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Conferenza sul Trattato di non proliferazione nucleare

Andrea Tani
Fonte: Pagina di Difesa - 10 maggio 2005


Da una settimana si è aperta a New York, presso le Nazioni Unite, la consueta conferenza quinquennale sullo stato del Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp). Durerà un mese e vi partecipano 189 nazioni. Mai come quest'anno l'argomento è "radioattivo", se si potesse celiare su un tema del genere. I primi quattro giorni se ne sono andati in polemiche fra l'Iran e gli Usa, che rappresentano i due punti di vista estremi che si fronteggiano. Gli Usa stanno cercando di utilizzare la conferenza per focalizzare l'attenzione della comunità internazionale sulle malefatte di Iran e Corea del Nord. L'Iran cerca di persuadere la medesima comunità della correttezza della propria posizione e della contemporanea malafede dell'America, la quale farebbe di tutto per impedire ai suoi avversari geopolitici l'accesso e l'utilizzo del nucleare civile, del tutto consentito dal trattato (anche se questi avversari galleggiano su un mare di petrolio e di gas, sono nemici furiosi dell'egemonia americana, anelano alla supremazia del più importante scacchiere mondiale e sono famosi per il loro pessimo carattere).
Oltre ai due irriducibili nemici, qualche problema l'hanno creato anche i delegati egiziani, sostenendo che la bozza di agenda preparata dall'Onu per la conferenza non focalizzava abbastanza gli obblighi di disarmo nucleare previsti dal trattato per le cinque originali potenze atomiche, alle quali, com'è noto, si sono aggiunte l'India, il Pakistan, la Corea del Nord e - anche se a suo tempo non ha aderito al trattato - Israele (Pyong Yang era fra i firmatari, fino al suo recente ritiro). Alcune nazioni non nucleari hanno anche sollevato il problema della rinuncia all'uso dell'arma atomica da parte delle potenze che ne sono dotate, soprattutto nel caso le medesime potenze subiscano un attacco non nucleare. Questa posizione si riferisce soprattutto agli Stati Uniti, i quali non hanno mai voluto prendere un impegno formale in tal senso.

Gli Usa vogliono mantenere il diritto di utilizzare la bomba contro Stati o entità (terroristiche) che li attacchino con ordigni biologici o chimici. Il punto di vista è stato fortemente ribadito dal governo di Washington dopo l'attacco alle Torri Gemelle, e per ora non sembra negoziabile. Delle altre maggiori potenze nucleari, il Regno Unito non si pronuncia, ma ovviamente condivide le posizioni strategiche del cugino anglosassone. La Francia condivide la posizione americana, anche se in modo discreto, mentre la Russia si è detta disponibile a discutere sull'argomento. In realtà lo status atomico rappresenta per Mosca l'ultimo residuo della grandezza imperiale nonché l'unica vera difesa possibile contro le aggressioni esterne maggiori, dato che la Federazione non è protetta da alcuna barriera naturale, come gli Usa, l'Europa o la Cina. Difficile ipotizzare che possa privarsi di tutti gli strumenti militari a sua disposizione, in nome di un principio etico. La Cina, infine, è da sempre favorevole a un disarmo nucleare completo, dato che i suoi numeri la mettono al riparo da qualsiasi minaccia.

Altre resistenze vengono dal governo americano per quanto riguarda la ratifica delle tre aree "nuclear-free" che le conferenze Tnp precedenti hanno stabilito, in America Latina, Caraibi, Pacifico meridionale e Asia sud-orientale (altre due sono in discussione, in Africa e Asia Centrale). Il Pentagono vuole mantenere libertà di manovra per le sue flotte nucleari nelle ultime due aree, ed è molto dubbio che una rinuncia in tal senso venga sanzionata dal Congresso americano, che ha l'ultima parola sull'approvazione dei trattati internazionali. Soprattutto con i chiari di luna di questi anni. Tutto l'argomento della conferenza Tnp, in realtà, è un coacervo di ombre, con poche luci. Cominciamo dalle prime.

Il trattato in sé si è dimostrato un fiasco. È chiaramente superato, fa acqua da tutte le parti e consente evasioni - anzi elusioni del tutto legittime - da parte di chiunque ne abbia voglia e si prenda la briga di leggersi attentamente i suoi comma e sottocomma. Com'è noto, il Tnp vieta a qualunque Stato non si trovi nella cerchia degli "eletti" (Usa, Urss e poi Russia, Cina, Regno Unito, Francia) di sviluppare armamento nucleare. Ma allo stesso tempo il medesimo trattato promuove, favorisce e auspica l'acquisizione di capacità di arricchimento dell'uranio per scopi pacifici attraverso modalità tecniche identiche a quelle che servono per costruire la bomba. Israele e l'India hanno raggiunto il loro status in questo modo.

Si sono aggiunte troppe deroghe ai principi del 1970, quando il Tnp fu stipulato. Soprattutto l'accettazione di fatto dei tre citati outsider che si sono autoinvitati nell'esclusivo club, nonché il mancato disarmo dei cinque "eletti" originali.

