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I segreti di Prosperini

Paolo Biondani
Fonte: L'Espresso - 25 marzo 2010

L'ex assessore ha tentato il suicidio. Dopo aver patteggiato tre anni e cinque mesi per corruzione, è sotto indagine anche per traffico d'armi con l'Eritrea. In questa inchiesta esclusiva, "L'espresso" rivela i suoi affari con il Paese africano

Pier Gianni Prosperini
Pier Gianni Prosperini, l'ex assessore del Pdl lombardo arrestato il 16 dicembre scorso, ha tentato il suicidio nella sua casa di corso Garibaldi, a Milano, dove era ai domiciliari. Secondo i medici non è in pericolo di vita. In casa Prosperini avrebbe lasciato messaggi in cui lamenta una "persecuzione giudiziaria". Prosperini era stato scarcerato dopo aver patteggiato 3 anni a 5 mesi di reclusione per aver incassato una tangente da 230 mila euro su un appalto da 7,2 milioni di euro: spot pubblici dirottati sulle tv private che lo sostenevano politicamente tra il 2008 e il 2010. I guai dell'ex assessore non erano tuttavia terminati: la procura di Milano stava infatti indagando sul traffico di armi e munizioni verso l'Eritrea coperto, secondo l'accusa, dallo stesso Prosperini, in elusione ai controlli internazionali e agli embarghi. Su questo filone "L'espresso" ha pubblicato nelle scorse settimane diverse inchieste, l'ultima delle quali appare nel numero in edicola domani, e che anticipiamo qui di seguito.

Una banda di insospettabili trafficanti d'armi, guidata da un ex dirigente della Beretta. Almeno tre anni di triangolazioni proibite, per rifornire segretamente gli arsenali dell'Iran. E un carico parallelo di fucili in partenza per l'Eritrea. Con un politico lombardo che si fa pagare mediazioni su un conto svizzero: Pier Gianni Prosperini, assessore regionale della giunta Formigoni fino al 16 dicembre, quando è stato arrestato per corruzione.

A collegare le guerre internazionali alle tangenti italiane sono due indagini separate, che si sono incrociate proprio mentre la Guardia di Finanza ammanettava l'ex leader di Nordestra, la corrente da lui creata per contendere alla Lega i voti razzisti. Prosperini, quella sera, sta per registrare l'ennesimo show anti-immigrati, quando si vede arrestare per aver intascato 230 mila euro da Raimondo Lagostena Bassi, il proprietario del circuito di tv lombarde che da anni lo sostiene. In cambio, il politico gli ha fatto arrivare montagne di spot pubblici: 7 milioni e 200 mila euro, pagati dai lombardi con le tasse.
Prosperini
Mentre il governatore Roberto Formigoni e il ministro Ignazio la Russa difendono l'assessore, che un trimestre più tardi chiederà di patteggiare una condanna a tre anni e cinque mesi, i finanzieri sequestrano l'archivio di Prosperini e i computer del suo factotum, Gionata Soletti. E qui spuntano file riservati: armi all'Eritrea. Un affare che scotta. Nei computer sono registrate tutte le trattative per vendere alla dittatura africana decine di fucili prodotti dalla Beretta, la più famosa fabbrica italiana d'armi. Per esportarli in Eritrea, secondo i documenti ora sotto sequestro, l'industria bresciana avrebbe pagato provvigioni a una società off shore che girava i soldi a Prosperini. Dal punto di vista della Beretta, s'intende, è tutto lecito: la consulenza estera è regolarmente fatturata. E dalla fabbrica italiana risultano usciti solo fucili da caccia. Oggi anche l'Eritrea è finita sotto l'embargo dell'Onu, ma fino a pochi mesi fa era reato solo esportare armi da guerra. Ma allora, perché pagare il politico? Perché Prosperini, sempre stando ai file, avrebbe lavorato per la Beretta come procacciatore d'affari privato. E perché versargli i soldi in Svizzera? Perché così chiedeva lui. Per la Beretta, quei fucili erano davvero destinati a onesti cacciatori eritrei amici di Prosperini. Tutto regolare, insomma. Almeno fino all'arresto di Prosperini, quando un altro gruppo delle Fiamme Gialle registra un imprevisto allarme rosso. Che riguarda un'inchiesta diversa. Esplosiva.

Il nucleo di polizia tributaria sta intercettando da luglio un'organizzazione di trafficanti che dal 2007 esporta sistematicamente armi da guerra in Iran nonostante l'embargo di Usa, Onu e Ue. Le indagini documentano vendite di ben mille puntatori ottici di produzione tedesca: visori speciali per cecchini o sabotatori, in parte sequestrati tra Svizzera, Romania e Inghilterra mentre partivano per Teheran. E trattative avanzate, proseguite fino a febbraio scorso, per cedere all'Iran elicotteri, spolette esplosive, elmetti, congegni spionistici, miscele chimiche per razzi o bombe, kit per paracadutisti, gommoni e respiratori subacquei. Uno dei capi di questa presunta banda è Alessandro Bon, 43 anni, ex dirigente della Beretta: fino al 2005 era l'export manager del settore difesa per il Medio Oriente, cioè il responsabile delle vendite nei paesi più caldi del mondo. Ufficialmente trattava solo armi sportive. Lasciata l'industria legale, si è messo in proprio, secondo l'accusa, come trafficante illegale, sfruttando anche una ditta di vernici della fidanzata. Bon è il presunto regista di triangolazioni milionarie con emissari dei servizi segreti iraniani (due arrestati, altri due ricercati), tra cui un finto giornalista che a Roma spiava e indottrinava la stampa italiana e intanto fondava a Bucarest una ditta per esportare i puntatori.

