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Gli Usa verso la militarizzazione dello spazio

Pier Francesco Galgani,
Fonte: Pagine di Difesa - 03 giugno 2005


Secondo quanto riportato dal New York Times e dall'inglese The Guardian, nelle prossime settimane il presidente Bush potrebbe firmare una nuova direttiva di sicurezza nazionale che permetterà all'aeronautica militare americana il dispiegamento di armi nello spazio. Da un punto di vista giuridico la direttiva non incontrerebbe alcun ostacolo poiché nessun accordo internazionale o legge del Congresso impedisce tale opzione, soprattutto dopo il ritiro di Washington dal Trattatto Abm firmato dal presidente Nixon nel 1972 con Breznev in piena distensione, che prevedeva espressamente il divieto di approntare armi spaziali.
Questo documento prenderebbe il posto di un'altra direttiva firmata da Bill Clinton nel 1996, la quale, seppur con parole vaghe e confuse, enfatizzava la necessità di un utilizzo pacifico dello spazio in linea con l'opinione generale del tempo. Grazie a essa, la Casa Bianca di Clinton riuscì a evitare lo sviluppo di potenziali armi spaziali. La direttiva che Bush si prepara a firmare dovrebbe caratterizzarsi per lo stesso linguaggio vago e indefinito, ma indicherebbe la volontà americana di affermare il proprio dominio sull'uso militare dello spazio.

Come ha sostenuto nel settembre scorso il Generale Lance Lord, comandante dell'Air Force Space Command, il sistema dei satelliti lanciati in orbita da Washington con i loro apparati di spionaggio e di individuazione degli obiettivi hanno permesso agli Stati Uniti di ottenere una preponderante superiorità spaziale che il paese deve mantenere nonché accrescere, poichè tale vantaggio costituirà in futuro il modo americano di combattere e il destino dello sviluppo delle capacità militari della repubblica stellata.

Sin dall'inizio del suo mandato Bush aveva posto tra le priorità strategiche della propria amministrazione lo sfruttamento militare dello spazio. Nel gennaio 2001 una commissione guidata dal ministro della Difesa Donald Rumsfeld aveva concluso che, per una migliore protezione degli Stati Uniti da eventuali attacchi missilistici, il presidente avrebbe dovuto considerare l'opzione spaziale. Nel 2002, dopo il rapporto della commissione, il presidente decise il ritiro degli Usa dal trentennale trattato Abm che vietava il dispiegamento di armi spaziali. Secondo alcuni, l'accento posto dalla prima amministrazione Bush su tale aspetto, in assenza all'epoca di reali minacce alla sicurezza, sembrava essere dettato dalla "sindrome della frontiera" ossia l'ossessione risalente al tempo delle guerre indiane della minaccia incombente, che rappresenterebbe uno dei più radicati elementi della cultura politica americana.

Una simile considerazione non deve essere accantonata come inverosimile. Tuttavia, l'attuale nuova importanza dello spazio come possibile futuro terreno di confronto rappresenta qualcosa di più di una sindrome portata all'eccesso: costituisce invece la naturale evoluzione della strategia bellica americana che le nuove minacce determinate dalla guerra al terrorismo hanno contribuito ad accelerare. Di fronte a un nemico sfuggente - come il fondamentalismo islamico - l'utilità delle armi spaziali per colpire ovunque e velocemente, una volta raccolte le necessarie informazioni di intelligence, è apparsa evidente.

Un ulteriore decisivo impulso al rilievo dell'amministrazione Bush alle armi spaziali l'ha fornito il sostanziale fallimento del Pentagono nel realizzare un efficace sistema di difesa missilistica. Dopo aver sperimentato per ventidue anni un apparato anti-missile garantito da intercettori posizionati a terra e su navi - con una spesa complessiva di cento miliardi di dollari - e dopo aver collezionato tutta una serie di fallimenti nei test effettuati finora, l'amministrazione americana si sarebbe convinta che non vi sarebbe alternativa all'uso di armi spaziali.

Non solo. Come già accennato, l'utilizzo dello spazio come nuovo ambito bellico si inserisce nelle nuove prospettive strategico-militari di Washington, definite come "Revolution in military affairs" (Rma). Ha un'origine lontana nel tempo. La si deve far risalire al periodo successivo alla guerra dello Yom Kippur del 1973. A quell'epoca gli Stati Uniti erano ancora saldamente legati a una concezione stanziale del sistema difensivo (la Static Defense), eredità della seconda guerra mondiale e della fase più acuta della guerra fredda. Dall'analisi dello svolgimento del conflitto arabo israeliano un gruppo di generali americani delineò le nuove strategie della Active Defense e della Air Land Battle.

Secondo queste concezioni, accanto al tradizionale contenimento delle forze del blocco sovietico, le nuove carte vincenti da utilizzare nei moderni confronti bellici erano costituite dall'elemento tecnologico, dall'estensione del campo di battaglia e dalla capacità di condurre attacchi di precisione su tutto il teatro delle operazioni. Per la teoria della Air Land Battle lo scontro si sarebbe svolto in profondità fin dentro il territorio nemico con una notevole capacità di proiezione dei reparti: attacchi combinati aria-terra, simultanei e sincronizzati, condotti contro i centri di comando e le linee di comunicazione. In questa strategia un ruolo determinante l'avrebbero dovuto svolgere l'aeronautica e le capacità di intelligence.

