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Briciole umanitarie e spese militari

La guerra è cara la Pace è avara

Angelo Benessia
Fonte: La Stampa - 12 giugno 2005


CRUMBS, briciole, Sono, secondo il New York Times, i 674 milioni di dollari che George Bush ha promesso a Tony Blair, pochi giorni fa, come contributo straordinario alla sua campagna per fronteggiare l'emergenza africana. Tre anni fa i Paesi più ricchi - ma non gli Usa - si erano obbligati a devolvere, entro il 2015, lo 0,7% dal prodotto interno lordo (Pil) per aiutate le regioni più povere. Per gli Stati Uniti la quota corrisponderebbe oggi a circa 80 miliardi di dollari, pari alla somma appena stanziata dal Senato americano per incrementare le spese militari in Iraq. L'Italia, secondo i dati Ue, alla fine del 2003 era all'ultimo posto nella classifica dei contributori, con lo 0,15% del Pil. Ben difficilmente raggiungerà l'obiettivo dichiarato di portare gli aiuti allo 0,33% nel 2006. I ministri delle Finanze del G8 ieri, riuniti a Londra, hanno deciso di abbuonare 40 miliardi di dollari di debiti ai paesi più poveri del mondo, ma questo passo avanti resta timido e non crea risorse disponibili. Malattie curabili, come la malaria che uccide tremila bambini al giorno nell'Africa subsahariana, resteranno ancora a lungo senza una risposta efficace.
Intanto martedì scorso l'Istituto internazionale di ricerca per la pace di Stoccolma (Sipri) ha diffuso i dati relativi alla spesa militare mondiale nel 2004. Si tratta di oltre mille miliardi di dollari (841 miliardi di euro) con una crescita dell8% rispetto al 2003. Gli Stati Uniti da soli rappresentano il 47% della spesa totale. L'Italia questa volta è nelle top ten, al settimo posto della classifica, con una spesa di 27,2 miliardi di dollari (22,7 miliardi di euro).
Le aride cifre ci portano sul terreno etico e giuridico. L'immensa spesa che il mondo - e in primo luogo il Paese che esprime la potenza assoluta - destina al fiorente mercato degli strumenti di morte appare al diffuso sentimento morale come una iniquità in sé, tanto più se comparata con le tirchierie nel destinare una parte delle proprie risorse a salvare la vita di milioni di esseri umani, in gran parte bambini. Ma sui principi morali, si sa, non vi è identità di vedute e così avviene che ciò che a noi può sembrare iniquo per altri può costituire, invece, una dura ma inevitabile scelta.
Ogni scelta morale, infatti, discende da un giudizio di valore riguardo alle opzioni passibili e alla conseguente scala di priorità. E così, in un sistema economico con risorse limitate, la decisione di finanziare l'enorme costo del conflitto iracheno prioritariamente rispetto alla lotta contro le malattie che imperversano nel continente africano, implica che il diritto alla vita di milioni di bambini (sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo) è stato ritenuto di rango secondario rispetto al valore della difesa della collettività dal pericolo delle armi di distruzione di massa. Siccome, però, questa scelta si è rivelata fondata su basi errate, e anzi secondo i pìù manipolate a bella posta, ii riferimento della scala delle priorità è stato cambiato. Oggi si dice che la guerra in Iraq, con la caduta di Saddam, ha creato le condizioni che rendono possibile l'avvento della democrazia in quel martoriato Paese, anche se non sembra alle viste la pace e neppure una stabile struttura democratica.
Raramente alle motivazioni basate sul proclamato giudizio di valore degli obiettivi corrispondono le intenzioni reali. Spesso i nobili propositi celano la pura e semplice affermazione del potere. Per stare all'arbitraggio tra la folle spesa militare e quella per gli aiuti umanitari, che stenta a decollare, l'opzione bellica irachena - condannata da Giovanni Paolo II - è sembrata a molti la superba affermazione di un potere smisurato clic ha dichiarato la «guerra mondiale al terrorismos mettendo in sottordine, nei fatti, il diritto alla vita di milioni di uomini, e in particolare di bambini, nati nei Paesi più poveri e condannati dalle carestie e dalle malattie. Il tutto con ampia ostentazione di preghiere e di timor di Dio, secondo un modello tramandato dai classici.
«Se si deve violare la giustizia - così Euripide fa dire a Eteocle nelle Fenicie - la cosa più bella è farlo per il potere; per il resto conviene essere pits.

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