valore complessivo di 400.000 euro.

Paesi delle Americhe

La Relazione definisce "marginali" le vendite all’area latinoamericana, pari a 13 milioni di euro, indirizzate prevalentemente a Cile ( 2,8 milioni di euro), Venezuela (6,7 milioni ) e Messico (2,7 milioni). Mentre le esportazioni verso gli Stati Uniti sono state pari a 42 milioni di euro e verso il Canada pari a 3,6 milioni.

Paesi del Medio Oriente e dell’Africa Settentrionale

Nell’area composta da Medio Oriente e Maghreb, crescono le esportazioni a oltre 200 milioni di euro. Sono i Paesi del golfo i principali clienti, in particolare l’Egitto con 78 milioni di euro, l’Oman con 56 milioni, gli Emirati Arabi con 55 milioni, l’Algeria con 10 milioni, il Kuwait con 3 milioni, il Marocco con 1,8 milioni, l’Arabia saudita con 1,5 milionik, Israele con 1,3 e Tunisia Giordania Baharein e Qatar con meno di un milione di euro.

Paesi dell’Africa Subsahariana

Le armi che arrivano in Africa Centrale e Meridionale sono quasi il 3% del totale, 40 milioni di euro. Unico cliente di rilievo è la Nigeria con 37 milioni di euro. Seguono l’Eritrea con 1,1 milioni, Sudafrica e Ghana con commesse per poche centinaia di migliaia di euro.

Le forniture avvenute nel 2005

Armi consegnate

Fra le armi consegnate vi sono: diversi elicotteri, 3 aerei da trasporto C27j decine di autocarri IVECO, radar, cannoni navali, radar navali, sistemi antiaerei, missili Aspide, ventimila cartucce lacrimogene, circa duecento siluri, 5 navi da pattugliamento, proiettili per cannoni, torrette navali, mine marine, 40.000 bombe da mortaio, contromisure antisiluro. Sarebbe però importante conoscere il Paese acquirente dei lacrimogeni onde verificare che non sia un paese dove avvengano violazioni dei diritti umani.


Nulla osta per fornitura di servizi militari

I nulla osta concessi dal Ministero della Difesa per servizi militari (assistenza tecnica per l’impiego di materiali esportati in precedenza, corsi di addestramento per la manutenzione, verifiche tecniche) sono stati 61 per assistenza tecnica e manutenzione di materiali esportati in precedenza;37 per corsi di addestramento per la manutenzione; e 3 per verifiche di funzionalità tecniche prove e collaudi. Si tratta, probabilmente della parte della relazione meno dettagliata, in quanto dai dati indicati è difficile capire il tipo di servizio fornito e le modalità di svolgimento. Al riguardo sono da evidenziare quelli forniti alla Colombia con 1,6 milioni di euro, Arabia Saudita per 8,7 milioni e per la prima volta la Libia con 4,5 milioni, al Pakistan per 5 milioni di euro, alla Nigeria per 2,8 milioni, al Marocco per 800.000, alla Turchia per 2,8 milioni, alla Siria per 15.800 euro, al Senegal per 600.000 euro ed all’India per quasi un milione.

Va tenuto presente al riguardo che durante la XIV Legislatura sono stati ratificati numerosi “Accordi per la cooperazione nel campo della Difesa” che - come segnalava il già ministro della Difesa, Sergio Mattarella - favoriscono "l'applicazione di un regime privilegiato nelle procedure relative all'interscambio di armamenti tra i due Paesi" col rischio di un "grave svuotamento delle disposizioni contenute nella legge 185 del 1990". Questi accordi prevedono acquisizioni e produzioni congiunte di armamenti come “bombe, mine, razzi, siluri, carri, esplosivi ed equipaggiamenti per la guerra elettronica” e tra essi spiccano quelli con Lituania (2002), Romania (2003), Bulgaria, Croazia e Egitto (2003), Uzbekistan (2003), Gibuti (2003), Giordania (2004), Indonesia (2004), Algeria e Israele (2005), Georgia e Kuwait (2005), mentre sono in rimasti in sospeso quelli con India e Cina.


