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Italia / Gli amici dell’industria bellica

Fratelli d’Italia… in armi

Il "made in Italy armato" ha sostenitori a sinistra, centro e destra del mondo politico italiano: dal gruppo dalemiano ai falchi di Forza Italia e di An, come Previti, Berselli e Pini. Una classe dirigente che vuole «riconciliare il paese con la guerra».
Gianni Ballarini
Fonte: NIgrizia - 01 maggio 2005


Una piccola Davos all’italiana. Un concentrato di lobbysti armieri, di militari e di politici, sponsor del “made in Italy armato”. Tutti ad accarezzare l’idea che il futuro è un gran tuffo nel passato e che «l’Italia ha fatto pace con la guerra». È lì, negli splendidi saloni di palazzo Brancaccio a Roma, che è nato l’ossimoro più amato dai mercanti d’armi dello Stivale. Era l’8 maggio di due anni fa. L’occasione, un convegno sull’importanza del fattore militare, organizzato dalle riviste Limes e Acque e Terre .
Un brain storming con la crema della classe dirigente «depositaria della materia», come si definirono gli invitati. Una sfilata con in passerella (poco pubblicizzata, per la verità) politici come l’ex ministro Gianni De Michelis e l’ex presidente del Senato Carlo Scognamiglio, il presidente della commissione difesa della Camera, il generale aennino Luigi Ramponi, e il diessino Marco Minniti .
Presente, al completo, il vertice di Finmeccanica, guidato dall’amministratore delegato Pier Francesco Guarguaglini. Molti anche i militari, o gli ex, come l’ammiraglio Umberto Guarnieri, già presidente Agusta, l’ex capo di stato maggiore Guido Venturioni e il generale Carlo Jean, a cui si attribuisce il copyright dello slogan-ossimoro (per la verità la sua frase fu: «Si è avviato il processo di riconciliazione dell’Italia con la guerra»). A “nobilitare” il convegno, l’intervento del vicesegretario Nato, l’ambasciatore Minuto Rizzo .

Un’immagine, quella scattata nel palazzo patrizio romano, che fotografa il «sano realismo» che attraversa in questi anni destra, sinistra e centro del Belpase. Perché in quei saloni, liberi dai condizionamenti esterni, tutti hanno mandato a quel paese le battaglie «inconcludenti ed evaporate del fronte utopico sinistrese», ed elogiato il “fattore militare”, fatto uscire «dal limbo dell’imbarazzo» in cui era stato confinato per mezzo secolo. Difesa della pace? Più serrati controlli alla proliferazione delle armi? Solo intossicazione retorica. La realtà è quella annunciata dal diessino Minniti ai suoi attenti interlocutori: «Noi sappiamo quello che si deve fare, ma anche quello che non si può mostrare di fare».

La sinistra con l’elmetto

È la fine di un tabù. La classe dirigente italiana torna (se mai ha smesso) a indossare l’elmetto. Al di là dei dati economici del settore, basta svelare alcuni degli incarichi che ricopriamo a livello internazionale, per capire lo spazio conquistato: Guarguaglini è presidente europeo dell’AeroSpace and Defence Industry Association (Asd), la “confindustria” continentale delle aziende (800, con 600mila addetti) del comparto militare; l’Italia ha la vicepresidenza della Nato Industrial Advisory Group (Niag), gruppo consultivo della Conferenza dei direttori nazionali degli armamenti dell’alleanza atlantica; il generale Nazzareno Cardinali è diventato direttore dell’Organisme conjoint de cooperation en matière d’armament (Occar), una struttura voluta dai governi italiano, francese, tedesco e britannico.

Un ruolo internazionale riconosciuto, che va a braccetto con la crescita delle nostre aziende. Per il terzo anno consecutivo, Finmeccanica «registra una crescita della redditività operativa, che si attesta sui valori più alti nel settore aerospazio e difesa a livello mondiale», il commento di Guarguaglini al bilancio 2004. Quest’anno, poi, il colosso supererà i 10 miliardi di euro di fatturato nella difesa, 20% in più rispetto al 2004. Nel 2006 il trend positivo dovrebbe superare il 6%.
Insomma, Finmeccanica è una realtà a livello internazionale. E coccolata in Italia. Non solo a destra. L’11 marzo scorso il presidente dei Ds Massimo D’Alema si è infervorato a Genova in sua difesa e della controllata Fincantieri, battendo i pugni affinché fossero trovati in fretta i soldi per pagare le 10 fregate europee multi missione (Fremm), destinate alla nostra Marina.

