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Quelle pistole Beretta 92s senza matricola

Fernando Termentini,
Fonte: Pagine di Difesa - 29 maggio 2005


Da qualche giorno la stampa italiana dedica spazio alle notizie che l'intelligence americana ha divulgato sul ritrovamento di pistole Beretta sequestrate ad appartenenti ai gruppi terroristici che operano in Iraq. Un approccio semplicistico potrebbe spingere a giudicare il contenuto degli articoli come la ennesima notizia di effetto che, come in altre occasioni di un passato anche non recente, hanno presentato l'Italia come esportatrice di morte vendendo in modo indiscriminato armi e mine. Oggi si parla di pistole. Negli anni '90 lo scandalo fu circoscritto alle mine anti persona e poi ai sistemi radar. In tutte le circostanze esiste, però, una coincidenza a dir poco troppo singolare. Il paese "end of use" è stato quasi sempre l'Iraq.
Nel caso delle mine vendute all'Iraq fu accertato che l'esportazione non consentita c'era stata ma attraverso triangolazioni che avevano coinvolto una ditta italiana titolare di strutture industriali parallele realizzate in un paese terzo. Le mine italiane, che in un periodo immediatamente successivo si diceva fossero arrivate in Afghanistan, erano state realizzate invece e per la maggior parte da paesi confinanti che avevano copiato modelli prodotti in Italia, con l'esclusione di un solo tipo di mina anticarro.

La notizia recente sulle pistole progettate in Italia e trovate in mano ai terroristi che operano in Iraq, è in corso di riscontro. Sarebbe quindi azzardato trarre delle conclusioni affrettate. Le notizie finora lette sui quotidiani, confrontate con una conoscenza pregressa e oggi attualizzata delle realtà in cui gli eventi si stanno verificando, spinge però a qualche considerazione.

La pistola, a differenza della mina, ha connotazioni tecnologiche che anche in assenza di matricola dovrebbero consentire di accertare rapidamente e con un'elevata affidabilità da quale linea di fabbricazione possa provenire l'arma.

Le notizie in passato sulla produzione di mine - e ora sulla esistenza di pistole di concezione italiana in mano ai terroristi - prende corpo in contingenze molto simili. Il problema delle mine venne improvvisamente denunciato in un momento di tensione politica e commerciale fra l'Italia e due dei maggiori produttori di mine europei e in concorrenza commerciale con il prodotto bellico italiano.

La notizia sull'esistenza di pistole del tipo 92s viene rivelata solo oggi, a distanza di quasi tre anni dalla caduta del regime di Saddam e dopo battaglie, come quella di Falluja, in occasione delle quali a tempo debito si è sicuramente avuta la possibilità di accertare la natura e il tipo dell'armamento in possesso dei terroristi. Non è possibile che questa valutazione non sia stata fatta, in quanto la omissione rappresenterebbe un errore che dovrebbe avere coinvolto tutta la struttura di intelligence internazionale che da tempo è operativa in Iraq. E questo non è possibile.

Non solo i combattimenti avrebbero potuto offrire lo spunto per valutazioni concrete e immediate nel campo specifico, ma anche le perquisizioni, come quella fatta nell'immediato dopoguerra nella casa di Udai, uno dei figli di Saddam. In quella occasione, oggi viene reso noto come riportato dalla stampa nazionale, furono rinvenute centinaia di pistole tipo Beretta 92, ancora imballate.

Tutto oggi diventa invece noto, in un momento storico particolare, nel quale sicuramente i rapporti fra gli Stati Uniti d'America e Italia non sono sereni per i contrasti emersi e non chiariti sull'analisi della morte del dottor Calipari.

A seguire ipotesi immediate, talune accompagnate da sottintesi tali da innescare l'interesse della Procura della Repubblica di Brescia come è possibile leggere oggi sulla stampa nazionale. Pistole del tipo Beretta 92s senza matricola trovate in mano ai terroristi. Altre dello stesso tipo ma con la matricola stampigliata. Notizie che si sovrappongono in parte anche contraddicendosi, ma che lasciano tutte spazio a qualsiasi ipotesi sulle possibili fonti di approvvigionamento, molto simili per taluni aspetti ai contenuti di quelle a suo tempo proposte in tema di mine e sistemi radar italiani.

La disponibilità di queste armi da parte dei terroristi che operano in Iraq e forse anche in altre parti a rischio del mondo, trovate senza matricola o con matricole di fantasia, è riconducibile sicuramente a differenti fonti di approvvigionamento. Le ipotesi più accreditate e rese note ci dicono che possono essere state acquistate in fabbriche che operano nell'area del Medio Oriente, ma tralasciano altre supposizioni come quelle che il prodotto possa essere stato assicurato da mercati paralleli, la cui esistenza dovrebbe forse preoccupare di più delle fabbriche clandestine di fantasia.

Prime fra tutti quelle zone delle Aree Tribali pakistane a ridosso dell'Afghanistan dove da sempre è attiva e prolifera l'industria della fabbricazione di copie di armi individuali e di medio calibro. Una possibilità che, seppure come estrema ipotesi, dovrebbe essere almeno oggetto di esame, in quanto potrebbe offrire preziosi spunti di valutazione di quello che sta avvenendo in Iraq e in Afghanistan.

Di questa possibilità - almeno fino a oggi - non esiste notizia forse perché dimenticare di informare a vantaggio delle notizie d'effetto, come quelle di una possibile esistenza di mercati clandestini per il commercio di armi da parte dell'Italia o di altre nazioni sovrane, è di moda. Il tutto a danno, invece, del diritto del lettore di sapare, per potere trarre le proprie conclusione attraverso un'analisi comparativa sviluppata sulla base di notizie diverse e pur anche contrastanti fra loro.