Tale nuova tipologia bellica, come sottolineato nel 1997 dalla Commissione per la difesa nazionale, richiedeva l'approntamento di forze di reazione rapida, ridotte, snelle e flessibili, con una ampia possibilità di proiezione in ogni parte del globo. Dopo gli anni di Clinton l'amministrazione Bush ha contribuito a sviluppare in maniera definitiva tali idee con documenti come la National Security Strategy del 2002 e la affermazione della nuova dottrina della Dynamic Defense che riunisce in sé tutti gli elementi delineati finora.

Nell'ambito di questa nuova concezione militare le armi spaziali svolgono un ruolo essenziale. Così come nella prima versione dela Air Land Battle l'aeronautica rappresentava l'elemento di maggior rilievo, oggi - come sostenuto dal generale James Cartwright, capo del comando strategico americano - la Dynamic Defense, e quindi lo sviluppo di armi spaziali, permetterà alle forze americane di portare i propri attacchi in ogni parte del globo con maggiore velocità e in minor tempo.

Lo stesso Bush, parlando alla cerimonia per il conferimento delle lauree all'accademia navale di Annapolis lo scorso 27 maggio, pur non nominando mai l'utilizzo di armi spaziali, ha sostenuto che per affrontare le nuove minacce del ventunesimo secolo è necessario sviluppare nuove tecnologie in grado di rendere la reazione delle forze armate più veloce, più leggera e più letale. "Nel nostro tempo - ha continuato il presidente - pericoli terribili possono sorgere in un attimo nel mondo e gli Stati Uniti dovranno essere preparati a opporsi a essi in ogni parte del globo". In termini strettamente militari la nuova dottrina spaziale è conosciuta come Global Strike.

Secondo un documento del Pentagono del 2002 le nuove armi verranno distinte in due categorie: Space Control e Space Force Application. Alla prima appartengono i satelliti militari di cui gli Stati Uniti già dispongono e a cui dallo scorso aprile se ne è affiancato un altro del tutto nuovo: lo XSS-11 un micro satellite in grado di mettere fuori uso dispositivi simili lanciati da altri paesi.

Nella seconda categoria rientrano altre tipologie di armi: le "Rods from God" (le barre che vengono da Dio), cilindri di tungsteno, titanio o uranio, lanciate dallo spazio per colpire obiettivi sul terreno alla velocità di 7.200 miglia all'ora con una forza paragonabile a una piccola bomba atomica; specchi giganti posizionati su satelliti in grado di dirigere raggi laser verso obiettivi posti in ogni luogo del mondo; infine una navetta in grado di trasportare armi e mezza tonnellata di munizioni e in grado di colpire ovunque nel giro di 45 minuti. Secondo il generale Lord, con queste armi qualsiasi centro di comando o base missilistica potrà essere raggiunto dalle armi americane.

In tal modo gli Stati Uniti potrebbero proteggersi da eventuali attacchi missilistici di Iran e Corea del Nord e allo stesso tempo intervenire in brevissimo tempo laddove si presentino minacce ai loro interessi. Tuttavia, se Bush deciderà di dare luce verde alla Air Force, si troverà di fronte a due ordini di problemi.

Prima di tutto questioni di natura politica: rappresentanti militari dell'Ue, Canada, Cina e Russia si sono già dimostrati fortemente contrari ai progetti americani. Secondo Teresa Hitchens del Center of Defense Information, questi paesi sono convinti che gli Stati Uniti non possono fare ciò che vogliono fuori dell'atmosfera perchè lo spazio appartiene a tutti. "Lo spazio- afferma la Hitchens - è un luogo sotto il controllo internazionale". Inoltre, se l'amministrazione repubblicana continuerà nella sua iniziativa vi è il rischio concreto che altre nazioni seguano Washington in una nuova corsa agli armamenti nello spazio.

Alle difficoltà di natura politica si aggiungono quelle di natura economica. Secondo alcuni studi elaborati da esperti governativi, il costo del dispiegamento di tali armi nello spazio potrebbe variare da 220 miliardi a un trilione di dollari: un costo notevole se si pensa che il Pentagono spende circa 600.000 dollari per un singolo missile da crociera Tomahawk.

Malgrado i problemi ora evidenziati, quest'anno il Congresso ha compiuto il primo passo verso la militarizzazione dello spazio: prima ancora che Bush firmasse la direttiva che l'Air Force attende, nel bilancio federale per il 2005 i parlamentari hanno stanziato 47 milioni di dollari per testare entro il 2008 un intercettore a energia cinetica, progettato per difendere i satelliti in orbita da eventuali attacchi. Come ha sostenuto il generale Lord nel settembre scorso, la superiorità spaziale rappresenta il destino e la visione per il futuro degli Stati Uniti.

Note:
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