Il più accanito garante degli interessi Fincantieri è, tuttavia, un collega di D’Alema, il senatore diessino Lorenzo Forcieri, spezzino, presidente dei parlamentari italiani nel gruppo Nato e vicepresidente della commissione difesa di palazzo Madama. È suo anche l’ultimo emendamento (di metà aprile 2005) per inserire il finanziamento delle fregate tra i provvedimenti del decreto sulla competitività. Emendamento sottoscritto pure dal forzista Luigi Grillo e dall’altro esponente della Quercia Alessandro Longhi .

Ma a sinistra le “sponde militari” sono molte. Lo stesso Guarguaglini, glorificato dal governo Berlusconi, ha un passato socialista e un legame molto stretto con Giuliano Amato e Pierluigi Bersani, ex ministro della Quercia. E se non sorprende trovare tra i difensori dell’industria delle armi il parlamentare diessino, ex generale Franco Angioni, e l’ex ministro della difesa, Sergio Mattarella (tra i più convinti sostenitori della modifica della legge 185 del ’90, che aveva regolato e reso più trasparente il mercato delle armi), meraviglia scoprire nell’elenco dei fan Enrico Letta , l’aspirante uomo nuovo del centrosinistra.
L’Arel, il pensatoio dei cattolici dell’Ulivo voluto da Beniamino Andreatta e presieduto proprio da Letta, ha prodotto una ricerca, dove si sostiene come l’aumento delle spese militari abbia un effetto positivo sulla crescita economica.

E che dire di Chicco Testa, l’esponente ambientalista già presidente di Enel? È diventato il referente per l’Italia (dopo Letizia Moratti ) della Carlyle, la grande mamma delle corporation armate dei nostri giorni. Carlyle nel 2003 ha acquisito, in partnership con Finmeccanica, Fiat Avio.
Pure Carlo Festucci, segretario generale dell’Associazione industrie per l’aerospazio e i sistemi di difesa (l’Aiad, che raggruppa una novantina di aziende italiane del settore, con 50mila addetti e oltre 10 miliardi di euro di fatturato), dipinto da alcuni media come un uomo di Forza Italia vicino a Cesare Previti , in realtà ha un passato nella Fiom della Cgil, ed è spesso il referente dei diesse, quando si tratta di organizzare convegni e appuntamenti su questi temi. Lui e il gruppo di lavoro denominato Poles sono stati tra i principali lobbysti in Parlamento per la modifica della 185.

La destra “armata”

Anche se poi il deus ex machina del disegno di legge sulla “deregulation armiera” è stato il forzista Previti, già vicepresidente di Alenia Spazio. Del resto, sono molti a destra i tutori degli “interessi armati”. In cima alla lista, non solo per il suo ruolo istituzionale, il ministro della difesa Antonio Martino. È stato soprannominato il “ministro cow boy”, per quella sua affermazione sulla «legislazione italiana troppo restrittiva in materia di possesso di armi». Una posizione che ha convinto il deputato forzista Furio Gubetti a presentare una proposta di legge per allargare i paletti della legittima difesa e del conseguente uso delle armi.

Ma il vero referente nell’esecutivo dell’industria bellica, è il sottosegretario di An Filippo Berselli . Nel libro Armi d’Italia (pubblicato da Fazi editore) gli autori Riccardo Bagnato e Benedetta Verrini lo dipingono come il vero postino di quegli interessi. Colui che «accompagna e promuove tutti gli incontri d’affari legati a questo particolare “made in Italy”». Ed è sempre di An l’anima nera, il Richelieu occulto, che muove pedine e denari nel “mercato della sicurezza”.

Si tratta di Massimo Pini, editore, ex craxiano di ferro, ora nel cda di Finmeccanica. Vicino a Fini, si deve a lui l’arrivo nello staff del presidente Guarguaglini di Marco Zanichelli, ex amministratore delegato di Alitalia. Ed è sempre Pini il grande sponsor di Giovanni Castellaneta (consigliere diplomatico di Berlusconi a Palazzo Chigi e neoambasciatore negli Usa) alla vicepresidenza di Finmeccanica.
Una ruota, quella dell’industria bellica, oliata con cura. E particolarmente sensibile a questi ingranagi è anche il deputato di Forza Italia Giuseppe Cossiga , membro del comitato di presidenza dell’Istrid, l’Istituto ricerche e informazione difesa. Una passione militare, la sua, ereditata in famiglia, dal padre Francesco.

E la Lega Nord? Non può certo mancare a un banchetto così appetitoso un convitato di pietra come il movimento di Bossi. Infatti, i leghisti sono i referenti del consorzio armaioli bresciani, una lobby potentissima, specializzata nel commercio delle armi leggere. E tra i guerrieri dagli spadoni sguainati spicca Paolo Tagini , già parlamentare leghista e proconsole del senatùr in Piemonte: è il vicedirettore di Armi Magazine e autore di “saggi” come Io sparo che me la cavo e Una società armata è una società educata. Sarà questo il destino dell’Italia?

Note:
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