UN’ANALISI DELLE ESPORTAZIONI: i criteri previsti dalla l.185/90

La legge italiana dispone vari divieti nell’autorizzare l’esportazione di armi. In particolare l’art.1 della l.185/90 stabilisce alcuni criteri che vietano i trasferimenti a paesi coinvolti in conflitti, responsabili di accertate violazioni di convenzioni internazionali che tutelino i diritti dell’uomo e nei confronti di Paesi, beneficiari di aiuti per la cooperazione allo sviluppo italiana , che destinino risorse eccessive alle spese militari. Tuttavia, tali criteri sono oggetto di interpretazioni “estensive” da parte delle autorità pubbliche che, talvolta, inficiano l’efficacia delle disposizioni col grave rischio che armi per cui è stata rilasciata l’autorizzazione all’esportazione possano essere usate per compiere crimini di guerra, crimini contro l’umanità, gravi violazioni dei diritti umani. Questo rischio vale, ad esempio, per una serie di autorizzazioni ai seguenti Paesi: Algeria, Arabia Saudita, Cina, Israele, Nigeria, Siria Stati Uniti, Turchia, ecc.

Sulla base delle considerazioni sopra evidenziate, anche nel 2005, quindi, la legge 185 che regola il commercio delle armi anziché essere applicata in maniera rigorosa è stata interpretata, spesso a favore delle imprese produttrici. E’ quindi necessario il massimo impegno delle forze politiche e sociali per pretendere il pieno rispetto della legge.

Allo stesso modo la relazione non fornisce notizia di alcuna sospensione o revoca delle autorizzazioni già concesse, ipotesi che la legge 185 prevede nel caso in cui vengano a cessare le condizioni prescritte per il rilascio dell’autorizzazione stessa. Pertanto, anche se presumibilmente nessuna autorizzazione è stata sospesa o revocata, sarebbe auspicabile indicarlo chiaramente. La Relazione non contiene ai fini della trasparenza l’elenco dei Paesi nella "lista nera" cui è vietata l’esportazione.

Paesi che violano i diritti umani

“Il Governo ha mantenuto – si legge nella Relazione - una posizione di forte cautela verso i paesi in stato di tensione”. Tale affermazione rassicurante è smentita, purtroppo, dalla lettura dell’elenco dei Paesi clienti.

In Algeria la guerra civile ha causato oltre centomila vittime, l’Arabia Saudita è probabilmente l’ultima monarchia assoluta rimasta, senza costituzione, in cui partiti e sindacati sono vietati e alle donne sono imposti numerosi divieti tra cui quello di voto. La Turchia è stata condannata molte volte dal Consiglio d’Europa per le violazioni dei diritti umani, in particolare per la tortura, e se vuole entrare nell’Unione Europea deve modificare molte leggi liberticide. India e Pakistan, nonostante la recente distensione, sono sempre sull’orlo di un conflitto che potrebbe essere combattuto anche con l’atomica ed il Pakistan ha un premier giunto al potere tramite un golpe. La situazione di Israele è conosciuta da tutti, ma va ricordato che è fra i paesi che più hanno violato le risoluzioni Onu. La Cina occupa da più di 50 anni il Tibet ed è in testa alla vergognosa classifica delle condanne a morte ed è costante la tensione con Taiwan. USA e Regno Unito hanno occupato unilateralmente l’Iraq con azioni di guerra in spregio del diritto internazionale. Taiwan è in stato di tensione con la Cina, il Marocco occupa l’ex Sahara spagnolo da anni, in Egitto la tortura è una pratica abituale denunciata anche dall’ONU e la Siria è nella lista nera degli USA in quanto accusata di fomentare il terrorismo.

In base ad interpretazioni assunte dai vari Esecutivi negli anni passati, non si tiene conto, ai fini dell’applicazione dei divieti ad esportare in taluni Paesi, delle decisioni assunte da altri organismi diversi da ONU e UE, ad esempio OSCE, Parlamento Europeo, ed anche di taluni organismi ONU al di fuori di Consiglio di Sicurezza e Commissione Diritti Umani ecc.. Tale situazione appare incoerente con le finalità della legge ed andrebbe sanata. Non si tiene conto, inoltre, di delibere di condanna adottate dall’ONU qualora l’Italia si sia astenuta o abbia votato in maniera contraria. Pertanto ai fini della legge 185 Israele, ad esempio, pur condannato dalla Commissione ONU dei diritti umani, non rientra fra i regimi liberticidi.

Particolarmente eclatante il caso della Cina, oggetto di un embargo dell’Unione Europea: tuttavia Pechino è stato un paio di anni fa al terzo posto nelle autorizzazioni e tale embargo è in fase di ripensamento.

