Disarmo e riconversione, il 2 giugno dei territori dell’industria bellica italiana
La Repubblica e il 2 giugno, la pace e la sfilata in armi. Continuano le pretestuose contrapposizioni tra chi “onora” i caduti e chi li disonorerebbe perché chiede il ritiro delle truppe e il disarmo. Eppure dietro le politiche italiane d’intervento militare c’è un modello di difesa che traina la politica estera e il riarmo, mentre alle politiche di pace non lascia nemmeno le briciole. Basta leggere i dati: l’Italia è settima al mondo per spese militari pro-capite e ottava per export d’armi (45% verso paesi del Sud del mondo), mentre si piazza verso le trentesime posizioni per sviluppo umano, sanità e innovazione d’impresa. “L’Italia è nel G8 grazie a industria ed export militare – spiega Giorgio Beretta della Rete Disarmo – e si smetta di dire che non spendiamo abbastanza in armi, perché con 485 dollari pro-capite battiamo di circa 3 miliardi di euro la Germania”.
In Lombardia c’è molta parte dell’industria armiera, pesante e leggera, d’Italia e il territorio è sempre più coinvolto volente o nolente nell’economia di guerra. Ieri i pacifisti lombardi hanno manifestato tra caserme di pronto intervento della Nato e illustri fabbriche d’elicotteri per dire che bisogna riconvertire, disarmare, smilitarizzare i territori perché “le truppe non si ritirano da sole, le fabbriche d'armi non si riconvertono da sole, le basi militari non si chiudono da sole”. Un due giugno popolare per chiedere “alternative produttive e sociali” all’industria bellica a cui hanno partecipato in un migliaio tra Gallarate e Saramate. Forse pochi, ma abbastanza da queste parti per dire che proprio nei territori di produzione ci sono giovani studenti, lavoratori dell’industria e un mare di gruppi di “costruttori di pace” impegnati a finanziare e accompagnare colloqui di pace dal basso nel lontano Uganda e promuovere decine di appuntamenti in bicicletta e in parrocchie per parlare di ambiente, sviluppo umano e pace.
La bandiera arcobaleno dice: “Due giugno, festa della Repubblica che ritira i soldati dall’Iraq e taglia le spese militari”. Laura di Assopace l’aveva preparata due anni fa ma le viene buona anche quest’anno. Miriam, 17 timidi anni da Locate varesino, si chiede perché l’unica commemorazione nel giorno della Repubblica debba essere una parata, quelli dell’associazione La Pulce di Tradate, con tanto di tricolore al vento, vorrebbero fosse una festa vera, con i principi della Costituzione al posto dei carri armati: “La Repubblica si fonda sul lavoro, la democrazia, i diritti sociali, mica solo sulle Forze armate”. E Giuseppe Musolino dell’Arci vorrebbe “rivalutare questa festa con le parole che ci siamo fatti sfilare come libertà”. Tutti d’accordo per “una grande festa popolare” e un sano patriottismo senza mettersi in divisa. La pace chiede cittadinanza.
Il ritrovo è al II° deposito dell’aeronautica di Gallarate, una rotonda con piantato nel mezzo un vero aereo “in onore dei caduti del volo”. I pacifisti gli mettono davanti un cartello: “Basta guerre, basta bombe e aerei nelle rotonde”. In zona ce ne sono quattro più gli elicotteri nel parco di Sarmate. L’industria aeronautica nel varesotto è tanta: 9300 addetti all’Agusta-Westland, 1800 lavoratori all’Aermacchi e un indotto di altre migliaia di posti di lavoro. Nelle scuole tecniche le offerte di stage e formazione sono tutte loro. Dura discutere di riconversione da queste parti. E tutto si esaurisce in un problema di coscienza individuale. “Mio fratello lavorava all’Agusta è uno di quelli che con l’impegno sempre più militare dell’azienda ha preferito andarsene per non guadagnarsi la pagnotta sulla pelle d’altri”, racconta un papà con passeggino. In mattinata erano in duecento al Comando di reazione rapida della Nato a Solbiate Olona, da cui si guidano operazioni in Afghanistan. Davanti a un plotone di carabinieri hanno messo in scena un teatro-guerra: mimi e maschere e le sagome dei caduti sull’asfalto. “La militarizzazione simbolica e reale del territorio lombardo è impressionante – racconta Mario Agostinelli, capogruppo in Regione del Prc – d’altra parte assistiamo a un forte impegno dell’associazionismo e di molti Comuni per una cultura della pace e la riconversione dell’industria bellica. Mentre Formigoni ciancia di pace c’è una proposta di legge per riattivare l’agenzia regionale che il centrodestra vuole affossare”. L’agenzia ha lavorato qualche anno e poi non è stata più finanziata. Adesso c’è una proposta di legge popolare in Regione promossa da un fronte che va da Bastaguerra alla Pastorale del lavoro, con sindacati di base e il Prc lombardo. La maggioranza vuole archiviare senza votare, in silenzio. “Quindicimila firme di cittadini meritano almeno una risposta – chiede Luciano Muhlbauer, consigliere regionale Prc – e se il centrodestra con parte della Margherita è contrario alla riconversione lo dica e non si nasconda dietro sotterfugi”.
Eppure quell’agenzia è nata dalle lotte di gente come Elio Pagani, lavoratore in Aermacchi per 19 anni, tra i primi a denunciare l’azienda per violazione dell’embargo al Sudafrica dell’apartheid, promotore di una piattaforma sindacale per la diversificazione e riconversione dell’azienda, obiettore di coscienza trasferito al civile –e finito nella crisi tra i 600 esuberi – col collettivo Cassintegrati per la pace, i diritti e il lavoro ottiene un fondo ministeriale per la riconversione, primo caso italiano. Quindici anni di lotte mentre la fine della guerra fredda scoppiava in Iraq, Ruanda, ex-Yugoslavia, Congo, Timor Est, Bosnia, Etiopia-Eritrea, Kossovo, Afghanistan… Elio adesso insegna a scuola ed anima le iniziative pacifiste. La sua storia dice che si può fare, si può convertire mentalità ed economia; é una questione di scelte, priorità, cultura.