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Somalia: venditori d'armi in crisi?

I mercanti d'armi della Somalia confessano all'Ansa le loro "preoccupazioni" per un mercato in crisi
Fonte: Vita.it - 09 marzo 2006


Non nascondono la propria stizza i venditori di armi di Mogadiscio, in larga misura operanti a Bakara, il piu' grande mercato somalo, al centro della capitale. ''Dopo le grandi battaglie dei mesi scorsi - dice all'Ansa uno dei piu' noti tra loro, Abdullahi Sceikh Ahmed - siamo rimasti senza armi e, soprattutto, munizioni: se le sono accaparrate tutte gli islamici ed i signori della guerra; anche se ora c'e' il cessate il fuoco, sono prontissimi a ricominciare''. ''Ci tocchera' riconvertirci - gli fa eco affranto il suo collega Ismail Hirsi Mohammed - magari ci metteremo a vendere cibo o vestiario''. E dunque, mentre Mogadiscio vive un teso coprifuoco - in realta' la popolazione si muove lo stretto indispensabile, e quasi mai di sera - imposto dagli 'anziani' il 22 febbraio, dopo violentissimi e sanguinosi combattimenti, le parti sembrano prepararsi a riprendere le ostilita', riarmandosi fino a svuotare il ricchissimo mercato. La contrapposizione ormai verticale, e' tra la maggioranza dei signori della guerra della capitale, che hanno creato un' organizzazione chiamata Alleanza per la Restaurazione della Pace ed il Controterrorismo (Arpct), e dall'altra le Corti Islamiche Riunite (Jic). Durante il mese di febbraio, gli scontri, soprattutto a Mogadiscio sud, feudo islamico - ed infatti quel gruppo e' apparso prevalere militarmente - hanno causato una quarantina di morti, ed oltre 150 feriti. Vittime, peraltro, soprattutto tra la popolazione civile. Una situazione molto grave, ma che - a parere degli osservatori - quantomeno disinnesca il rischio maggiore: quello, cioe', di un'alleanza tra i 'warlords' di Mogadiscio e le milizie islamiche, molto radicate nella capitale, o quantomeno in larga parte di essa. E quindi ora da un canto l'Arpct accusa gli islamici di voler imporre nel paese l'osservanza rigorosa della sharia (legge coranica), e di avere tra le loro fila noti terroristi ricercati in tutto il mondo; dall'altro le Jic accusano i rivali di voler imporre il loro potere sul paese, di essere anti-islamici e di farsi consegnare soldi dagli Usa - di cui in realta' sarebbero, affermano, marionette - con la scusa di lottare contro un fantomatico terrorismo. Situazione drammatica, dunque, per Mogadiscio; ma in movimento - e gli stessi avvenimenti della capitale lo testimoniano - per il resto del Paese. Il Parlamento, che si era spaccato, e quindi non si era piu' riunito da un anno, ha ora ripreso i lavori unitariamente a Baidoa (sud ovest della Somalia), cosi' da dare anche valenza formale politica al governo, di fatto ormai internazionalmente riconosciuto. I signori della guerra di Mogadiscio, che col nuovo corso avevano rotto, avendo perso la copertura politica dell'alleanza con un centinaio (su 275) di deputati, ed in particolare il presidente del Parlamento, Sharif Hassan Scheikh Adan, hanno cambiato posizione. E quindi da una parte formalizzano la rottura con gli islamici, un'intesa che li avrebbe del tutto isolati internazionalmente, e dall'altra avviato negoziati informali, ma ormai ben noti, con presidenze governo per arrivare ad una riconciliazione. Per molti osservatori ormai inevitabile, anche se richiedera' ancora tempo. Soprattutto perche' richiedera' compromessi sul controllo dei lucrosissimi - ed in larga misura illegali - traffici che passano per Mogadiscio, per ora del tutto nelle mani dei locali 'warlords'. Un'intesa che isolerebbe completamente le Jic, che pur essendo economicamente molto forti, sono radicate solo nella capitale, in particolare nella zona sud, e non in grado di fronteggiare - se non su base terroristica - il nuovo corso somalo quando questo si fosse del tutto ricompattato.

Note:
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