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A due anni dall'attacco la situazione rimane grave

Il prezzo della Guerra

Quanto è costato rivesciare Saddam Hussein per poi avere un'infinità di problemi, dal terrorismo agli enormi costi economici? E allora: quando il paese sarà davvero libero?
Fulvio Scaglione
Fonte: Famiglia Cristiana - 27 marzo 2005

E' strano, ma nessuno ha fatto caso ai due eventi che hanno accompagnato quello che, a proposito del ritiro delle truppe italiane dall'lrak, è stato prima un annuncio (di Silvio Berlusconi), poi un auspicio (di molti) e infine un abbaglio (nostro).
Subito prima dell'intervista del premier a Porta a porta, e delle telefonate di George Bush che ci hanno rimessi in riga, l'esercito russo ha eliminato il leader ceceno Asian Mashkadov, sfruttando una "soffiata" e l'evidente complicità di qualche delatore. Anonimo ma subito compensato con 10 milioni di dollari. Subito dopo, a Pristina in Rosovo, il presidente Ibrahim Rugova è sfuggito a un attentato d'incerta attribuzione.
Mettiamo per un attimo da parte tutto questo e torniamo alI'Irak, che ha da poco superato il secondo anniversario da quando, nella notte del 20 marzo 2003, gli Usa lanciarono l'attacco contro il regime di Saddarn Hussein. Un anniversario vale quello che vale, può essere uno scarabocchio sul calendario o una data fondamentale. Per cui tentare un bilancio ragionato di questi due anni è impresa forse più vana che difficile, anche perché la situazione irachena non è certo stabilizzata, come anche l'incidente politico-televisivo del ritiro ritirato fa capire. Proviamo ugualmente, con le cautele del caso.
All'attivo c'è l'eliminazione di Saddam Hussein e della sua dittatura dalla scena politica internazionale. Su questo non si può discutere né avere dubbi. Ed è un bene anche che Saddam sia stato preso vivo e possa quindi essere processato in un'aula aperta al pubblico, dove l'eco dei suoi crimini risuoni senza ipocrisie. Bisogna però anche chiedersi quanto è costato arrivarci.

Da Madrid al caro-petrolio

Gli Usa hanno già speso 1100 miliardi di dollari e ne hanno stanziati altri 81. Altri miliardi di dollari e milioni di euro sono stati spesi da Gran Bretagna e Italia e dagli altri Paesi coinvolti. Poi ci sono i danni comunque arrecati alla già pericolante struttura civile e industriale dell'lrak, per non parlare di quanto è costato alla Spagna l'attentato del marzo 2004 o di quanto abbiamo speso in più per il petrolio, che in qualche misura gli esperti dicono tra il 5 e l'8 per cento) è salito di prezzo anche per coprire" i rischi e le turbolenze del fronte iracheno e mediorientale in genere. Azzardiamo un totale: 500 milioni dì dollari.
Ed è un mero calcolo economico, che non tiene. conto dei sacrifici umani: 1700 morti (1.512 degli Usa) tra i soldati della coalizione, con tantissimi feriti: 8.000 solo tra gli americani e solo negli ultimi 10 mesi. A questi vanno ovviamente aggiunti i civili morti durante la guerra guerreggiata (almeno 12.000, secondo le fonti più affidabili) e quelli caduti nell'ancor più cruento dopoguerra: si è parlato di 100000 vittime. In gran parte (non certo tutte: la stampa italiana non lo dice, quella americana si) uccise da terroristi e guerriglieri, ma in un Paese cui gli Usa avevano garantito pace e sicurezza. Se poi questo non avviene, un po' di responsabilità almeno politica la Casa Bianca dovrà pur prendersela, Un prezzo, dunque, stratosferico da ogni punto di vista. Davvero non era possibile neutralizzare Saddam in altro modo? Scusate il cinismo, ma con 500 milioni di dollari quante soluzioni "Mashkadov" si sarebbero potute finanziare?
Altro capitolo attivo è quello delle elezioni. È vero che molti, e non senza argomenti, fanno notare che sono state piene di difetti: ampie zone dell'Irak escluse dal voto, verifiche sulle liste elettorali aleatorie, risultati discutibili. Ma questo tema è legato a filo doppio con quello della permanenza delle truppe straniere: senza i soldati americani, inglesi e italiani l'lrak sarebbe sovrano, ma anche pronto a cadere nelle mani dei terroristi e di chi vuole la guerra civile. A questo punto (perché comunque a questo punto stiamo, e non altrove), meglio le truppe. E per lo stesso principio: meglio un'elezione (forse) piena di difetti che nessuna elezione.
Milioni di iracheni hanno in ogni caso votato e la speranza è che l'esercizio della democrazia, a lungo accantonata dalla violenza del regime ma a loro non ignota, li spinga poi a difenderla, da chi vuole trasformarla in una filiale istituzionale dell'islamismo come da chi pretende di tenerla in uno stato di colonizzazione appena mascherata. Obiettivi più facili da realizzare se riusciremo a non speculare troppo su quest'altro momento positivo. La famosa "ondata di democratizzazione" che secondo alcuni scuote il Medio Oriente è tutta da verificare e comunque l'lrak c'entra fino a un certo punto. Il disgelo tra Israele e palestinesi è dovuto soprattutto al ritiro da Gaza deciso da Ariel Sharon (e peraltro già previsto dagli Accordi di Oslo dei 1993) e alla morte di Yasser Arafat, che ha permesso un ricambio al vertice.

Il passivo dell'operazione

In Libano la scintilla è stata accesa dall'assassinio dell'ex premier Ilafik Hariti, non dalla cattura di Saddam. L'Irak conta solo perché la Siria è intimidita dal fatto di trovarsi le truppe americane al confine. Le riforme avviate in Egitto e in Arabia Saudita sono provvedimenti di facciata, varati per accontentare l'alleato americano, e non impediranno ai gruppi dominanti di mantenere allegramente e fermamente il potere.
Il passivo dell'intera operazione è più facile da valutare. Armi di distruzione di massa: chi le aveva se l'è tenute (Corea del Nord), chi non le aveva è corso a procurarsele (Iran), i Paesi per tradizione nuclearisti (Israele, Pakistan, India, Russia, Gran Bretagna, Usa, Ucraina) sono gli stessi di prima. Terrorismo islamico: abbiamo meno paura di prima? Pare proprio di no. Economia: nessuno dei vantaggi prospettati si è concretizzato. Anzi: il petrolio è da lungo tempo su prezzi record. In più le tensioni tra Usa ed Europa, tra Usa e Russia, il tempo e le risorse distolte dal confronto con la recessione e con l'avanzata della Cina.
A questo punto uno potrebbe chiedersi: che c'entra Rugova? Risposta: se quello è il minuscolo, pacificato e marginale Kosovo, liberato da Slobodan Milosevic già nel 1999, quando potremo davvero andarcene dal grande, violento e cruciale Irak?

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