Riconvertire l’industria degli armamenti per una politica di costruzione della pace e di sviluppo alternativo
Francesco Martone
Fonte: www.ecogiustizia.splinder.com - 29 novembre 2005
Oggi, nel corso di un incontro aperto alla partecipazione di rappresentanti sindacali ed associazioni pacifiste i parlamentari Francesco Martone (senatore, indipendente per il PRC) e Elettra Deiana (deputata, PRC) hanno illustrato il contenuto del disegno di legge sulla riconversione dell’industria bellica che verrà depositato a breve alla Camera ed al Senato. ;
Frutto di un lavoro di scrittura collettiva, il disegno di legge intende riaffermare che la costruzione attiva di una politica di pace richiede una decisa e determinante inversione di tendenza, nonché scelte politiche coraggiose, che riguardano non solo la politica estera ma anche quella industriale e produttiva del nostro paese. Un paese nel quale le spese militari sono in crescita: secondo l'ultimo rapporto del SIPRI, l'Italia è settimana al mondo, con una spesa militare superiore addirittura ad Israele. E seconda solo agli Stati Uniti per la produzione e l'esportazione di armi leggere, che come ammesso dall'ultimo Small Arms Survey, sono molto più letali degli altri armamenti.
L'espansione delle spese militari, e dell'industria degli armamenti italiana, basti pensare al caso Finmeccanica, sono conseguenza di scelte politiche chiare da parte del governo di centrodestra, ma purtroppo avallate in alcuni ambienti dell'opposizione. Le strategie seguite comprendono la deregulation del mercato e dei meccanismi di controllo sul commercio e la destinazione di uso finale, attraverso la revisione della legge 185/90, la proliferazione di accordi bilaterali e memorandum d'intesa nel settore della difesa, alleanze strategiche per la coproduzione di sistemi d'arma all'avanguardia. Un modello parallelo a quello previsto dalla Costituzione Europea, attraverso l'istituzione dell'Agenzia Europea degli Armamenti, e dell'esercito europeo. Due priorità definite grazie alla forte attività di lobby dell'apparato industrial-militare sui processi decisionali dell'Unione.
Per contro emerge dal basso una forte spinta alla costruzione di alternative possibili. Si pensi ad esempio alla legge di iniziativa regionale per la riconversione dell'industria bellica, che è al centro delle mobilitazioni di movimento e sindacali in Lombardia. Oppure alla campagna ControlArms di Amnesty International e rete Disarmo per un trattato internazionale sulle armi, ed un rafforzamento dei codici di condotta europei che ha ottenuto ad oggi il sostegno di una novantina tra deputati e senatori.
Ciò però non basta. E' per questo che moltiplicare iniziative regionali simili a quella della legge di iniziativa popolare lombarda sulla riconversione sono di grande rilevanza. La costruzione di una rete sul territorio può permettere la creazione di luoghi ed opportunità di mobilitazione e confronto, al fine di superare la contraddizione tra posti di lavoro e produzione bellica, e generare pratiche alternative. Solo attraverso l'adozione da parte delle Regioni di legislazione in sostegno alla conversione, ed all'inserimento delle politiche di conversione dell'industria bellica nelle strategie produttive ed industriali sarà possibile gettare un granello di sabbia nell'ingranaggio della guerra.
Anni fa venne presentata in Parlamento una legge innovativa sulla conversione dell'industria bellica. Da allora nulla cambiato, o meglio alcune iniziative come il programma Konver europeo sono stati chiusi, con conseguente riduzione degli incentivi finanziari per quelle imprese che volessero imboccare la coraggiosa strada della conversione. Sulla scorta del dibattito in corso a livello regionale e nazionale abbiamo voluto stimolare un lavoro collettivo di riflessione ed elaborazione che ha portato alla gestazione di un disegno di legge, certamente perfettibile, ma che cerca di fare tesoro delle elaborazioni e delle proposte dei movimenti e del sindacato, creando un'opportunità affinché il programma delle sinistre per la prossima legislatura sia orientato verso la costruzione attiva della pace.
E' una questione anche di giustizia sociale ed economica. Affrontare il tema delle spese militari significa definire un modello di società giusta e solidale: si calcola che la spesa militare che l'Europa dovrebbe affrontare per competere con gli Stati Uniti sia di almeno 90 miliardi di dollari. Ciò significherebbe un passaggio drammatico dalla società del welfare al welfare della guerra. Non possiamo permetterlo.