Nucleare, rischio umanitario di massa
Così Setsuko Thurlow, che quando l’Enola Gay sganciò il fungo nucleare su Hiroshima aveva 13 anni, ha raccontato il suo 6 agosto del 1945 ai delegati della Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (Ican), una rete di 359 associazioni non governative in 92 Paesi del mondo. Il 13 e 14 febbraio, si sono ritrovati a Nayarit, in Messico, per la seconda Conferenza internazionale sull’Impatto umanitario delle armi nucleari, dopo l’edizione di Oslo. Vi hanno partecipato oltre 140 Governi da tutto il mondo ed è stato lanciata un’azione diplomatica per mettere al bando le armi nucleari, cioè le armi più distruttive che l’umanità abbia mai inventato.
Ha detto Liv Tørres, segretario della norvegese People’s Aid: «È una chiara evidenza: l’impatto sarebbe raccapricciante e nessuno Stato, né coalizione di Stati, potrebbe riprendersi dopo una guerra nucleare. Il rischio di una detonazione è reale, questo è il motivo per cui chiediamo la messa al bando». La sola detenzione di questi ordigni espone a rischi: potrebbero cadere nelle mani di terroristi, oppure potrebbe verificarsi un incidente. Nel mondo, in solo 9 Stati (Usa, Russia, Regno Unito, Francia,Cina, India, Pakistan, Israele e Nord Corea) sono 17.000. In Europa, Francia e Regno Unito possiedono armi nucleari, mentre Italia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Turchia ospitano basi con armi nucleari della Nato o di altri Stati. Per altro, nessun trattato internazionale, nemmeno l’Alleanza Atlantica, obbliga gli Stati europei a bloccare i progressi internazionali verso una messa al bando delle armi nucleari.

Beatrice Fihn, a Nayarit come rappresentante Ican, ha spiegato: «La conferenza segna un punto di non ritorno; da qui in poi, il compito passa ai Governi. Il passo successivo dovrebbe essere l’inizio dei negoziati per un trattato che metta al bando le armi nucleari, anche se gli Stati possessori di armi nucleari non sono d’accordo. Si tratta delleuniche armi di distruzione di massa non ancora messe al bando e la domanda che ci poniamo è: hanno il diritto di essere legali o no?».
La Conferenza di Nayarit è solo il più recente passo di un percorso che ha riacceso il dibattito. Una svolta c’è stata nel 2010, quando gli Stati parte del Trattato di Non Proliferazione hanno riconosciuto «le conseguenze umanitarie catastrofiche di qualsiasi uso delle armi nucleari». La Croce Rossa, le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite, la società civile e la maggioranza degli Stati del mondo si sono impegnati a portare avanti questa iniziativa.
Nell’ottobre scorso, 125 Stati membri hanno sottoscritto la dichiarazione proposta alle Nazioni Unite dalla Nuova Zelanda, in cui si afferma che «le conseguenze catastrofiche delle armi nucleari devono rappresentare l’elemento fondamentale su cui si fondano tutti gli sforzi per raggiungere il disarmo nucleare». E l’Italia? Purtroppo ne spicca l’assenza. Spiega Lisa Clark dei “Beati i costruttori di Pace”: «A oggi è rimasta ai margini in questo percorso, mentre noi crediamo che potrebbe avere un ruolo di grande importanza: se l’Italia si facesse portavoce del movimento degli Stati che lavorano per il disarmo nucleare ne guadagnerebbe in prestigio, esattamente come avvenne quando svolse un ruolo fondamentale nelle campagne per l’abolizione della pena di morte, contro la tortura, per la messa al bando delle mine antiuomo».