Il fatto è che la natura del dilemma nucleare è del tutto irrisolvibile. Si tratta di una specie di quadratura del cerchio. Parafrasando Kofi Annan nel suo recente discorso di apertura della conferenza, la vexata quaestio consiste nel "riconoscere il diritto all'uso pacifico dell'energia atomica, con l'imperativo categorico della non proliferazione". È come se le centrali termiche per la produzione di elettricità non andassero solo a gasolio, carbone o gas, ma anche a una miscela di una di queste sostanze con tritolo all'uno o due percento, e si pretendesse nel contempo che il processo di fabbricazione di quell'uno o due non fosse utilizzabile per riempire proietti di artiglieria.

Molte grandi e medie potenze conservano desideri inespressi e velleità molto radicate. Alcune dispongono già di tutto quello che serve e possono essere considerate Stati nucleari in pectore. Ad esempio il Giappone, che alla fine del 2003 disponeva di 235 tonnellate di plutonio, prodotte nei suoi impianti di riprocessamento del combustibile utilizzato nelle centrali. Il quantitativo è sufficiente a costruire 30.000 bombe atomiche. Non tutti hanno le capacità del Giappone, ma non è necessario avere duecento tonnellate di plutonio per costituire una seria e credibile minaccia.

Le maggiori questioni concrete sul tappeto che riguardano il tema oggi sono di una gravità inaudita: la proliferazione da parte di Corea del Nord e Iran, che meriterebbero un paio di conferenze ad hoc; la mancata eliminazione dell'immenso arsenale nucleare ex-sovietico, che giace in condizioni che dire precarie è poco; più grave di tutti, il terrorismo nucleare, in agguato anche attraverso fraudolente sottrazioni di armi dal predetto arsenale.

Le luci sono poche, ma qualcuna c'è.

Innanzitutto il sentire profondo dell'opinione pubblica mondiale, che è antinucleare per partito preso e riflesso condizionato, anche quando non sarebbe il caso. Probabilmente l'umanità sarebbe disponibile a rinunciare all'energia nucleare pacifica, se potesse ricacciare nella bottiglia il genio della bomba. Non è possibile, evidentemente, ma questa attitudine potrebbe favorire il congelamento della ricerca nel nucleare pesante (uranio e plutonio), consentendo di concentrare tutte le risorse internazionali disponibili sul nucleare leggero, come sta avvenendo ad esempio per il costruendo reattore di ricerca termonucleare che sorgerà in Francia, finanziato (10 milardi di dollari) da tutti. Sempre che da una possibile iniziativa in tal senso non scaturiscano conseguenze militari analoghe agli esiti indesiderati del Tnp (bomba termonucleare, ecc.). Per adesso la cosa non sembra fattibile senza un innesco nucleare pesante, ma provando e riprovando, chissà…

Nessun proliferatore è in grado di alterare realmente l'equilibrio del terrore esistente. Se l'umanità è riuscita a sopravvivere nella guerra fredda, quando si confrontavano trentamila testate per parte, dovrebbe riuscirci anche in presenza di cinque o sei bombe nord-coreane, o anche delle poche decine prevedibili di un Iran che riesca a centrare i suoi obiettivi strategici. E comunque non è detto che questo sia l'esito inevitabile: la pressione su Teheran di Stati Uniti, Europa, Russia (recentemente, per bocca dello stesso Putin in visita a Gerusalemme) e Giappone (non più tardi di venerdì scorso, durante l'annuale summit Europa-Asia a Kyoto) è molto forte ed è improbabile che la Cina riesca veramente, come ha promesso in cambio del petrolio iraniano, a bloccare in Consiglio di sicurezza un eventuale embargo sull'Iran legato alle sue iniziative di arricchimento dell'uranio. Per quanto riguarda la Corea del Nord, poi, neanche la Cina è disponibile al consolidamento delle sue velleità atomiche. In sostanza, i grandi sono perfettamente consapevoli che su questo dossier l'umanità si gioca il suo futuro e faranno di tutto, al di là di tatticismi occasionali, perché gli strappi indiano, israeliano e pakistano non abbiano a ripetersi.

E' possibile preconizzare un futuro nel quale gli attacchi missilistici - principale modalità di concretizzazione della minaccia nucleare da parte degli Stati - diventeranno vulnerabili alle difese di nuovo tipo che si stanno elaborando e sperimentando un po' dovunque, soprattutto negli Usa. Esse riguardano essenzialmente le armi radianti ad alta energia, che dovrebbero consentire a un velivolo orbitante interconnesso con satelliti di sorveglianza e sensori vari di abbattere salve intere di ordigni in rapidissima successione. A quel punto la supremazia assoluta tornerà nelle mani dei pochi che si potranno permettere sia il deterrente nucleare, che lo scudo elettronico che inabilita i deterrenti altrui, soprattutto quelli minori. E' chiaro che un esito del genere ristabilirà le antiche gerarchie e le renderà permanenti, ma si tratta di un esito accettabile a fronte dei pericoli che in questo contesto un egualitarismo spinto potrebbe comportare.

Note:
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