L'Osm come risposta alla 'domanda di pace'
La straordinaria espansione che il movimento contro la guerra ha conosciuto negli ultimi tre anni è e resta uno dei fatti politici di maggior rilievo da tenere presente da parte di chi vuole operare per un mondo diverso, fondato sulla pace e sulla giustizia. Molti, anche nelle fila del movimento contro la guerra, hanno reagito con disillusione, sfiducia, senso di impotenza al fatto che nonostante le imponenti mobilitazioni in tante capitali del mondo, le spinte alla guerra non si siano potute fermare, a partire dalla minacciata e poi attuata aggressione all’Iraq da parte degli USA.
Come Rete Lilliput, pur avendo investito per quanto era nelle forze e con profonda convinzione nelle mobilitazioni contro la guerra, abbiamo sempre avuto chiaro che la lotta per un mondo di pace e giustizia è una lotta di media e lunga durata, non di breve durata: è una lotta contro un intero sistema –economico come politico e culturale- e non contro la singola decisione –o strategia- di una singola potenza.
La guerra è il frutto, cioè, non solo delle scelte consapevoli di élite al potere in determinate nazioni: essa è anche il frutto di modelli di consumo e modelli di relazioni fra stati ed aree economiche, che tutti ci vedono in misura minore o maggiore coinvolti, se non complici.
La novità più importante a noi pare stia nel fatto che la consapevolezza di questa natura “sistemica” del problema della guerra e della pace sta diventando patrimonio comune di un numero sempre più largo di persone, gruppi, associazioni, settori di società civile. Questa presa di coscienza sta avvenendo al Nord come al Sud, all’Est come all’Ovest: il movimento contro la globalizzazione neoliberista è stato ed è un veicolo importante di questa consapevolezza, ma non è il solo.
Ora, in questa situazione, le persone, i gruppi, le comunità che sentono come non più sufficiente un impegno per la pace che sia puramente “dimostrativo” sono destinate a crescere. Non basta “dimostrare” esternamente dei SI’ alla pace e dei NO alla guerra, come potevano essere le bandiere di pace alle finestre, e lo scendere in strada a manifestare contro nuove minacce di guerra: tutto questo ha avuto una grande importanza, ma non basta. Così come è vero che la democrazia non può essere banalizzata come il mettere una scheda in un’urna ogni quattro o cinque anni, perché la cittadinanza è invece un rapporto attivo e reciproco, in cui “si vota tutti i giorni”, allo stesso modo la pace la si costruisce –la si deve costruire- tutti i giorni, nella propria esperienza quotidiana di cittadini, uomini o donne, di persone, di congiunti, vicini di casa, studenti, lavoratori, eccetera.
In assenza di esperienze, tradizioni, strumenti, questo genere di appelli si risolverebbe facilmente in un puro volontarismo individuale –certamente nobile, ma probabilmente poco efficace. Noi sappiamo però che invece di tradizioni, esperienze e strumenti ne esistono, e proprio la “domanda di pace” diffusa è la sfida con cui esse tradizioni, strumenti, eccetera devono mettersi in gioco. Questo, anche, è il senso dell’impegno nonviolento e “per un’economia di giustizia” della Rete Lilliput.
L’accento sul patrimonio di esperienze, tradizioni, strumenti disponibili non va inteso in senso chiuso e “passatista”: a volte l’esperienza e la cooperazione fra forze diverse hanno consigliato la necessità di dare vita a nuovi strumenti, “ad hoc”, per conseguire determinati risultati –è il caso per esempio della Rete Italiana Disarmo, (www.disarmo.org) nata a valle della positiva esperienza delle mobilitazioni a difesa della Legge 185/90 sul commercio delle armi.
Una tradizione però, di assoluta importanza nel quadro della lotta per una società di pace e giustizia è quella della disobbedienza civile e nonviolenta, antimilitarista. Le forme di protesta e rifiuto del sistema militare più note, più diffuse e più praticate storicamente sono state l’obiezione di coscienza al servizio militare e l’obiezione fiscale. Per decenni, l’azione nonviolenta, consapevole, in opposizione al militarismo nel nostro paese si è espressa fondamentalmente nell’obiezione di coscienza e nell’obiezione alle spese militari. Ora, queste due forme di disobbedienza nonviolenta negli ultimi anni hanno alquanto perso di “centralità” fra gli strumenti noti e diffusi di azione per la pace e contro la guerra. Non è questa la sede per analizzare le diverse ragioni di questo fatto, su cui potremo ragionare insieme, mediante questo bollettino o altri strumenti. Quello che ci preme esprimere è la nostra convinzione che la “domanda di pace” di cui sopra sia una domanda di strumenti realistici ma anche nei quali vi sia coerenza fra mezzi e fini, strumenti che possano dar vita a vere e proprie campagne politiche, diffuse, ma che richiedano, consentano, vorrei dire esaltino, il ruolo di ciascuno, e anche solo del singolo.
In questo spirito, e riconoscendoci nei suoi obiettivi sia generali che specifici, noi della Rete Lilliput abbiamo dato la nostra adesione convinta alla Campagna di Obiezione alle Spese Militari, diffondendone i materiali nei luoghi della Rete (nodi locali, gruppi di lavoro, associazioni) e sollecitandone il sostegno in tutte le sedi (coordinamenti, “tavole della pace” locali o provinciali, eccetera).
Gualtiero Via, del Gruppo di Lavoro Tematico (GLT) nonviolenza e conflitti della Rete Lilliput
Sul sito di Lilliput è possibile trovare la pagina con tutti i materiali della campagna.
http://www.retelilliput.it/modules.php?op=modload&name=DownloadsPlus&file=index&req=viewdownload&cid=36
Articolo originale al link:
http://unimondo.oneworld.net/article/view/111803/1/