Non è una novità che la Giordania costruisce da tempo pistole Beretta in totale trasparenza. Sicuramente le armi che escono dalle linee di produzione giordane hanno i contrassegni alfanumerici di matricola. Alla stessa stregua non ci dovrebbe meravigliare che pistole prodotte in Giordana possano essere arrivate in Iraq e utilizzate da terroristici, se non altro perché il loro capo è di origine giordana e perché fino dalla prima guerra del Golfo fu riscontrato che esisteva un flusso di rifornimento di materiale bellico dalla Giordania verso l'Iraq, rivolo che con ogni probabilità è continuato nel corso degli anni successivi.

Il Brasile, da quando le proprie forze di polizia sono armate con la pistola Beretta, produce 92S. E' poco probabile - per non dire assurdo - che dalle linee di produzione brasiliane possano uscire armi senza riferimenti di distinzione e dirette verso le aree instabile del Centro Asia., in particolare l'Iraq e l'Afghanistan e per rifornire i magazzini di al Qaeda.

Non è notizia di oggi che l'Egitto è uno dei più grandi produttori di armi. Leopolis, una località nelle immediate adiacenze all'aeroporto internazionale del Cairo, ospita una struttura di produzione militare di vastissime dimensioni, dove vengono costruite dalle bombe a mano ai carri armati. E' forse una delle più grandi del mondo, se non altro per la varietà di produzione.

A Leopolis sono anche prodotte mine di tutte le specie, copiate o regolarmente fabbricate su licenza, anche del tipo anti persona, attività lecita in quanto l'Egitto non ha ancora sottoscritto la Convenzione di Ottawa, che invece proibisce a chi ha ratificatoli documento la fabbricazione, il commercio e l'utilizzazione di questo tipo di armi.

Nella fabbrica viene realizzato munizionamento di vario calibro, bombe di aereo e razzi, forse anche missili di media gittata. Alcuni tipi sono importati regolarmente da paesi occidentali e quindi con ogni probabilità ricondizionati con correzioni o adeguamenti delle sigle e dei numeri distintivi dei lotti di produzione, per essere commercializzati verso altre destinazioni.

L'Egitto potrebbe disporre della tecnologia per costruire anche pistole Beretta e non è detto che non lo faccia. Si ha, però, qualche forte perplessità su una produzione anonima che non farebbe altro che attirare l'attenzione e aumentare le difficoltà di ogni possibile esportazione, altrimenti, invece, possibile perché non vincolata da quei vincoli internazionali che l'Egitto non ha sottoscritto.

Le pistole senza matricola sembra che siano state trovate, per cui deve esserci chi le produce in qualche parte del mondo e le vende clandestinamente. Con ogni probabilità le armi hanno la medesima provenienza dei Kalashinkov sovietici o cinesi, ma non costruiti né in Russia né in Cina o dei fucili M16 di origine statunitense con scritte in arabo riportate sul calcio.

Una eventualità che ci riporta con la memoria a Darra, uno dei maggiori centri di una importante area tribale del Pakistan, dove è fiorente un'attività artigianale e semi-industriale per la costruzione di armi e di munizionamento. Un ricordo vivo che trova riscontro in quanto potuto constatare personalmente fino dal 1989, quando a Darra venivano realizzate pistole Beretta analoghe a quella che in Italia sarebbe diventata la 92s e confermato recentemente nel 2003 dopo una visita sul posto.

Armi perfette nella forma e nel funzionamento, copia identica dell'originale a meno degli acciai utilizzati, rifinite a mano anche con orpelli di pregevole livello, naturalmente tutte senza matricola o con una matricola assolutamente incoerente rispetto alle catalogazioni delle produzioni industriali.

Pistole perfette come i Kalashinkov, le mitragliatrici Mg e i sistemi contraerei da 30 mm prodotti da quelle parti, anche se meno affidabili come durata rispetto agli originali, prodotti invece con materie prime più pregevoli. Insieme alle armi, anche le munizioni, materiale sicuramente destinato a gruppi terroristici o malavitosi piuttosto che a eserciti regolari, come si è già avuto occasione di scrivere.

Su richiesta del cliente, gli artigiani di Darra possono personalizzare il prodotto, impreziosendone la forma con un approccio tipico di una particolare cultura viva in Medio Oriente e propria delle caste locali più potenti. Forse la "Beretta Tariq" a cui fa cenno la stampa italiana potrebbe far parte di una serie proveniente da questi stock delle fabbriche di Darra con l'apposizione dei particolari guanciali personalizzati sull'impugnatura, come avviene per i copricanna in madreperla e le casse lavorate e incise con pregevoli ornamenti, che contraddistinguono centinaia di Kalashinkov personalizzati di proprietà di maggiorenti pakistani, afgani e iracheni.

Verificare queste ipotesi di possibile origine delle pistole e del munizionamento utilizzato, che sicuramente non fa parte dei lotti di società come la Fiocchi o la Winchester, potrebbe offrire importanti riscontri e agevolare le possibili attività di intelligence e quindi di analisi che sicuramente accompagnano le operazioni dei contingenti militari in Iraq e in Afghanistan.

Elementi che, se riscontrati, concorrerebbero a completare il mosaico delineato in precedenti lavori redatti da chi scrive, trattando della possibile provenienza di armi e droga destinate ad alimentare i mercati clandestini occidentali e dei possibili collegamenti della strategia terroristica incentrata sul triangolo a cui vertici sono l'Iraq, l'Afghanistan e il Pakistan.

Note:
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