Inoltre le modifiche alla legge 185 varate nel 2003 dal Governo hanno conferito maggiore discrezionalità all’Esecutivo, in quanto le violazioni dei diritti umani per comportare il divieto dalle esportazioni dovranno essere classificate “gravi”. La relazione, al fine di aumentare la trasparenza su un aspetto così importante della politica estera italiana dovrebbe elencare i Paesi destinati di embarghi parziali o totali, per quale periodo e per quali armamenti, ma ciò non è contenuto nella relazione.

Paesi che ricevono aiuti dalla cooperazione italiana

Nella Relazione si afferma che il Ministero per gli Affari Esteri e quello della Difesa hanno esaminato la congruità della spesa militare di paesi che ricevono gli aiuti italiani alla cooperazione allo sviluppo, una delle condizioni della legge 185. Nel Documento si afferma di aver aggiornato la valutazione della congruità della spesa militare di 23 Paesi. Nulla si dice, però, su quali sono i Paesi esaminati e sui parametri di valutazione presi a riferimento. Si tratta di un ulteriore esempio di mancata trasparenza. Ad ogni modo appare difficile che l’Eritrea abbia superato l’esame visto che secondo il SIPRI è fra i Paesi che più spendono per il militare in percentuale al PNL.

Paesi indebitati

La Relazione non dice nulla in merito ai Paesi importatori di armi italiani, che nel 2003, in base ad accordi governativi bilaterali hanno usufruito della cancellazione del debito estero. Uno di questi esempi è il Ghana. Alla fine del 2005 alla Nigeria è stato cancellato parte del debito estero con l’Italia: appare pertanto incoerente autorizzare vendite militari che, con oltre 37,8 milioni di euro, fanno del Paese africano uno dei 15 principali acquirenti. E’ evidente la contraddizzione di consentire da un lato la remissione del debito e dall’altro autorizzare le vendite di armi che non faranno altro che aumentare l’indebitamento a detrimento del progresso economico e sociale di Paesi fra i più poveri del mondo.

Note di carattere vario

Le esportazione armi leggere

Un altro aspetto assai rilevante delle esportazioni belliche è quello relativo alle armi leggere (fucili, mitra, lanciarazzi, mine antipersona, ecc.) che sono le maggiori responsabili delle guerre dimenticate e delle vittime delle guerre degli anni ’90. Secondo la Relazione la Beretta, azienda leader del settore a livello mondiale ha venduto armi per poche migliaia euro. Esiste il rischio che una larga parte delle armi leggere esula dalla legge 185 che disciplina il commercio delle armi da guerra e rientra nelle armi civili, regolamentate dalla legge 110 del 1975, meno rigorosa della 185. Si tratta di un problema che l’Osservatorio sul commercio delle armi di Ires Toscana della Rete Italiana Disarmo denuncia da anni. Ad ogni modo la 185 prevede una norma di cautela che consente, in situazioni particolari, di vietare temporaneamente le esportazioni delle armi cosiddette “civili” verso taluni Paesi, a scopo cautelativo. Nella Relazione di parla di richieste di pareri rivolte dal Ministero dell’Interno in merito senza dire altro e pertanto, implicitamente, sembra che la norma predetta (art. 15, comma 7 della legge 185) non sia mai stata applicata. In definitiva, suscita grave preoccupazione l’esportazione di armi cosiddette "civili" a Paesi belligeranti o retti da regimi liberticidi.


Riesportazioni

L’Italia ha riesportato armi per un valore di 79 milioni euro. La Relazione contrariamente al passato indica l’elenco per produttori e non per paese importatore. Le società principali sono Avio con 25 milioni e Galileo Avionica e Oerlikon con 10 milioni ciascuna.


Riconversione industria militare

La legge 185 prevede fra le sue finalità anche la riconversione produttiva dal settore militare al civile. Si tratta di uno degli aspetti più importanti nella diffusione di una cultura di pace che deve passare per la trasformazione delle “lance in vomeri”. Tuttavia la Relazione non dedica una parola all’argomento nonostante che in Italia, secondo il sindacalista della FIM-CISL Gianni Alioti negli anni '90 si siano persi circa 27.000 addetti nella produzione della Difesa e dove si è rimasti legati alla sola produzione militare si è assistito a forti riduzioni di organico. Questi dati indicano che non ha senso puntare su tale industria per rilanciare l’occupazione, bensì che occorre un serio piano di incentivi per la fuoriuscita dal militare. E’ da rilevare, inoltre, che nel corso del dibattito sulla Relazione relativa al 2004 svoltasi l’anno scorso in Commissioni Esteri e Difesa, il relatore per il Governo, on. Giuseppe Cossiga (FI) ha affermato che “tale disposizione non è ai stata concretamente attuata”.

