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Stategie: Atomica India

Il paese ha stretto un accordo con gli Usa. Ma tutto il mondo si interessa solo alle centrali iraniane.
Giorgio Alba
Fonte: Left - 29 aprile 2006


Tra il 24 e il 31 marzo 2006 a Washington una serie di incontri ha messo in primo piano la questione nucleare. Lo scenario globale è uno scacchiere complesso. La Corea del Nord è uscita dal Trattato di non proliferazione e ha dichiarato di avere armi nucleari; i rischi del terrorismo nucleare negli ultimi anni sono aumentati per l’incapacità di controllare i materiali con cui è possibile costruire l’atomica (il trattato sull’interruzione della produzione di materiali fissili è bloccato da anni); l’Iraq è stato invaso ed è occupato perché accusato di avere un programma militare nucleare, accusa che peraltro poi si è rivelata infondata; Bush e Chirac allentano i vincoli per l’utilizzo delle armi nucleari; l’Iran dichiara la sua aspirazione al nucleare civile ed è accusato di avere un programma militare atomico (ma dopo tre anni di negoziati e di ispezioni non sono trovate violazioni gravi); alcune lobby pressano i governi nel tentativo di rilanciare le centrali nucleari come la definitiva soluzione ai problemi climatici ed energetici, mentre la Germania decide la dismissione delle proprie centrali e, con altri paesi, punta sulle energie rinnovabili; infine, negli Stati Uniti si assiste a una nuova corsa al nucleare, iniziata nel 1996, ufficializzata nel 2001 e seguita da Regno Unito, Francia, Russia, Cina, Pakistan, India e Israele.

Interessante è la politica americana nei confronti di India e Iran. L’immagine che i media e i governi hanno costruito di questo rapporto è che gli Stati Uniti hanno iniziato una cooperazione con l’India in campo energetico fornendo tecnologia nucleare per permettere la costruzione di centrali che coprano la richiesta di elettricità. L’India, secondo questa idea, è uno stato democratico responsabile e non utilizzerà queste tecnologie per aumentare il suo arsenale di armi nucleari. L’Iran, invece, è uno stato “canaglia” governato da estremisti, i cui impianti verranno utilizzati non a scopi civili, ma per ottenere l’atomica, obiettivo da cui non sono lontani.

Ora invece guardiamo ai fatti. E chiediamoci se l’Iran è una minaccia nucleare immediata e se l’accordo per la tecnologia nucleare dell’India serve a risolvere i problemi energetici. La risposta è no. Se l’Iran vuole l’atomica, l’avrà non prima di cinque-otto anni, e dopo aver cacciato gli ispettori Aiea, ancora oggi invece presenti e attivi. L’India invece potrà sviluppare le sue armi nucleari passando dalle cento di oggi alle quattrocento della vicina Cina. David Albright, presidente dell’Institute for Science and International Security, ha ricordato come per oltre due decadi un impianto di arricchimento dell’uranio indiano abbia pubblicizzato e venduto tecnologia sensibile senza certificare o identificare gli acquirenti. Inoltre è noto che nel 2004 il Dipartimento di Stato ha posto sanzioni contro lo scienziato indiano YSR Prasad per aver fornito assistenza all’Iran.

Intanto il sottosegretario di Stato per gli Affari politici Nicholas Burns ammette che l’accordo obbligherà gli Usa a fornire supporto nucleare all’India anche quando questa effettuerà nuove esplosioni atomiche sperimentali, violando di fatto lo spirito del Trattato per la messa al bando dei test atomici.
Quindi l’India non ha aderito al Trattato di non proliferazione, sottoposto alla legge Usa del 1978 che proibisce la cooperazione nucleare, perché ha effettuato esplosioni nucleari nel 1974 e 1998 e nonostante ciò riceve dall’amministrazione Bush una proposta che gli permette di rifiutare le ispezioni internazionali in otto dei suoi 24 siti nucleari e di scegliere dove ammettere i controlli. Alla fine l’India non è sottoposta neanche alle limitazioni all’arsenale di armi nucleari come richiesto dalla risoluzione Onu del ‘98. Secondo alcuni esperti l’accordo permetterebbe all’India di aumentare la capacità di costruire atomiche dalle 10 di oggi fino a 50 l’anno. Per entrare in vigore l’accordo deve essere accettato dal Congresso e a livello internazionale dal Nuclear Suppliers Group, il club dagli stati che controllano le esportazioni di tecnologia nucleare, che per ora sta ancora valutando il da farsi.