La Finanza sente parlare per la prima volta di tangenti il 22 agosto 2009. In quel momento Bon sta disputandosi 256 mila euro con un presunto complice, Arnaldo La Scala. Alle 16,08 l'ex manager della Beretta chiede a uno spione di Teheran di non versare più quei soldi a La Scala, un messinese che controlla società aeronautiche in Svizzera, perché "ogni sei mesi lui deve pagare un politico in Italia e non lo ha ancora pagato". "Io ho bisogno dell'appoggio di questo politico, per cui manda i soldi a me", ingiunge Bon all'agente iraniano Homayoun Bakhtiyari: "Così metto da parte il denaro per il politico e poi gli trasferisco i soldi di cui ha bisogno". I finanzieri capiscono chi sia solo quattro mesi dopo, quando Prosperini viene arrestato per le tangenti tv: a quel punto La Scala, Bon e perfino sua madre mostrano "gravissima preoccupazione". Il perché lo spiega il 'supporto informatico' sequestrato al politico, da cui risulta che proprio "Bon e La Scala hanno usufruito della mediazione retribuita di Prosperini nella vendita di armi, visori notturni e munizioni al governo eritreo". Tra Teheran e Asmara, dunque, c'è lo stesso canale occulto.

Bon non sa ancora che un ex militare delle forze speciali inglesi (Sas), William Faulkner, arrestato a Londra, ha già confessato i traffici d'armi con l'Iran, chiamandolo in causa. Ma capisce subito che Prosperini rischia di rovinare tutti. "Allarmati", Bon e La Scala contattano Soletti, il factotum dell'assessore arrestato, che li rassicura: Prosperini non li coinvolgerà.

Ma il 13 gennaio il primo è ancora preoccupato: "Ho l'ansia che l'altro... che gli fanno i controlli". Bon in realtà era angosciato già da ottobre, quando spiegava al complice: "Sono finito sulla lista nera, hanno trovato due ottiche in Afghanistan ai talebani, con cui hanno sparato a militari tedeschi... E adesso mi chiedo cosa ci facevano in Afghanistan: fra me e te, fan parte di un lotto spedito nel tempo...". Al che La Scala gli risponde con questa ipotesi: "Hanno fatto casino, come hanno fatto diecimila volte casino quelli di Beretta". La polizia inglese, per altro, riesce a trovare "puntatori analoghi" solo a Bassora, tra il 2006 e il 2007, a guerriglieri iracheni (filo-iraniani).

Molto più sicuro si sentiva invece il più in vista tra i nove arrestati per le armi all'Iran, l'avvocato d'affari Raffaele Rossi Patriarca. Tra il 12 e i 17 dicembre, mentre per Prosperini si apre la cella, il legale torinese vola a Teheran per trattare "nove elicotteri da 15 milioni, spolette esplosive e miscele di zirconio" con "un generale iraniano pluridecorato". Al rientro, incontra in Svizzera un emissario di Ahmadinejad, orgoglioso di mostrargli "le sue foto con il grande capo". E poi gira l'Europa per cercare esplosivi da trafficanti montenegrini. Ed elicotteri da industriali italiani "amici", tra cui inserisce un top manager della Inaer di Andrea Bonomi, con cui vanta affari precedenti, fino a prova contraria leciti.

La spavalderia dell'avvocato spaventa perfino Bon e La Scala: "Ha chiesto roba con la sigla I.HE, dove I sta per incendiario... Vuole roba chimica...". "Lì non c'è dual use, c'è un solo uso ed è quello sbagliato...". A rendere così tranquillo Patriarca è un misterioso "referente di Roma": un vip che Guglielmo Savi, titolare della Sirio srl, che vende ponti radio a Stati esteri e alla Rai con il 'nulla osta sicurezza' della presidenza del Consiglio (ora ritirato), dice di poter contattare "anche all'una di notte". Alle sei del mattino del 3 marzo scattano gli arresti per le armi all'Iran. Mentre il factotum Soletti finisce in cella per aver svuotato il conto svizzero delle tangenti di Prosperini, prelevando gli ultimi 800 mila euro in contanti. Ora in carcere qualcuno potrebbe parlare. Forse il giallo delle armi da guerra italiane è solo all'inizio.

Note: Articolo al link http://espresso.repubblica.it/dettaglio/i-segreti-di-prosperini/2123766
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