Relazione al Parlamento

Il Documento che il Governo, per legge deve trasmettere ogni anno la Parlamento rappresenta uno strumento fondamentale per la conoscenza delle politiche adottate. Tuttavia nel corso degli anni, la parte redatta dal Ministero dell’Economia contiene soltanto tabelle senza alcuna descrizione o analisi. Anche la parte di competenza del Ministero della Difesa sulla fornitura di servizi è assai carente in quanto indica solo il Paese beneficiario l’importo e la durata del contratto. Come avvertiva lo stesso on. Giuseppe Cossiga relazionando lo scorso anno in Commmissioni Esteri e Difesa "la relazione dovrebbe consentire innanzitutto, conformemente alle finalità perseguite dalla legge n. 185 del 1990, di ricostruire come le operazioni di importazione esportazione e transito dei materiali di armamento realizzate nel corso del 2004 si collochino nell'ambito della politica estera del nostro Paese. Tuttavia, la relazione non consente di compiere tale ricostruzione, in quanto pur fornendo numerose informazioni di dettaglio sui soggetti contraenti e sul valore delle transazioni effettuate, non consente il più delle volte di comprendere l'oggetto delle transazioni medesime né permette di effettuare una valutazione sulla strategia di politica estera che ha ispirato le operazioni verso i diversi Paesi, soprattutto quelli non appartenenti alla Nato e all'Unione Europea" (1). Tutto questo ha effetti negativi sulla trasparenza che la legge 185/90 invece richiede esplicitamente. (1) Si veda il resoconto del dibattito in Commissioni Riunite III e IV del 10 maggio 2005 pp. 10-13. Il dibattito è proseguito poi, sempre in Commissioni Riunite, il 16 giugno, il 23 giugno e il 21 settembre 2005).

Divieto conferire incarichi

La relazione nulla dice in merito al divieto di conferire incarichi di vertice delle industrie produttrici di armi nei 3 anni successivi alla fuoriuscita dalla Pubblica Amministrazione in ruoli che incidono sull’applicazione della legge 185 stessa. La norma è stata introdotta per evitare il rischio di una pericolosa commistione di interessi che può avere riflessi sul bilancio pubblico e sulle politiche di difesa. Emblematico è il caso dell’ambasciatore Castellaneta, che è stato consigliere diplomatico di Berlusconi e Vice Presidente di Finmeccanica nel periodo fine 2004- estate 2005. L’ambasciatore in seguito è stato nominato ambasciatore a Washington e comunque rimane come consigliere nel CdA di Finmeccanica. Un altro caso è quello del generale Ferracuti che nel maggio 2005 è stato nominato Presidente di AMS, società attiva nei radar ed apparati elettronici (gruppo Finmeccanica): l’alto ufficiale fino ad un anno prima è stato capo di stato Maggiore dell’Aeronautica. Anche Roberto Petri, capo della segreteria dell’on. Berselli Sottosegretario alla Difesa nel governo Berlusconi è nel CdA di Finmeccanica da luglio 2005

Fra le linee guida indicate dalla relazione compaiono indicazioni preoccupanti quali “agevolare la presenza dell’industria nazionale nel mercato internazionale” e “continuare i lavori in applicazione della direttiva governativa sul coordinamento interministeriale per l’assistenza alle operazioni commerciali di maggiore rilevanza per il Paese”.

LE TRANSAZIONI BANCARIE – come proseguire con la campagna di pressione sulle cosiddette “Banche Armate”

Nel 2005 sono state autorizzate dal Ministero dell'Economia e delle Finanze 645 operazioni definitive per un valore complessivo di 1.125,8 milioni di euro, in leggero calo rispetto all'anno precedente quando avevano raggiunto la cifra record dell’ultimo sessennio di 1.318 milioni di euro.

Le prime quattro principali banche dche forniscono servizi d’appoggio a questo commercio sono italiane e Capitalia mantiene saldo il primo posto (168 milioni di euro) seguita dal il gruppo S.Paolo Imi (164 milioni), dalla Cassa di risparmio di La Spezia (112 milioni) e dal gruppo Unicredit (101 milioni).

Con circa 445 milioni di euro, le banche estere hanno ricoperto quasi il 40% di tutte le operazioni autorizzate all’esportazione di armi del 2005 (1.125 milioni di euro): un dato sul quale stupisce non trovare alcuna osservazione da parte del Ministero competente.