Quanto all’Iran, l’approccio dell’Unione europea è stato inizialmente di negoziare accordi commerciali e garanzie di sicurezza in cambio della sospensione delle attività nucleari, in attesa che a livello internazionale si definisse una strategia. In questo modo gli europei cooperavano alla soluzione del problema e si assicuravano che gli Stati Uniti non avrebbero intrapreso azioni militari preventive. Ma poi la situazione è cambiata. L’approccio del parlamento europeo - finanziare lo sviluppo di fonti di energia rinnovabili - è rimasto inascoltato, i paesi dell’Eu3, Francia Germania e Gran Bretagna, non hanno affrontato le garanzie di sicurezza e l’Iran ha forzato la mano, interrompendo la cooperazione volontaria. L’Aiea, l’Agenzia internazionale dell’energia atomica, ha dichiarato di non aver trovato prove di un programma militare, anche se ha chiesto di poter continuare a indagare su alcuni siti. Quindi ha inviato il dossier al Consiglio di sicurezza Onu, che ha approvato una mozione, sebbene non vincolante, che invita l’Iran «a sospendere le attività di arricchimento dell’uranio e collegate e di ritornare ai negoziati agendo in buona fede».

Secondo le regole del trattato di non proliferazione, l’Iran ha tutto il diritto di proseguire nelle sue attività, almeno fino a che accetta le ispezioni. Il limite di queste regole è che permettono di arrivare molto vicini allo sviluppo di armi nucleari, ma la soluzione proposta dagli Stati Uniti non è coinvolgere la comunità internazionale, piuttosto di agire al di fuori delle regole, dimenticando che l’Iran chiede come condizione il fatto che la sospensione abbia un termine dopo il quale sia presa una decisione definitiva: chiarire se l’Iran viola o no il trattato di non proliferazione. Ma nel frattempo la “buona fede” richiesta a Teheran viene dimenticata quando si parla di impegni per il disarmo Usa. Il generale americano James Cartwright, capo del comando strategico, ha proposto lo sviluppo di nuove armi più facili da adattare alle esigenze militari, come, secondo quanto denunciato dal giornalista Seymour M. Hersh sul New Yorker, un attacco contro l’Iran. Secondo Joseph Cirincione, direttore del Carnegie Endowment for International Peace, la “strategia Iran” dell’amministrazione Bush ha molti paralleli con la guerra in Iraq, tanto che ormai si può parlare di “strategia asiatica” degli Usa. Lo status quo nucleare è quindi molto instabile.

La proliferazione è destinata a uscire dai ristretti circoli militari, diplomatici e politico-strategici, per coinvolgere gli interessi economici e finanziari, lo stile di vita occidentale e le nostre sicurezze di cittadini. Il sistema dei due livelli, tra chi ha e chi non ha armi nucleari, è instabile a causa delle tecnologie, la cui diffusione è favorita dal supporto politico allo sviluppo di centrali nucleari. La migliore tecnologia nucleare per la produzione di elettricità non è in grado di ridurre i rischi,e anzi favorisce le capacità dual use, cioè civili convertibili in militari, aumentando la disponibilità di materiali fossili alla base del rischio “terrorismo nucleare”. Il rischio è che la presa di coscienza dell’opinione pubblica passi attraverso un dibattito a seguito di un grave “incidente” nucleare. La scelta da compiere è evidente, e il tempo dei rinvii sta per scadere.

Note: Articolo originale al link

http://www.avvenimentionline.it/index.php?option=com_content&task=view&id=309&Itemid=213
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