La Relazione dell’anno scorso, infatti, nonostante le banche italiane avessero assunto più dell’80% delle autorizzazioni, segnalava come “problematica di alta rilevanza trattata a livello interministeriale” quella relativa all'atteggiamento assunto da buona parte degli istituti bancari nazionali" nell'ambito della loro politica di "responsabilità sociale d'impresa". "Tali istituti, - proseguiva la Relazione - pur di non essere catalogati fra le cosiddette "banche armate", hanno deciso di non effettuare più, o quantomeno, limitare significativamente le operazioni bancarie connesse con l'importazione o l'esportazione di materiali d'armamento". Ciò avrebbe comportato per le industrie del settore "notevoli difficoltà operative, tanto da costringerle ad operare con banche non residenti in Italia, con la conseguenza di rendere più gravoso e a volte impossibile il controllo finanziario" delle operazioni normate dalla 185/90". Pertanto il Ministero dell'Economia e delle Finanze annuciava – sempre nella Relazione del 2005 – di aver “recentemente prospettato una possibile soluzione che sarà quanto prima esaminata a livello interministeriale”.

Nonostante queste impegnative affermazioni, nella Relazione di quest’anno non c’è traccia di questa “soluzione”. Lo scorso anno la Campagna di pressione alle “banche armate” aveva prontamente segnalato il rischio che questa “soluzione” andasse a detrimento della trasparenza: sarebbe una vera ironia anche per le stesse banche che negli ultimi anni si sono impegnate a ridurre o escludere totalmente dalle loro operazioni i servizi d’appoggio al commercio di armi. Una decisione, quest’ultima, pienamente legittima, che risponde a scelte di responsabilità sociale, marcando una netta distinzione tra ciò che è legale ed etico.

Per quanto riguarda le operazioni svolte dalle banche estere, oltre ad essere tutte autorizzate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, va detto che sono svolte da gruppi bancari che hanno la loro sede principale in Paesi dell’Unione europea e filiali nel nostro Paese: anche a questo riguardo non si ravvisa la ragione dell’allarmismo presente nella Relazione dello scorso anno. Alcuni istituti – come il Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (BBVA) e Calyon (ex Crédit Agricole Indosuez) operano infatti ormai da alcuni anni in questo settore tanto da aver stabilito legami consolidati con alcune ditte italiane produttrici di armi e con i Ministeri della Difesa di alcuni Paesi. Altre banche, come BNP Paribas, Société Générale presentano invece un’attività meno continuativa, spesso collegata ad alcune singole grosse commesse delle ditte italiane soprattutto con Paesi dell’area orientale, in particolare India e Malaysia. Infine, alcuni istituti soprattutto tedeschi, come Deutsche Bank S.p.A e Commerzbank, ma anche la britannica HSBC Bank, assumono soprattutto operazioni che riguardano Paesi del medio ed estremo oriente (Egitto, Pakistan, Oman, Sultanato dei Brunei, Malaysia, Thailandia per citare solo i principali). Un dato, quest’ultimo, che è in stretta correlazione con la politica adottata dai maggiori gruppi bancari italiani di concentrare la propria attività su operazioni verso l’area europea e i Paesi della Nato.

Al riguardo, va segnalato inoltre che il 23 maggio u.s. si è tenuto a Roma un importante momento di confronto tra la Campagna di pressione alle “banche armate” e il Gruppo di Lavoro Responsabilità sociale d'impresa dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana): dal dibattito è emerso l’interesse di tutte le parti ad aprire un tavolo di confronto periodico su questi temi che, seppur con fatica, stanno entrando sempre più nell’agenda delle banche.

NUOVO REGOLAMENTO E PROGETTO DI RISCRITTURA

Non va dimenticato, infine, che la Relazione della Presidenza del Consiglio segnala che il 14 gennaio u.s. è stato pubblicato il nuovo regolamento di attuazione della legge 185/90.

E soprattutto che "sono iniziati e sono in fase di definizione interministeriale, i lavori di un progetto governativo di riscrittura della legge 185/90". La Relazione afferma che "prima della presentazione del provvedimento al Parlamento, al fine di soddisfare le esigenze di trasparenza auspicate lo scorso anno in diverse interrogazioni parlamentari, si è convenuto di consultare anche i diversi attori più direttamente coinvolti nella materia". Inutile dire che le associazioni qui presenti che fin dagli anni '80 sono state in prima fila nel promuovere una legge sull'esportazione di armi italiane si aspettano di essere presto convocate.

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